le palme sono in silenzio, nonostante il vento,
la marea si ritira il deserto sussurra
Assia Djebar
Assia Djebar è andata via da questo mondo l’otto febbraio, all’età di 78 anni. Avevo scritto su di lei nel 2012, a proposito delle poetesse algerine in lingua francese. Lo ripropongo quel breve scritto a mo’ di saluto.
Separare il vissuto con il cantato è impossibile nelle opere di molte poetesse algerine di lingua francese. E’ il vivere quotidiano in guerra contro di loro, nella ricerca della piena e libera espressione e non solo culturale. Dall’indipendenza, ottenuta anche con il sacrificio delle donne algerine, fino al Fronte di salvezza islamica, non c’è pace per il vivere al femminile che chiede spazi diversi dalle visioni canonizzate della legge religiosa. E che paga spesso con l’allontanamento dalla propria terra, con l’esilio se non con la clandestinità la voce delle scrittrici e delle poetesse che non si allineano alla conservazione del sistema.
Assia Djebar. Le voci del suo mondo l’assediano, come riporta il titolo di un suo scritto. Forse è a tutt’oggi una delle più celebrate artiste algerine in lingua francese. Nata nel 1926, è la prima autrice magrebina ad essere ammessa all’Accademia francaise, una delle poche donne vincitrici del Neustadt International, premio della Pace nell’ottobre 2000. Fatima-Zohra Imalayen ha cambiato il suo nome in Assia Djebar all’uscita del suo primo romanzo per non destare disapprovazione di suo padre, insegnante di lettere, e pian piano è diventata una delle scrittrici più famose del Nord-Africa. E Assia Djebar è mossa, come lei stessa dice “dall’urgenza della scrittura, l’urgenza della parola dinanzi al disastro” L’urgenza della denuncia, del recupero della memoria. La volontà di togliere il velo del silenzio alle donne islamiche”. Il mondo dell’Islam è patriarcale, e raccontare la condizione femminile è un impegno gravoso – qualcuno ha scritto nel sito ufficiale dell’artista – ma va da se che lo spirito femminile è indomabile, e le artiste del Magreb fermano le voci tra quelle che le assediano anche se la pace è lontana.
L’UOMO CHE CAMMINA
L’uomo che cammina
a volte nella notte a volte nella luce
nella luce dei fuochi d’artificio
dei proiettori
delle parole
a volte nella notte
nella notte difficile.
Dall’altra parte, gli altri
disarmato delle tenebre
innocente di alcun crimine se non della pietà
guardare
gli spettatori del viaggio
che hanno paura del naufragio
la deriva non è al largo
ceneri nel loro delirio il cuore
dietro l’uomo che cammina.
L’uomo che cammina
la sua memoria veemente
gli dice che che dobbiamo imparare
a parlare protestare gesticolare
gli hanno detto la libertà
si nutre
anche della pubblicità
una foto ben scattata una frase ben detta
compra i cuori, i sentimenti
di dolce, di tenero e d’ indifferente
del sonno del beato
del boia delle donne
gli altri,
– dice la canzone –
sono un risparmio di tempo
di sudore e di sangue
sono da sempre dei Barbari
Senza lirismo
senza storia
L’uomo che cammina
alle calcagna il poeta
luppolo ai piedi
sull’ombra di un volto silenzioso
ombra della morte ombra di ghigliottina
ombra dell’ombra
della realtà.
II
Io non ho detto nulla all’uomo
non ho nulla da dire
semplicemente sono solo stanca sono stanca sono stupefatta
perché dichiarare
le palme sono in silenzio, nonostante il vento,
la marea si ritira il deserto sussurra
e l’oro quell’oro sul sole
giuro non ho nulla da dire
le luci m’accecano e i fari
ho bisogno della notte ho bisogno di un suicidio
ho bisogno di tirar fuori i miei polmoni mi bruciano
sono stanco stanco ha detto l’uomo senza dirlo
la strada sarà una rigida pendenza
non ho il coraggio di cantare
sono vinto non ho nulla da dire
per il futuro.
