Le parc du Mercantour

Da Enricobo2

Tutte le volte ci ricasco. Hai voglia dire - Te l'avevo detto, ma non ti ricordi l'altra volta...- Niente da fare, l'amore mi convince, un'occhiata dolce e -Vedrai che bello-, qualche particolare pruriginoso ed è fatta. E' cominciato anche questa volta un altro tragico trekking montano di Fantozzi. Il tira tira, oltre all'occhio tumido della mia GS (gentile signora) e al piacere di stare con gli amici, cosa che mi fa sopportare anche le più tragiche esperienze, era dato dal Parco del Mercantour e la sua decantatissima Vallée des Merveilles con oltre 9000 graffiti protostorici (mi raccomando non dite preistorici se no la guida si altera). Aggiungo che la lettura della trilogia di Vargas che svolge l'intero secondo romanzo tra i lupi del parco, ha contribuito a intrigare la mia maledetta curiosità. Sta di fatto che, di buon mattino, ci siamo lasciati alle spalle le dolci spiagge assolate di Mentone con i suoi croissant caldi e burrosi e abbiamo percorso gli orridi della Val Roja per raggiungere gli amici al limitare del parco.
Tranquillo sono solo tre o quattro ore di cammino in piano, il dislivello è pochissimo, una passeggiata per disabili. Sono tutti allegri e felici, non si sa, se per le meraviglie della valle omonima che ci attendono o per avermi attratto nella trappola. Comincia la vestizione dl torero. Dovete capire che questi Rambo della montagna, sono forniti di tutto punto di ogni attrezzo avveniristico e tecnico inclusi bastoncini da cammino in leghe speciali, zaini spaziali ed ergonomici, pile da testa ad alto rendimento, pedule che accarezzano il piede come massaggiatrici thailandesi, magliette di fibre tecnologiche che permettono scambi di ossigeno e altre molecole utili, calze che riposano il piede invece di cuocerlo e così via. Io, non uso per scelta di vita a queste corvée, invece, sembro la caricatura dell'alpinista. Pinocchietti uso mare, maglietta della salute a protezione dell'ampio girovita, zaino sbilenco che comunque affardellato non riesce a stare in posizione eretta, scarpette pantofola attraverso le cui suole ogni sasso viene a chiedere ragione dell'esperienza mistica, borraccia presa coi punti, pesantissima borsa fotografica, cilicio ulteriore autoimposto al peninente. Nessuno si cura del fatto che devo portarmi un secondo zaino di circa 35 kg attorno alla vita, che non posso posare mai.
Così garruli e contenti si parte per l'erta sassosa che procede nel bosco con rampe appositamente preparate per mozzare il fiato ai turisti della domenica. Frotte di escursionisti francesi invece, mi superano a passo forzato gettandomi sguardi di compatimento. Dopo solo mezz'ora, il cielo si incupisce e la bella giornata di sole cede spazio ad una nera nuvolaglia gonfia di pioggia. La montagna come si sa è traditrice e mentre cadono le prime gocce, tutti estraggono dagli zaini apposite mantelline in speciale tessuto avvolgente e traspirante, coprizaino e varie ed eventuali. La montagna va affrontata con il rispetto dell'esperienza e tutti sono ovviamente attrezzati alla bisogna come si conviene. A me l'ulteriore onta di dover mendicare il prestito di un K-way di fortuna e ombrellino coprizaino. Poco dopo la pioggia si allontana, pur rimanendo in zona per costringerti a non mollare i ripari sotto i quali il sudore scende copioso, incollandoli alla pelle. La fatica comincia a diventare fastidiosa. Le pietre sempre più aguzze, man mano che si procede, si piantano nei piedi quasi con gioia, come a dirti: - L'hai voluto, adesso godi!- Alla quarta ora di cammino, anche se ero partito per primo per avvantaggiarmi, sono ormai stato superato da tutti e mentre le gambe mostrano ormai segni di cedimento totale, i menischi urlano la loro rivolta e le ginocchia implorano pace, appare in fondo ad un grande circo di montagne granitiche, il rifugio sulle rive erbose di un laghetto dalle acque livide che invitano a lasciarsi andare tra le loro gelide braccia in cerca finalmente della pace eterna.
Mi getto su un pancaccio in cerca di quiete mentre la compagnia, appena terminato il formaggino Tigre e la tavoletta di cioccolata di ordinanza, una specie di razione K del montagnard, si sparpaglia festosa per le balze circostanti, dietro una fanciulla dal garretto possente da camoscio delle alte vette, in cerca dei famosi graffiti ovviamente sopravvalutatissimi, ma che qui, come ogni altra cosa sanno vendere benissimo. Quando tornano tutti per la cena, il rifugio è al completo, pieno come un uovo, 75 persone che si affastellano nella saletta in cui viene servita polenta e beuf bourguignonne, potage e tome de Savoie per prepararsi alla notte. Un disgraziato francese chiede se c'è un televisore per vedere la partita. Un rasta- montagnard lo guarda con disprezzo e gli risponde - Le jeu du balon est interdit dans le parc.- Il malcapitato se ne fugge via vergognoso con la coda tra le gambe. Una volpe indegnamente attirata dai rifiuti che le vengono appositamente forniti, arriva maliziosa, fa il suo lavoro e se ne va, tra il crepitio delle macchine fotografiche. Arcobaleno maestoso nel cielo cupo e alle 8 tutti a nanna. Lo stanzone principale che contiene una cinquantina di gitanti ha un po' la forma delle baracche di Auswitz.
Dal camino esce un filo di fumo nero della stufa in ghisa. Una serie di tavolacci a castello dove le vittime vengono allineate le une accanto alle altre e fornite di relativa coperta è già pronta. Noi italiani veniamo messi sopra e subito ci si predispone ordinatamente per la notte. Ci corichiamo in sequenza e silenziosi per non incorrere nelle ire di qualche alpinista vero che sotto, già da qualche minuto russa, ma piano come si conviene tra persone educate. Il sonno cala misericordioso sulle membra usurate che urlano pietà e linimento. Il risveglio è torpido e lento. Un leggero mal di testa ti ricorda che la CO2 non rallegra l'emoglobina, mentre la temperatura, grazie alla concentrazione di corpi umani, è ormai elevatissima. L'acqua gelida dei rubinetti ti risveglia definitivamente e ti ricorda che anche se le tue gambe sono ormai diventate borse gonfie di acido lattico, devono ritornare a valle comunque, perchè qui stanno per arrivare altri come te a reclamare il tuo posto.
Ma il troppo è troppo e l'interminabile strada del ritorno compie la sua mesta opera devastatrice sulle mia fragili e vetrose ginocchia, costringendomi a ricorrere alle amorevoli cure dei due medici con cui avevo avuto l'accortezza di accompagnarmi. Anziano ma astuto direte voi. Nosce te ipsum piuttosto e io il mio pollo lo conosco bene e so che finisce sempre così. Quindi ho predisposto i successivi tre giorni di riposo assoluto sulla spiaggia sassosa (niente fastidiosa sabbia nel costume) di Mentone. Libro, sudoku, sonno e plateau di formaggi alla sera per ritemprarsi. Eh sì, che bella sarebbe la montagna se ci fosse il mare.
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Luberon.Bianco marmorato.Il mondo è piccolo.


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