1. Il movimento ecologista italiano
F. Hundertwasser, The Blob Grows in the Beloved Gardens, 1975
La decisione di intraprendere lo studio del movimento ecologista italiano nasce da una riflessione intorno le trasformazioni partecipative che hanno interessato l’Italia nel passaggio dagli anni Settanta agli anni Ottanta. La storiografia italiana ha spesso collocato uno spartiacque tra i due decenni, una linea di rottura oltre la quale individuare l’inizio della crisi dei partiti e in generale la definitiva compromissione dell’assetto istituzionale definito dalla Costituzione del ’46.
L’adozione della teoria dei New Social Movement[1] come paradigma interpretativo di questo periodo, e il tentativo di superare l’idea che associa il “riflusso politico” agli anni Ottanta[2] mi ha portato a individuare nel movimento ecologista un fenomeno importante per comprendere le nuove direzioni intraprese dal sistema democratico nell’ultimo trentennio. Tale movimento, il cui studio è stato affrontato quasi esclusivamente da opere sociologiche, è stato descritto da Mario Diani attraverso la fortunata immagine dell’ “arcipelago verde”, metafora volta a coglierne la caratteristica di estrema eterogeneità e frammentarietà. In effetti racchiudere all’interno di un discorso unitario una mobilitazione così multiforme è un compito arduo: nel corso del tempo attori differenti per estrazione sociale e culturale hanno condotto differenti tipi di battaglie, conseguenti a una determinata modo di intendere l’ambiente. In generale quanti hanno studiato la storia del movimento “verde” ne hanno strutturato l’articolazione in tre filoni: conservazionismo, ecologismo politico, ambientalismo.
Il primo nasce nel dopoguerra, con lo scopo di proteggere un ambiente identificato con il suo patrimonio naturale e faunistico, con i suoi monumenti ed opere d’arte. Principale avversario del conservazionismo ambientale era il boom economico esploso dopo il secondo conflitto mondiale. Allora il desiderio di ricostruzione, al fine di risollevare al più presto le sorti nazionali, alimentò una corsa all’indiscriminata cementificazione, di cui ancora oggi subiamo i risultati. Principali attori di questa fase di lotta ambientale furono associazioni quali Wwf e Italia Nostra, rispettivamente volte alla creazione di aree naturali protette e alla preservazione del patrimonio artistico urbano.[3] Diversamente l’ecologia politica, debitrice dei movimenti studenteschi e operai del 68’, si è fatta difensore di un ambiente socialmente e antropicamente inteso, racchiudendo una serie di mobilitazioni volte a rivendicare la tutela dei luoghi quotidianamente vissuti da operai e gente comune. È all’interno dell’ecologismo politico che si sono sviluppate le posizioni più “a sinistra” dell’intero movimento: il nesso instaurato tra ambiente, salute e rischio industriale ha visto infatti la classe operaia come prima protagonista, dei danni procurati dall’industria.[4]
Infine l’ambientalismo, sviluppatosi intorno alla fine degli anni Settanta soprattutto grazie all’azione del Partito Radicale, è stato sia a capo di battaglie conservazioniste, sia fautore di altre più tipiche dell’ecologismo politico. Contrariamente a quest’ultimo, non ha adottato tuttavia prospettive di classe, o più specificamente anti-capitaliste, ma ha condotto campagne single-issue, trasversali a destra e sinistra.
In questo articolo ho deciso di far luce sulla “nebulosa verde” sin qui descritta nelle sue linee generali, attraverso la ricostruzione della vicenda editoriale che ha portato alla nascita del mensile La Nuova Ecologia. Questa decisione si inscrive in una più generica individuazione della stampa ecologista attiva tra i decenni Settanta e Ottanta come elemento fondamentale all’interno del movimento ecologista e della sua evoluzione. Alla stampa di quel periodo[5] da un lato va riconosciuta un’azione di informazione e coordinamento tra i vari nuclei di cui il movimento era composto, dall’altro la capacità di agire all’interno del movimento stesso, con l’obiettivo di favorirne determinati orientamenti. Benché l’orientamento adottato da «La Nuova Ecologia» si inscriva all’interno del filone dell’ecologia politica, ad una trattazione più specifica appare chiaro come determinate categorizzazioni, pur molto utili per fornire un inquadramento generale, semplifichino una realtà complessa, in cui la distinzione tra conservazionismo, ecologia politica e ambientalismo diventa talvolta labile e sfumata.
