Le palizzate del cattivo selvaggio

Creato il 16 febbraio 2013 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Treviso: “…dove Sile e Cagnan s’accompagna”, è una città piena di grazia, in angoli appartati i salici si chinano delicatamente sull’acqua all’incrocio dei due fiumi, accade a volte che si compia il prodigio di Hemingway, vedere passare una vela tra gli alberi. È una città teatro anche letterario e cinematografico dell’opulenza godereccia, dove il cibo e succulento e il vino, anche nei calici dell’osteria, è buono e va giù che è un piacere.
Sonetto dello schivarsi e dell’inchinarsi, è una poesia di Zanzotto, un titolo che si presta a descrivere certe province che combinano riservatezza e conformismo con certe esuberanze pazze dissipate, ubbidienza e ribellione a capoluoghi e capitali ingombranti e arroganti.

Chissà a cosa possiamo ascrivere la disgraziata decisione del vicesindaco leghista di Treviso il tristo e tristemente noto Gentilini, un nome che è un ossimoro, che ha proclamato l’urgenza indilazionabile di far erigere delle palizzate in legno altre tre metri per chiudere il portico e il parcheggio dell’ex sede della Provincia, rifugio per i tanti clochard che popolano il centro storico trevigiano e meta abituale di incontro di un collettivo di giovani. Non è bella una palizzata in pieno centro storico, ma protervo e ben allineato all’ideologia di regime il Gentili obietta: “Della bellezza non me ne frega niente, prima viene la sicurezza dei miei cittadini”. E minaccia di cingere di mura anche altri edifici storici, oggetto possibile di insediamenti a rischio, a suo dire: “Lì c’é gente equivoca, non posso tollerare che diventino luogo di raccolta di sfaccendati, drogati o spacciatori”.

Ogni volta che si denunciano gli osceni provvedimenti dei sindaci sceriffi, salta su qualcuno che, dopo aver anticipato che non è xenofobo, che non è razzista, che non è fascista, ma i drogati attaccano le malattie, i rom rubano, insorge contro le anime belle, gli snob, gente privilegiata che non sa cosa vuol dire vivere vicino a un accampamento, camminare rasente a marciapiedi dove stanno stravaccate varie tipologie antropologiche e sociologiche di trasgressori, tossici, barboni, extracomunitari e che puzzano e che disturbano e che fanno male al turismo e che danneggiano il decoro.
Eh si, il decoro è seriamente minacciato di questi tempi. Il vicesindaco Gentilini avrà il suo bel da fare di qui in avanti per cingere di mura l’enclave fortificata dei suoi elettori, nei quali alimenta la paura del diverso, la nausea per il suo odore e la sua lingua e la sua tristezza infinita, la diffidenza, il rancore anticipato nel timore che succeda qualcosa che li riduce come il clochard steso a terra: la perdita di beni, ruolo sociale, sicurezze. Ne avrà di muri da tirar su, che la Grecia, indicata con apotropaica tenacia come pericolo a portata di mano se non si acconsente al diktat del rigore, è vicina. Ne avrà di palizzate da alzare per proteggere i pingui sopravvissuti sempre più spaventati, le loro case, le loro banche, i loro supermercati, le loro università, i loro ristoranti sempre pieni. Ne avrà di baluardi da costruire per difenderli da quella “gente equivoca”, gente che vuole riprendersi la città, le sue strade, gente che vuole riprendersi il pane anche quello del giorno prima, gente che non sente la vergogna della povertà come una colpa da nascondere agli occhi pudibondi di chi il pane ce l’ha e anche il companatico, gente che vuole riprendersi il diritto di avere diritti.