Le parole sono bisturi

Da Marcofre

Il buon Anton Čechov diceva che bisogna essere obiettivi nel raccontare le storie. Ne parlava a proposito dei sentimenti quando si scrivono storie patetiche.

Lui dichiarava che su una storia lo scrittore può anche piangere, ma di questo il lettore non deve avere alcuna percezione.

Obiettività, appunto.

In questa maniera, aggiungeva infine, sarà più forte l’impressione.

Čechov non era certo uno scrittore che “impressionava”, come per esempio Stephen King.

Ma sapeva alla perfezione che se si vuole ottenere qualcosa, occorre procedere con determinazione. E con obiettività.
Spesso questo termine viene considerato con severità perché colpevole di “raffreddare” il tono di quanto si racconta. Quindi, o si abbonda con le parole, oppure si cerca l’effetto strappalacrime.

Entrambi sono fallimentari, e possono piacere solo quando si è da tempo scelto di abbracciare la realtà piatta della televisione. Dove ora si piange, ora si ride, ora si piange.
E per passare da una condizione all’altra ci vogliono storie strappalacrime.

I sentimenti sono una brutta gatta da pelare. Non esiste “Il” modo per affrontarli, solo delle linee guida. Si può però ottenere il massimo effetto se si affronta la faccenda in maniera chirurgica. Il che significa tutto e niente, me ne rendo conto. Come faccio, ci si chiede, a essere chirurgico?
Il termine deriva dal greco, e significa opera della mano. Forse è qui il trucco: bisogna sempre partire da un fatto molto chiaro: siamo carne. Non idee. E per arrivare a trasmettere qualcosa, bisogna agire sapendo che si ha a che fare con carne. Non si opera con l’aria. Ma con mani e bisturi.

E le parole non sono leggere, né aria. Hanno un peso, una precisione. Sono esse il bisturi. Un bravo autore non deve “creare” l’effetto, perché esso è già nella storia. Occorre estrarlo, spogliandolo di tutto quello che ne smorta il tono, la forza.


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