2. Da Ecologia a Nuova Ecologia
Per inquadrare con precisione la nascita di Nuova Ecologia è utile tracciare brevemente la storia della rivista che la precede e che le dona l’eredità: Ecologia.[6]
Copertina di "Ecologia" marzo 1978
Quest’ultima nasce a Milano nel 1971, diretta da Virginio Bettini, e si presenta come una rivista scientifica volta – per quanto possibile – a portare il dibattito accademico al di fuori dell’Università. Specializzata in tematiche concernenti l’inquinamento delle acque e l’inquinamento atmosferico, essa era formata da un gruppo di redattori estremamente eterogeneo quanto a formazione e ideali: ne facevano parte ambientalisti quali Virginio Bettini e Giorgio Nebbia, entrambi provenienti da Italia Nostra, Valerio Giacomini, botanico, presidente della federazione Pro Natura, Fulco Pratesi, vicepresidente del Wwf, gli idrobiologi Giorgio Marcuzzi e Menico Torchio. Sembra che il principale punto di scontro, destinato a portare i colleghi su irriducibili divergenze di opinioni, sia da individuare nel rispettivo modo di rapportarsi al modello di sviluppo capitalistico. Questo è il ricordo di Bettini a riguardo: «Il problema, la grossa questione, è nata dal fatto che sembrava […] che la tecnologia avrebbe risolto tutto. Io non ci credevo sostanzialmente». [7] Quindi da una parte chi nutriva una fiducia ceca nel progresso, dall’altra chi era desideroso di sottoporre a critica il progresso stesso.
L’occasione per la deflagrazione di un contrasto fino ad allora rimasto sostanzialmente latente fu offerta dalla pubblicazione del rapporto The limits to growth da parte del Club di Roma. Tale relazione – che assumeva come unico modello possibile di sviluppo quello Occidentale – individuava nei ritmi sempre più rapidi di crescita economica e demografica la causa di un’imminente catastrofe ambientale; unica alternativa a quest’ultima sarebbe stato scegliere l’opzione della “crescita zero”. Apertamente in polemica rispetto a una simile posizione fu Barry Commoner, biologo americano di formazione marxista. Egli, attraverso l’organizzazione di conferenze e con la pubblicazione della nota opera Il cerchio da chiudere, difese l’idea secondo cui non nell’aumento demografico, ma in un’ingiusta distribuzione delle risorse, andrebbero individuate le ragioni della crisi ambientale.
Le pagine di Ecologia ospitarono tale dibattito, e in seno alla redazione – una «babele tolemaica»[8], verrà definita poco più tardi – nacque una discussione tale da portare gli oppositori dell’analisi di Commoner ad allontanarsi progressivamente dalla rivista. La fine di quest’esperienza editoriale, sopravvenuta ufficialmente nel 1973, sarà ricordata con queste parole:
Pochissimi di noi conoscevano Commoner e la sua scoperta, ma l’applicazione della sua analisi al nostro modo di fare comunicazione e ricerca fu la grande deflagrazione che disperse il gruppo iniziale […] Pensavamo allora, e lo pensiamo ancora, che l’ecologia è rossa non nel senso massimalista del termine, ma nel complesso di un approccio culturale che valuti la risorsa ambiente come bene collettivo. Solo un taglio politico dell’analisi poteva, a nostro avviso, evidenziare la complessità delle problematiche ambientali. [9]
A sopravvivere ad Ecologia fu il suo neo-nato inserto, Denunciamo, cui avevano dato origine i giovani del Movimento Ecologico milanese. Questo ultimo era costituito da alcuni studenti che iniziarono a incontrarsi in seguito a una serie di conferenze promosse da Italia Nostra all’interno delle scuole della regione. Bettini, già da allora docente universitario, fu uno dei principali promotori di questa attività, e primo coordinatore del nascente gruppo. È importante soffermarsi sulle vicende che riguardano l’evolversi di Denunciamo, perché è proprio attraverso questo fascicolo di approfondimento che si forma il nucleo che darà origine a Nuova Ecologia. Carlo Monguzzi, e Andrea Poggio, provenienti da ingegneria, Mario Zambrini, studente di agraria, sono tra gli attori principali della prima fase di questa avventura.
