le palme sono in silenzio, nonostante il vento – In memoria di Assia Djebar.

Creato il 11 febbraio 2015 da Met Sambiase @metsambiase

le palme sono in silenzio, nonostante il vento,

la marea si ritira il deserto sussurra

Assia Djebar

Assia Djebar è andata via da questo mondo l’otto febbraio, all’età di 78 anni. Avevo scritto su di lei nel 2012, a proposito delle poetesse algerine in lingua francese. Lo ripropongo quel  breve scritto a mo’ di saluto. 

Separare il vissuto con il cantato è impossibile nelle opere di molte poetesse algerine di lingua francese. E’ il vivere quotidiano in guerra contro di loro, nella ricerca della piena e libera espressione e non solo culturale. Dall’indipendenza, ottenuta anche con il sacrificio delle donne algerine, fino al Fronte di salvezza islamica, non c’è pace per il vivere al femminile che chiede spazi diversi dalle visioni canonizzate della legge religiosa. E che paga spesso con l’allontanamento dalla propria terra, con l’esilio se non con la clandestinità la voce delle scrittrici e delle poetesse che non si allineano alla conservazione del sistema.

Assia Djebar. Le voci del suo mondo l’assediano, come riporta il titolo di un suo scritto. Forse è a tutt’oggi una delle più celebrate artiste algerine in lingua francese. Nata nel 1926, è la prima autrice magrebina ad essere ammessa all’Accademia francaise, una delle poche donne vincitrici del Neustadt International, premio della Pace nell’ottobre 2000. Fatima-Zohra Imalayen ha cambiato il suo nome in Assia Djebar all’uscita del suo primo romanzo per non destare disapprovazione di suo padre, insegnante di lettere, e pian piano è diventata una delle scrittrici più famose del Nord-Africa. E Assia Djebar è mossa, come lei stessa dice “dall’urgenza della scrittura, l’urgenza della parola dinanzi al disastro” L’urgenza della denuncia, del recupero della memoria. La volontà di togliere il velo del silenzio alle donne islamiche”. Il mondo dell’Islam è patriarcale, e raccontare la condizione femminile è un impegno gravoso – qualcuno ha scritto nel sito ufficiale dell’artista – ma va da se che lo spirito femminile è indomabile, e le artiste del Magreb fermano le voci tra quelle che le assediano anche se la pace è lontana.

L’UOMO CHE CAMMINA

L’uomo che cammina

a volte nella notte a volte nella luce

nella luce dei fuochi d’artificio

dei proiettori

delle parole

a volte nella notte

nella notte difficile.

Dall’altra parte, gli altri

disarmato delle tenebre

innocente di alcun crimine se non della pietà

guardare

gli spettatori del viaggio

che hanno paura del naufragio

la deriva non è al largo

ceneri nel loro delirio il cuore

dietro l’uomo che cammina.

L’uomo che cammina

la sua memoria veemente

gli dice che che dobbiamo imparare

a parlare protestare gesticolare

gli hanno detto la libertà

si nutre

anche della pubblicità

una foto ben scattata una frase ben detta

compra i cuori, i sentimenti

di dolce, di tenero e d’ indifferente

del sonno del beato

del boia delle donne

gli altri,

– dice la canzone –

sono un risparmio di tempo

di sudore e di sangue

sono da sempre dei Barbari

Senza lirismo

senza storia

L’uomo che cammina

alle calcagna il poeta

luppolo ai piedi

sull’ombra di un volto silenzioso

ombra della morte ombra di ghigliottina

ombra dell’ombra

della realtà.

II

Io non ho detto nulla all’uomo

non ho nulla da dire

semplicemente sono solo stanca sono stanca sono stupefatta

perché dichiarare

le palme sono in silenzio, nonostante il vento,

la marea si ritira il deserto sussurra

e l’oro quell’oro sul sole

giuro non ho nulla da dire

le luci m’accecano e i fari

ho bisogno della notte ho bisogno di un suicidio

ho bisogno di tirar fuori i miei polmoni mi bruciano

sono stanco stanco ha detto l’uomo senza dirlo

la strada sarà una rigida pendenza

non ho il coraggio di cantare

sono vinto non ho nulla da dire

per il futuro.