III
Il silenzio tra di noi non è di moda
è una bestia che mi assedia
il silenzio ciò che l’innocenza
non libera da qualsiasi tua passione
se tu rifiuti i nostri miraggi
se tu deridi i nostri occhi
celebrare il martire non può
la sola vista dei tuoi stracci
scaccia tutte le celebrazioni
o dobbiamo fino alla fine della festa tributarti
un trionfo
tra gli applausi
tu hai ben evitato lo sprezzo della vittoria
tu hai ben evitato gli specchi
se vuoi esplodere arrestarti ritrovarti
se non vuoi fuggire nella foresta
se vuoi dormire
se si vuoi dimenticare
se vuoi vivere
dovrai trascorrere nel molto
la nostra lingua e difenderla
Essere acclamato ribelle o incoronato re
o morire nell’arena in pubblico perché no
lo scherno e la gloria e la morte dell’eroe
queste sono gli allori delle parole
tesori sulla spiaggia
queste sono le armi
che offriamo al nostro rimorso ai nostri simili
i barbari che probabilmente hanno un solo passato e di sangue
per superare il mutismo, contenere i demoni
mostri dei nostri ricordi delle nostre mitologie
dei nostri inni di gloria della nostra identità
noi
noi consegniamo castrato
il nostro vocabolario.
L’uomo che cammina a piedi
Senza tradimenti senza riposo
(traduz. S. Sambiase)
(già postato su WSF con il titolo Le Costruttrici d’Oriente – III Parte, a cura di Met Sambiase)
Assia Djebar
copyright Giovannetti/effigie
« Je ne vois pour les femmes arabes
qu’un seul moyen de tout débloquer:
parler, parler sans cesse d’hier et d’aujourd’hui. »
(dal libro Femmes d’Alger dans leur appartement, 2004)
Assia Djebar
(Fatma-Zohra Imalayène)
Cherchell, 30 giugno 1936 – Parigi, 8 febbraio 2015
tratto da Il manifesto, articolo di Giuliana Sgrena
L’opera di Assia Djebar è dedicata in gran parte all’emancipazione della donna, alla storia, all’Algeria vista attraverso la violenza e le sue lingue. Assia Djebar scriveva in francese: «Scrivo dunque, e in francese, la lingua degli antichi colonizzatori, che è tuttavia diventata irreversibilmente quella del mio pensiero, mentre continuo ad amare, soffrire e anche pregare ( in arabo, la mia lingua madre». L’assunzione del francese è stata vissuta in modo radicalmente opposto da altri scrittori che la consideravano la «lingua dell’esilio».
Questa intimità con la lingua francese permette ad Assia Djebar di essere ammessa all’Accademia di Francia, la prima volta di un autore algerino, ammissione presentata dai francesi come un gesto di «riconciliazione». Al contrario, Assia Djebar nel suo discorso di insediamento, 22 giugno 2006, non risparmia critiche ai colonizzatori: citando un «discorso sul colonialismo», del poeta Aimé Césaire, sottolineava come le guerre coloniali in Africa e in Asia avevano di fatto «resa incivile e selvaggia l’Europa».
È stata questa anche l’occasione per ricordare come «scrittori, giornalisti, intellettuali, uomini e donne d’Algeria che, negli anni 90, hanno pagato con la vita il fatto di scrivere, esporre le loro idee o semplicemente insegnare … in lingua francese». E Assia Djebar ha reso omaggio agli intellettuali algerini assassinati con Bianco d’Algeria, seguito da un saggio Ces voix qui m’assiègent (1999) e poi altri testi autobiografici come La femme sans sépulture (2002), la Disparition de la langue française (2003), Nulle parte dans la maison de mon pere (2007).
Tra le varie attività artistiche di Assia Djebar vi è anche quella di regista, alla quale si è dedicata soprattutto negli anni 70, realizzando due film: La Nouba des femmes du Mont Chenoua, premio della Critica internazionale a Venezia nel 1979, e un corto, La Zerda ou les chants de l’oubli (1982). A partire dagli anni ’80 Assia Djebar si era stabilita nella regione parigina, ma alternava la sua residenza francese con soggiorni in Louisiana e a New York, dove ha proseguito la sua carriera universitaria. Una vita estremamente impegnata che ha procurato alla scrittrice algerina numerosi riconoscimenti in tutto il mondo. È stata più volte candidata anche al premio Nobel, ma non l’ha mai ricevuto.