Copertina di "The limits to growth"
Nel 1978 gli studenti e studiosi impegnati in Denunciamo decisero di rifondare Ecologia – scomparsa dalle edicole da ormai cinque anni – scegliendo di perfezionare il titolo iniziale con l’aggiunta dell’aggettivo “Nuova”, per sottolineare come dietro a un’evidente continuità col passato si celasse un rinnovato progetto editoriale. Rispetto alla precedente, la seconda versione del mensile presenta tratti inediti sia nella forma che nella sostanza. In primo luogo il rifiuto di inserzioni pubblicitarie è strumento attraverso cui si volle assicurare l’oggettività della valutazione scientifica. Non mi dilungherò nella – pur interessante – descrizione del funzionamento interno della rivista; per quanto concerne il suo funzionamento economico mi sembra pur importante sottolineare come nessuno tra i giornalisti coinvolti ricevesse una retribuzione: la riunione settimanale, l’impegno di redazione, rappresentavano un’occupazione supplementare (una «forma di militanza»[10], avrebbero detto alcuni) da svolgere in concomitanza con il mestiere svolto, spesso quasi a prolungamento e completamento dello stesso. In secondo luogo il nuovo gruppo di redattori appare molto più omogeneo di un tempo, unito dallo stesso modo di guardare alla natura, e dall’idea di «affermare una linea di sinistra nell’ambito dell’analisi ambientale» [11] Benché non esistesse una totale comunione d’intenti – come testimoniano le differenti strade intraprese da ognuno dei vari giornalisti in seguito all’esperienza di Nuova Ecologia – è possibile delineare un chiaro indirizzo editoriale. Questo fu in particolar modo caratterizzato da una spiccata attenzione nei confronti del panorama ecologista internazionale, dal desiderio di declinare socialmente la tematica ambientale, e dall’aspirazione a introdurre un’innovazione politica, tanto più necessaria di fronte alla crisi generalizzata che stava attraversando l’assetto istituzionale italiano.
3. Contenuti
Un impegno internazionale. Il primo articolo del primo numero di Nuova Ecologia porta in campo la discussione pre-elettorale degli ecologisti francesi [12]: un breve intervento, firmato dal collettivo di redazione, riflette sull’ascesa del partito “verde”, sulle sue caratteristiche, sul suo ruolo all’interno del scacchiere partitico preesistente. Si constata come gli ecologisti francesi abbiano saputo cavalcare l’onda della crisi istituzionale, guadagnando uno spazio politico «molto più vasto di quello suscitato dai soli problemi ambientali, che la sinistra (anche la nuova sinistra) ha lasciato scoperto».[13] In più il ragionamento su quanto stava accadendo oltralpe rappresenta un’occasione di confronto rispetto al panorama italiano, all’interno del quale la redazione auspica una più chiara politicizzazione del movimento, di modo che quest’ultimo sia meno trasversale alle subculture esistenti, e più dichiaratamente schierato a sinistra.
Copertina "Nuova Ecologia", agosto/settembre 1981
Il fatto che il mensile abbia scelto di esordire affrontando una tale tematica non è senza significato: venne in quel modo anticipata quella prospettiva internazionale che da allora in avanti fu sempre tenuta presente. Tra le differenti sezioni in cui il giornale venne organizzato ne comparve fin da subito una dedicata all’estero, all’interno della quale discutere delle sfide e delle conquiste ambientali caratterizzanti il contesto europeo. In effetti era la stessa natura della questioni ambientali a rendere, se non necessario, almeno auspicabile l’adozione di un punto di vista globale. La crisi petrolifera, la conversione energetica al nucleare, per non parlare delle problematiche legate all’inquinamento atmosferico e marino, al surriscaldamento globale – per fare solo alcuni esempi – erano questioni che certo travalicavano il contesto nazionale. Nel corso del 1979 Nuova Ecologia dedicò ampio spazio alla ricostruzione del panorama antinucleare europeo: si scrisse dell’opposizione presente in Germania, dei dissensi nati in Finlandia, e a più riprese ci si occupò del referendum previsto in Svizzera.
