Le organizzazioni criminali hanno una struttura paramilitare, fatta di centinaia di uomini armati e di migliaia di truppe di supporto, che ha un costo di gestione elevatissimo. Tale costo deve essere coperto dai proventi delle attività illecite ma il margine operativo prodotto deve essere necessariamente reinvestito in settori legali. Le infiltrazioni nel tessuto sano dell’economia, sono state confermate sia gli studi sociologici che le indagini della magistratura hanno confermato, individuando alcune attività particolarmente esposte a queste dinamiche. Inizialmente, era solo agricoltura (controllo dei mercati ortofrutticoli) e l’edilizia pubblica e privata (costruzioni abusive), poi ha fatto seguito il commercio all’ingrosso (catene di supermercati), utile per il cash flow e per lavare il danaro sporco, ma anche ottimo anche da canale di distribuzione di prodotti non in regola con le norme sanitarie e di prodotto, e sfruttato logisticamente per trasportare, nello stesso TIR, prodotti alimentari, droga e prodotti contraffatti. Non immune dal contagio anche il commercio al dettaglio (grandi catene in franchising), gli esercizi di ristorazione (vedi l’inchiesta sui locali del lungomare napoletano), il turismo (villaggi turistici). L’ultima frontiera è la scalata a grandi e medie imprese che forniscono la Pubblica Amministrazione e le aziende pubbliche. Insomma, una serie di aree di attività importanti nell’economia della nostra regione che divengono terra di espansione delle organizzazioni criminali a svantaggio delle imprese che resistono nella legalità. Il basso grado di trasparenza che in molte di queste attività si osserva, consente il riciclaggio dei proventi illeciti. In questi processi di espansione le imprese collegate alle organizzazioni criminali godono di forti vantaggi competitivi, essendo in grado di accedere alla enorme liquidità delle attività illecite, di prendere il controllo delle imprese concorrenti attraverso la pratica dell’usura, di utilizzare i fondi illeciti per manipolare gli appalti e condizionare le istituzioni politiche e amministrative, praticando in modo sistematico l’evasione fiscale, delle normative sul lavoro e sull’ambiente. Inoltre, possono usufruire, anche se lo fanno con parsimonia ed in ultima istanza, di uno strumento di competizione estremamente convincente: la violenza. Quando, poi, la presenza diviene pervasiva, il gioco concorrenziale viene completamente falsato e le imprese tradizionali iniziano ad avvertire un “costo della legalità” che le mette fuori mercato rispetto ai concorrenti. Si affermano, così, fenomeni di contiguità, opportunismo e collusione, in cui l’imprenditore non vede e non chiede, come testimoniato da molte inchieste della Magistratura.Inoltre, la capacità di pressione delle organizzazioni criminali è particolarmente efficace in quelle attività che sono intermediate dalla pubblica amministrazione resa, in qualche caso, connivente dal bastone della violenza e dalla carota della corruzione, e nei cui confronti il controllo dei voti rappresenta un ulteriore elemento di scambio. I processi di espansione in questi segmenti dell’economia legale, quindi, comportano una diffusione di pratiche di corruzione e di decadimento del personale politico, che ulteriormente limitano le possibilità di crescita sana dell’economia locale. Anche in questo caso, le inchieste della magistratura restituiscono un quadro di pervasiva corruzione nelle amministrazioni locali, con una frequenza davvero pericolosa, soprattutto, nei comuni dell’area napoletana e casertana. Si è venuto a creare, così, una sorta di “costo della legalità” che appare come l’elemento più pericoloso nell’evoluzione dell’economia campana, poiché comporta un arretramento sistematico nel rispetto delle norme e dei regolamenti che governano le attività economiche e il diffondersi di una legalità debole. Gli operatori economici che non si adeguano sono costretti ad emigrare o a chiudere bottega. Scelte che generano, a loro volta, l’ulteriore indebolimento dei meccanismi concorrenziali e di mercato. Restano sul mercato, cioè, solo quelle aziende che da vittime dell’estorsione si adeguano: preferiscono pagare il pizzo piuttosto che denunciarlo, anche perché la denuncia potrebbe attirare la Guardia di Finanza per controllare i libri contabili, quasi sempre non ordinatissimi.A livello nazionale l’economia criminale raggiunge in media circa l’11 per cento del PIL. Una cifra enorme, più di 100 miliardi di euro, che alimenta e sostiene un’intera economia, altrimenti asfittica. Peraltro, la corruzione e l’evasione fiscale sono intrecciate con il fenomeno delle infiltrazioni della criminalità organizzata. Per quanto riguarda specificamente gli appalti pubblici, non si può quantificare il valore dell’imprenditoria criminale, visto che il flusso di risorse è ragionevolmente slegato dall’impiego di contante nelle transazioni e rientra, almeno formalmente, nel perimetro delle attività legali. Fatto sta che, un sempre maggior numero di imprese, un tempo sane, costrette dalla crisi e, soprattutto, strangolate dai ritardi nei pagamenti della PA, si sono lentamente lasciate irretire dalle facili lusinghe della criminalità organizzata. Prima come finanziatori esterni a buon mercato, poi in maniera sempre più pervasiva, si arriva alla fine del processo di contaminazione quando, dell’azienda sana, non resta che il ricordo. Tutto questo, ovviamente, si concretizza come una determinante distorsione delle regole del mercato, i cui costi – diretti ed indiretti - finiscono per scaricarsi sulle spalle del cittadino/contribuente. È ovvio, infatti, che un mercato distorto produce un innaturale innalzamento dei costi delle forniture e dei servizi acquistati dalle PA e dalle aziende pubbliche in genere, molto più malleabili di quelle private. Si spiega anche così l’ingente debito consolidato, che molte di esse si trascinano sul groppone, e che le sta mortalmente strangolando.
Ciro Pastore – Il Signore degli Agnelli
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