III

Il silenzio tra di noi non è di moda

è una bestia che mi assedia

il silenzio ciò che l’innocenza

non libera da qualsiasi tua passione

se tu rifiuti i nostri miraggi

se tu deridi i nostri occhi

celebrare il martire non può

la sola vista dei tuoi stracci

scaccia tutte le celebrazioni

o dobbiamo fino alla fine della festa tributarti

un trionfo

tra gli applausi

tu hai ben evitato lo sprezzo della vittoria

tu hai ben evitato gli specchi

se vuoi esplodere arrestarti ritrovarti

se non vuoi fuggire nella foresta

se vuoi dormire

se si vuoi dimenticare

se vuoi vivere

dovrai trascorrere nel molto

la nostra lingua e difenderla

Essere acclamato ribelle o incoronato re

o morire nell’arena in pubblico perché no

lo scherno e la gloria e la morte dell’eroe

queste sono gli allori delle parole

tesori sulla spiaggia

queste sono le armi

che offriamo al nostro rimorso ai nostri simili

i barbari che probabilmente hanno un solo passato e di sangue

per superare il mutismo, contenere i demoni

mostri dei nostri ricordi delle nostre mitologie

dei nostri inni di gloria della nostra identità

noi

noi consegniamo castrato

il nostro vocabolario.

L’uomo che cammina a piedi

Senza tradimenti senza riposo

(traduz. S. Sambiase)

(già postato su WSF con il titolo Le Costruttrici d’Oriente – III Parte, a cura di Met Sambiase)

Assia Djebar
copyright Giovannetti/effigie

« Je ne vois pour les femmes arabes

qu’un seul moyen de tout débloquer:

parler, parler sans cesse d’hier et d’aujourd’hui. »

(dal libro Femmes d’Alger dans leur appartement, 2004)

Assia Djebar

(Fatma-Zohra Ima­layène)

Cherchell, 30 giu­gno 1936 – Parigi, 8 febbraio 2015

tratto da Il manifesto, articolo di Giuliana Sgrena

L’opera di Assia Dje­bar è dedi­cata in gran parte all’emancipazione della donna, alla sto­ria, all’Algeria vista attra­verso la vio­lenza e le sue lin­gue. Assia Dje­bar scri­veva in fran­cese: «Scrivo dun­que, e in fran­cese, la lin­gua degli anti­chi colo­niz­za­tori, che è tut­ta­via diven­tata irre­ver­si­bil­mente quella del mio pen­siero, men­tre con­ti­nuo ad amare, sof­frire e anche pre­gare ( in arabo, la mia lin­gua madre». L’assunzione del fran­cese è stata vis­suta in modo radi­cal­mente oppo­sto da altri scrit­tori che la con­si­de­ra­vano la «lin­gua dell’esilio».

Que­sta inti­mità con la lin­gua fran­cese per­mette ad Assia Dje­bar di essere ammessa all’Accademia di Fran­cia, la prima volta di un autore alge­rino, ammis­sione pre­sen­tata dai fran­cesi come un gesto di «ricon­ci­lia­zione». Al con­tra­rio, Assia Dje­bar nel suo discorso di inse­dia­mento, 22 giu­gno 2006, non rispar­mia cri­ti­che ai colo­niz­za­tori: citando un «discorso sul colo­nia­li­smo», del poeta Aimé Césaire, sot­to­li­neava come le guerre colo­niali in Africa e in Asia ave­vano di fatto «resa inci­vile e sel­vag­gia l’Europa».

È stata que­sta anche l’occasione per ricor­dare come «scrit­tori, gior­na­li­sti, intel­let­tuali, uomini e donne d’Algeria che, negli anni 90, hanno pagato con la vita il fatto di scri­vere, esporre le loro idee o sem­pli­ce­mente inse­gnare … in lin­gua fran­cese». E Assia Dje­bar ha reso omag­gio agli intel­let­tuali alge­rini assas­si­nati con Bianco d’Algeria, seguito da un sag­gio Ces voix qui m’assiègent (1999) e poi altri testi auto­bio­gra­fici come La femme sans sépul­ture (2002), la Dispa­ri­tion de la lan­gue fra­nçaise (2003), Nulle parte dans la mai­son de mon pere (2007).

Tra le varie atti­vità arti­sti­che di Assia Dje­bar vi è anche quella di regi­sta, alla quale si è dedi­cata soprat­tutto negli anni 70, rea­liz­zando due film: La Nouba des fem­mes du Mont Che­noua, pre­mio della Cri­tica inter­na­zio­nale a Vene­zia nel 1979, e un corto, La Zerda ou les chants de l’oubli (1982). A par­tire dagli anni ’80 Assia Dje­bar si era sta­bi­lita nella regione pari­gina, ma alter­nava la sua resi­denza fran­cese con sog­giorni in Loui­siana e a New York, dove ha pro­se­guito la sua car­riera uni­ver­si­ta­ria. Una vita estre­ma­mente impe­gnata che ha pro­cu­rato alla scrit­trice alge­rina nume­rosi rico­no­sci­menti in tutto il mondo. È stata più volte can­di­data anche al pre­mio Nobel, ma non l’ha mai ricevuto.


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