Nel 1981 venne pubblicato un importante articolo firmato da Paolo Sala, volto a documentare la prima opposizione ecologista clandestina in un paese dell’est.[14] Tomasz Talbierski, appartenente al neonato movimento di Solidarnosc, rivelava attraverso un’intervista l’insieme della problematiche ecologiche concernenti il suo paese. Furono affrontate differenti questioni, dall’inquinamento dell’acqua, a quelle legate all’agricoltura, dalla pianificazione urbana, alla nocività di fabbrica. In tutto questo lo scopo di Sala non era tanto di denunciare la dimensione mondiale dei problemi ambientali, che «si sapeva già da tempo», quanto rendere nota «l’esistenza di una relativamente forte sensibilità a questi temi dell’opinione pubblica nei paesi a socialismo reale».[15]
In ultimo, sempre a proposito del contesto internazionale, è importante notare il particolare rapporto, ideologico ma non solo, che legava la redazione di “Nuova Ecologia” a Barry Commoner e al suo pensiero. Le tesi del biologo statunitense riguardo l’ambiente, e in particolar modo riguardo le risorse energetiche, ispirarono profondamente ogni membro dell’equipe. Commoner, a partire dall’opera pubblicata nel ’71, The closing circle, si presentò come tenace sostenitore delle fonti di energia alternativa, in particolar modo del solare. Quest’ultima risorsa era additata come preferibile tanto a livello ambientale quanto sociale, perché da un lato meno inquinante dall’altro maggiormente democratica, essendo ugualmente distribuita su tutto il pianeta terra. Proprio il desiderio di un radicamento sociale della scienza, e in generale un’analisi della società vagamente ispirata dal marxismo – come è quella di Commoner – furono le linee guida della maggior parte degli articoli pubblicati sul mensile.
L’ambiente nella sua accezione sociale. Il debito rispetto al pensiero di Commoner, insieme all’eredità ricevuta dai movimenti studenteschi e operai del ’68/’69 e dalla loro critica alla scienza, determinarono la prospettiva attraverso la quale Nuova Ecologia guardò all’ambiente. Quest’ultimo era inteso nella sua accezione sociale e antropica: ci si occupava di ambiente urbano, dell’inquinamento – marino, atmosferico, terrestre – delle risorse energetiche. L’ambiente di cui si parlava e che si voleva tutelare era quello in cui vivevano i più, in particolar modo quello di coloro che possedevano meno mezzi per difendersi dall’abuso naturale determinato da un sistema economico esclusivamente teso verso l’aumento del profitto. Molti erano gli articoli che vedevano per protagonista la classe operaia – complice il particolare momento storico in cui la rivista nacque, ancora caratterizzato da un certo fermento all’interno delle fabbriche. Talvolta la denuncia dei crimini di una classe dirigente incurante di fronte alla tutela della salute e della vita dei suoi dipendenti, portò ad additare l’operaio stesso come soggetto privilegiato nello smascheramento della contraddizione esistente tra sviluppo capitalista e tutela ambientale. [16] A questo proposito un articolo recita:
Poniamo al primo posto lo sviluppo di una tecnologia che ha come centro la salute e la vita, ma tale sviluppo deve sapersi articolare nella realtà e dare risposte concrete per il risanamento ambientale, il ripristino dell’equilibrio biologico. Chi può far marciare contemporaneamente questi due momenti è il movimento operaio, l’unico che ha […] maturato una coscienza che non fa di questi valori degli slogans, ma ne fa una leva per la trasformazione di tutta la società. [17]
In generale tuttavia non si può sostenere che l’attenzione posta sulla classe operaia fosse tanto sistematica da dettare una netta linea editoriale. Accanto a interventi più specificamente attenti a quanto accadeva all’interno della fabbrica, dai rimandi più o meno espliciti all’ideologia marxista,[18] se ne trovano altri volti a rendere protagonista e attrice la società nel suo insieme. Rispetto a questa l’obiettivo ultimo, vagamente utopistico potremmo dire, era la trasformazione globale dei modelli culturali, da raggiungere sia attraverso l’introduzione di nuove norme a base dell’agire sociale sia con la trasformazione delle forme di sapere e conoscenza. [19]«Il nostro lavoro e il nostro impegno di controinformazione deve andare nella direzione dei compagni e dei lavoratori di base», scrive a questo proposito Bettini, indicando così il comune denominatore alla molteplicità di articoli.
Logo Antinucleare disegnato dall'attivista A. Lund
È proprio in virtù di questa linea di pensiero che Nuova Ecologia giustificò la sua strenua opposizione al referendum sul nucleare, che se approvato avrebbe dovuto aver luogo sul concludersi degli anni Settanta. Contro un Partito Radicale, accusato di strumentalizzare la promessa di una democrazia diretta, la redazione riteneva che la strategia d’azione andasse individuata non tanto nella promessa di un voto quanto in una maggiore conoscenza del territorio e della scienza da parte della popolazione. [20]
A favore di un rinnovamento istituzionale. Se rispetto alla società la redazione aspirava a un ruolo di guida intellettuale, nei confronti delle istituzioni essa si collocava in una posizione di aperta critica. La rivista nacque in un momento in cui le tradizionali strutture dello Stato stavano attraversando un momento di piena crisi, determinata dal dilagare del terrorismo e dal fallimento della strategia del compromesso storico. Di fronte al divario sempre crescente esistente tra i partiti e il loro elettorato, spesso i giornalisti di Nuova Ecologia accusarono la sinistra italiana, in particolar modo il PCI, dell’incapacità di cogliere le spinte innovative presenti all’interno della società. In siffatto contesto essi non individuavano nell’ecologia una nuova ideologia aggregativa, trasversale rispetto alle subculture cattolica e comunista già esistenti. Al contrario un potenziale «abbraccio interclassista» venne sempre condannato con toni molto netti: definito «mortale per ogni corretta vita politica di un paese» e «cocktail di qualunquismo dal quale ci vogliamo con fermezza dissociare», venne sempre condannato in favore di una lotta politica da svolgere all’interno dei partiti.[21] Per questo motivo in occasione delle elezioni amministrative del 1980, la redazione decise di non sostenere le liste verdi che in quella data si presentarono per la prima volta; ancora una volta sarebbe stato preferibile votare le giunte rosse che si fossero dimostrate sensibili alla tematica ambientale, «perché non è certo con l’indebolimento dei lavoratori che potremmo aprirci spazi di partecipazione per le nostre battaglie» [22]
Più in generale, oltre alla polemica rispetto al partito verde, quello cui la redazione auspicava era una maggiore interrelazione tra ambiente ed economia, quindi l’introduzione di parametri di valutazione economica che tenessero conto della salvaguardia del territorio.[23] Essi inoltre posero particolare accento su come una reale tutela dell’ambiente dovesse scaturire soprattutto da un’efficiente legislazione: su questa linea di pensiero si collocano gli interventi di sensibilizzazione riguardo la legge Merli, o altri che sostengono l’importanza di un adeguato piano ambientale.
4. L’eredità della rivista
Continua a leggere
Anche in seguito ad una sommaria valutazione, appare evidente come esista un divario consistente tra il piano programmatico della rivista, e gli strumenti per renderlo effettivo. Obiettivi quali la trasformazione della società, o delle istituzioni, non potevano certo essere raggiunti attraverso la sola pubblicazione del mensile, che rimaneva a tiratura limitata e diffuso all’interno di una ristretta cerchia di addetti ai lavori. Al di fuori della mera attività redazionale, l’unico intervento concreto, propositivo, volto a conferire un risvolto pratico alle riflessioni presentate su carta stampata, fu la fondazione della Lega per L’ambiente – oggi Legambiente – avvenuta nel 1980. Un esauriente approfondimento della nascita e dell’evoluzione di quest’ultima richiederebbe troppo spazio, e ci porterebbe fuori tema; basti dire che col passare del tempo Nuova Ecologia sarà inglobato da Lagambiente stessa, divenendo suo mensile (come è ai giorni nostri).
Fondazione di Legambiente nel 1980
Sarebbe tuttavia limitante ridurre alla nascita di Legambiente l’epilogo di questa vicenda editoriale, e la storia delle persone che vi presero parte. Non tutti entrarono a far parte di Legambiente, alcuni vi collaborarono per un certo periodo e poi ne presero le distanze, altri ancora invece intrapresero effettivamente una carriera al suo interno. Se quest’ultimo è stato il caso di Andrea Poggio, ad oggi vicepresidente dell’associazione,[24] altre furono le strade intraprese da molti dei suoi colleghi. Virginio Bettini, ad esempio, rimase fedele alla sua vocazione di insegnate: sebbene non estraneo al mondo della politica[25], è all’interno dell’Università che ha continuato e continua a svolgere il suo impegno di tutela ambientale. Carlo Monguzzi, membro di Legambiente per alcuni anni, intraprese una carriera politica che lo ha portato, attraverso la Federazione dei Verdi, a proseguire il suo impegno ecologista all’interno del PD, dove ad oggi prosegue la sua attività.[26] Altri ancora dopo anni di battaglie contro il nucleare condotte tanto all’interno quanto all’esterno di Nuova Ecologia, approdarono su posizioni opposte rispetto a quelle di partenza: è il caso di Chicco Testa[27], entrato in politica prima col PCI, poi col PDS, strenuo sostenitore del “no” in occasione del referendum antinucleare del 2011.
Nuova Ecologia fu un esperienza che permise a individui diversi di incontrarsi e collaborare per un fine comune, senza per queste annullare le differenze reciproche esistenti tra ognuno di loro. Palestra di partecipazione e coscienza ambientalista per quanti vi collaborarono, non si può certo dire non abbia lasciato il segno, tanto nella società quanto, e soprattutto, nella vita di chi vi prese parte: i protagonisti della sua fondazione, proseguirono a vario titolo la lotta a difesa dell’ambiente anche oltre l’esperienza editoriale, intraprendendo differenti percorsi, andando ad arricchire il mosaico ecologista.
5. “Orizzonti in crisi” e “orizzonti di crisi”
Continua a leggere
F. Hundertwasse Green Town, 1978
Tutto quanto detto sin qui si colloca a più riprese all’interno della nostra parola chiave, e delle riflessioni individuate dall’editoriale di riferimento.
Come accennato nell’introduzione, la più ampia crisi in cui si colloca il nascente movimento ecologista è quella dell’apparato istituzionale italiano: il delitto Moro, il dilagare del terrorismo, la fine del compromesso storico, gettarono un’ombra sul panorama politico della fine degli anni Settanta. La storiografia italiana ha rappresentato in maniera duplice tale momento di crisi. Alcuni vi hanno posto lo spartiacque oltre il quale si collocano gli Ottanta, schiacciati tra la delusione delle promesse rivoluzionarie emerse nel decennio precedente, e il lento emergere del sistema di corruzione deflagrato in “Tangentopoli”[28]. Altri sono stati al contrario più attenti a cogliere le caratteristiche di un decennio Ottanta “in sé”, descrivendo non tanto una società degenerata rispetto al passato, ma cambiata e in costante divenire.[29] In quest’ultimo caso non si è trattato di negare la crisi, ma solo di coglierla in una prospettiva differente, mettendo in luce i tratti peculiari del decennio, quali l’avvento di un sistema produttivo postfordista, la crescita del ceto medio, i mutamenti delle relazioni di genere e le trasformazioni avvenute in seno all’industria culturale in settori quali pubblicità, editoria e televisione.
Riflettere sulle origini del movimento ecologista ha significato prediligere questa seconda prospettiva. La crisi dello Stato italiano rimane costante cornice dell’origine e dell’evoluzione del movimento – impossibile, ad esempio, pensare che le misure antiterroristiche adottate dopo l’assassinio del leader della Dc non colpiscano anche la causa della lotta per la protezione ambientale. Nonostante questo il movimento verde si fa portatore di tematiche innovative, pur sempre debitore del passato, sia nella forma che nei contenuti. Compito dello storico dovrebbe essere quello di riportare in luce il passato, senza farvisi inghiottire, ma cogliendo fili e trame che lo legano al presente.
[Bibliografia]
[Fonti]
Se vuoi leggere di più su come è stato scritto questo articolo, butta un occhio qui.
Note (↵ returns to text)- Con questa espressione ormai di uso corrente si indicano quei movimenti che sono andati proliferando in Occidente dalla metà degli anni Settanta, in particolar modo quelli pacifista, femminista ed ecologista. Questi sarebbero connotati da alcuni caratteri “nuovi”, quali la trasversalità rispetto a destra e sinistra, un approccio di tipo single-issue, la tentenza a perseguire obiettivi raggiungibili nell’immediato, piuttosto che tendere a una trasformazione radicale della società. Un ampio numero di sociologi ha contribuito alla formazione e consolidamento della teoria dei NSM, basti citare alcuni nomi, quali A. Touraine, C. Offe, J. Habermas, A. Melucci, R. Inglehart.↵
- Il testo di G. Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ’80, Roma, Donzelli Editore, 2003, è quello che con più forza consacra la teoria del riflusso. Una tesi simile è sostenuta in altre sintesi del Novecento quali quella di S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana, Venezia, Marsilio, 1992, o di P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Torino, Einaudi, 1988, e in un volume collettaneo curato da S. Colarizi, La trasformazione della Leadership. Il PSI di Craxi in Gli anni Ottanta come storia, Soveria Mannelli, Rubettino Editore, 2004.↵
- Per il conservazionismo ambientale, e la storia di Wwf e Italia Nostra vedi: E. Meyer, I pionieri dell’ambiente. L’avventura del movimento ecologista italiano, Milano, Carabà edizioni, 1995.↵
- Per approfondire sulle origini dell’ecologia politica vedi C. Papa, Alle origini dell’ecologia politica in Italia in L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta: Culture, nuovi soggetti, identità, Roma, Rubettino editore, 2001, ma anche S. Barca, Lavoro, corpo, ambiente: Laura Conti e le origini dell’ecologia politica in Italia, in «Ricerche storiche», n.3, Dicembre 2011, p. 540-563.↵
- Tra le riviste più importanti su scala nazionale, specializzate in tematica ambientale, vanno citate, Sapere, Medicina Democratica, Geologia Democratica.↵
- Per informazioni su Ecologia vedi l’intervista in appendice e F.Lussana e G. Marramao, L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta: Culture, nuovi soggetti, identità, Roma, Rubettino editore, 2001, p. 422-424.↵
- Da fonte orale: intervista a Virginio Bettini.↵
- V. Bettini, La primavera dell’ecologia, in «Nuova Ecologia», aprile 1981, p. 5.↵
- Ibid.↵
- A. Melucci, Altri codici, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 194.↵
- Ibid.↵
- Il collettivo di redazione, L’ecologia ha bisogno di un partito?, In «Nuova Ecologia», marzo 1978, p. 3↵
- Ibid.↵
- P. Sala, Uomo ambiente e produzione in Polonia, in «Nuova Ecologia», 1981.↵
- Ibid.↵
- Come il lavoratore subisce la tecnologia (intervista a Giuseppe Erriquez, ex operaio della Montedison, uno dei pochi diplomati disoccupati, che ha avuto la fortuna di essere sottooccupato), in «Nuova Ecologia», aprile 1978, p. 8.↵
- L. Mara, Ecologia è lotta, dentro e fuori dalla fabbrica, in «Nuova Ecologia», giugno 1978, p. 24.↵
- Vedi a quest’ultimo proposito A. Poggio, Una nuova ecologia servirà per una sinistra nuova, in «Nuova Ecologia», p. 8: «Esistono anche i presupposti per una ricerca teorica nuova all’interno del marxismo e dell’esperienza del movimento operaio. È una diversa interpretazione del rapporto con la natura e del suo intreccio con la storia umana che andrebbe rivista radicalmente».↵
- Questa l’analisi che di «Nuova Ecologia» fa Melucci in A. Melucci, Altri codici, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 206.↵
- Collettivo di redazione, Antinucleare a colpi di referendum?, in «Nuova Ecologia» p. 3-4.↵
- V. Bettini, Contro il partito verde, in «Nuova Ecologia», maggio 1978, p. 4.↵
- A. Poggio, Un voto neppure verde, in «Nuova Ecologia», maggio 1980 p. 3-4. Oltre a questo, sono diversi gli interventi di critica rispetto alla nascita del partito verde, tra questi vedi V. Bettini, Contro il partito verde, in «Nuova Ecologia», maggio 1978, p. 4, A. Poggio, Liste verdi per le amministrative?, in «Nuova Ecologia», gennaio/febbraio 1980.↵
- Fonte orale, intervista a Bettini «Cioè, la CBA, noi la facevamo diventare l’ECBA…ora invece è rimasto sempre “Cost Benefit Analysis”, il CBA. Noi volevamo l’ECBA..» Vedi anche: Il collettivo di redazione, Ambiente e economia sono compatibili?, In «Nuova Ecologia», aprile ’79, p. 4.↵
- Ad oggi – novembre 2011 – A. Poggio è vicedirettore generale di Legambiente.↵
- Virginio Bettini fu eletto al Parlamento europeo nel 1989, candidatosi per la “Federazione dei Verdi”.↵
- All’interno delle elezioni amministrative che hanno portato all’elezione di Giuliano Pisapia – in Milano, il 1 giugno 2011 – Monguzzi si è presentato come sostenitore di quest’ultimo all’interno delle file del Partito Democratico.↵
- Presidente del Forum Nucleare Italiano prima del referendum del 12 e 13 giungo 2011, in cui è stato bocciato tout court un ritorno all’atomo.↵
- Vedi nota 2.↵
- In questo caso vedi: M. Gervasoni, Storia d’Italia degli anni ’80. Quando eravamo moderni, Venezia, Marsilio Editori, (2010), P. Ginsborg, L’Italia del tempo presente: famiglia, società civile, Stato 1980-1996, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, (1998), P. Capuzzo, Gli anni Ottanta in Europa, in «Contemporanea» /a. XIII, n. 4 ottobre 2010 e B. de Sario, Passato prossimo venturo, in “Zapruder. Storie in movimento”, gennaio/aprile (2010).↵
-
- Paolo Capuzzo, Gli anni Ottanta in Europa in Contemporanea / a. XIII, n. 4 ottobre 2010.
- Simona Colarizi, Gli anni Ottanta come storia, Soveria Mannelli, Rubettino editore, 2004.
- Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ’80, Roma, Donzelli editore, 2003.
- Beppe de Sario, Passato prossimo venturo,in “Zapruder. Storie in movimento”gennaio/aprile 2010.
- Mario Diani, Isole nell’arcipelago. Il movimento ecologista in Italia, Bologna, Il Mulino, 1988.
- Marco Gervasoni, Storia d’Italia degli anni ’80. Quando eravamo moderni, Venezia, Marsilio Editori, 2010.
- Paul Ginsborg, L’Italia del tempo presente: famiglia, società civile, Stato 1980-1996 Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 1998.
- Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Torino, Einaudi, 1988.
- Alberto Melucci, Altri codici Bologna, il Mulino, 1984.
- Edgar Meyer, I pionieri dell’ambiente. L’avventura del movimento ecologista italiano Milano, Carabà edizioni, 1995.
- Catia Papa, Alle origini dell’ecologia politica in Italia in L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta: Culture, nuovi soggetti, identità Roma, Rubettino editore, 2001.
↵
-
- Consultazione della rivista Nuova Ecologia nelle sue seguenti annate: 1978, 1979, 1980, 1981.
- Intervista a Virginio Bettini. Trascrizione completa visibile in:https://we.riseup.net/coordinamentostorici/origini-del-movimento-ecologista-italiano, tra “Allegati”.
↵
anni Ottanta, crash, movimento antinucleare, movimento ecologista, Nuova Ecologia 2-Crash