“Le perizie” di William Gaddis

Creato il 21 aprile 2010 da Retroguardia

di Amedeo Buonanno

 
“L’errato giudizio di una generazione è sempre fonte di sorpresa per la successiva.” Uguale stupore, suggerisce Steven Moore nel suo saggio “William Gaddis”, ci prende ora quando veniamo a conoscenza che “Le perizie”, opera prima di William Gaddis pubblicata nel 1955, fosse stata largamente ignorata per 20 anni fino alla pubblicazione, nel 1975, di “JR”. Sfortunatamente in Italia l’autore continua ad essere perlopiù ignoto nonostante la vittoria del National Book Award per ben due volte (nel 1976 per “JR” e nel 1994 per “Frolic of his own”). La sua ridotta notorietà qui da noi è andata di pari passo con la mancata traduzione delle sue opere in italiano, basti pensare che solo nel 2009,  dopo 34 anni dalla sua pubblicazione, è apparso sugli scaffali delle librerie, per i tipi di Alet, “JR“.

L’intreccio delle storie, dei personaggi, dei simboli, dei riferimenti eruditi insieme ad uno stile variegato, rendono “Le perizie” una delle più interessanti, affascinanti e complesse prove letterarie del ‘900.

Un primo punto da chiarire sono le influenze subite da Gaddis. Lo stesso autore nel 1972 in risposta ad una domanda di uno studente, Grace Eckley, scrisse:

«All I read of Ulysses was Molly Bloom at the end which was being circulated for salacious rather than literary merits; No I did not read Finnegans Wake though I think a phrase about “psychoanaloosing” one’s self from it is in The Recognitions; Yes I read some of Dubliners but don’t recall how many & remember only a story called “Counterparts”; Yes I read a play called Exiles which at the time I found highly unsuccessful; Yes I believe I read Portrait of an Artist but also think I may not have finished it; No I did not read commentary on Joyce’s work & absorb details without reading the original. I also read, & believe with a good deal more absorbtion [sic], Eliot, Dostoevski, Forster, Rolfe, Waugh, why bother to go on, anyone seeking Joyce finds Joyce even if both Joyce & the victim found the item in Shakespeare, read right past whole lines lifted bodily from Eliot &c, all of which will probably go on so long as Joyce remains an academic cottage industry».

Con queste parole Gaddis rispondeva a tutti coloro che rivedevano nella sua opera molte somiglianze con quella di Joyce (“A Portrait of the Artist as a Young Man” e “Ulysses” su tutte). Nonostante lo stesso Gaddis escluda l’influenza diretta di Joyce, è inevitabile che nel leggere “Le perizie” il pensiero vada al grande autore irlandese. Gaddis dichiara, invece, che altri sono i suoi riferimenti (Eliot, Dostoevski) ed in particolare nella stesura di quest’opera si è servito di testi come “Il ramo d’oro” di Frazer e la “La dea bianca” di Robert Graves.

Il tema centrale de “Le perizie” è la falsificazione in tutte le sue forme (nell’arte, nella religione, nei rapporti sociali ecc.) ma la complessità con cui è affrontato rende impossibile una trattazione esauriente e concisa. Iniziamo così da una esposizione della trama che inevitabilmente conterrà degli spoiler e che ci permetterà di evidenziare alcuni aspetti.
Il reverendo Gwyon e la giovane moglie Camilla, partono per un viaggio in Spagna sulla nave Purdue Victory ma durante la traversata Camilla viene colpita da un’appendicite acuta. Un certo Frank Sinisterra, introdottosi a bordo fingendosi medico, è chiamato a curarla provocandone però la morte. Gwyon seppellisce la moglie nel cimitero di San Zwingli, un paese vicino Madrid, ottenendo che la salma fosse trasportata su un carro bianco: così “era tornata, virginea, alla terra: virginea agli occhi dell’uomo, comunque. Il bianco carro funebre di San Zwingli era destinato ai neonati ed alle vergini” (pag. 29). La sua salma viene posta accanto a quella di una “bimba strabica con lunghe calze bianche” (pag. 16), la stessa bambina undicenne che poco dopo veniamo a sapere essere stata vittima di uno stupro dodici anni prima, e probabilmente la stessa bambina che su un giornale si dice verrà canonizzata a Roma (pag. 504) ricordando sotto molti aspetti la figura di Santa Maria Goretti.

Per riprendersi dal grande dolore il reverendo Gwyon si stabilisce nel Real Monasterio de Nuestra Senora de la Otra Vez dove viene accolto dai frati nella curiosità generale (“poiché pochi avevano visto un protestante in carne e ossa” (pag 23)) alimentando anche qualche sospetto quando un frate informa gli altri di aver visto “il loro eretico ospite amministrarsi l’Eucaristia in camera sua, una cerimonia rozza e solitaria in confronto alla loro” (pag. 23).

Una notte, disteso sul letto, il reverendo riceve l’apparizione della moglie che lo tocca su una spalla. Gwyon si alza e va alla finestra dove vede la luna proiettare i suoi raggi verso il letto e, preso da un grande sconforto, inizia a ripetere il nome della moglie. I frati, preoccupati per la sua salute, fanno in modo che si trasferisca nel miglior albergo di Madrid da cui poi potrà ripartire per tornare a casa. Il ritorno nel New England senza il corpo di Camilla provoca un certo scompiglio nella comunità calvinista ed in particolare nella sorella May, molto devota. Lo sconcerto della sorella è aumentato dal fatto che il reverendo Gwyon ha portato con se molte icone cattoliche ed una scimmietta, quest’ultima relegata in cantina e protagonista di un “rito sacrificale”.

Durante la mancanza del fratello, zia May ha accudito il nipote Wyatt educandolo molto rigidamente secondo i dettami della religione Calvinista. Anche dopo la morte di May, la rigida educazione ricevuta condizionerà molto la vita ed i comportamenti del giovane Wyatt ed il fatto che la zia condannasse le sue iniziali creazioni (“Non ami il nostro Signore Gesù, dopo tutto?[...] Allora perché cerchi di prendere il Suo posto? Nostro Signore è l’unico vero creatore, e solo i peccatori cercano di emularLo” (pag. 65)) lo porterà a nascondere le sue opere ed a sentirsi fortemente in colpa per le sue creazioni (“sempre più convinto, mentre gli anni passavano e il suo talento sbocciava e fioriva col rigoglio dell’alloro, di essere dannato” (pag. 66)) ed a dedicarsi alla copia ed infine alla falsificazione. A causa di quella colpa che non riesce a scrollarsi di dosso ed alla vendita di un quadro del padre (“I Sette Peccati Mortali” di Bosch) sostituito con un falso da lui stesso prodotto, Wyatt abbandonerà gli studi in seminario (pag. 112) mentre il padre sprofonderà sempre più nello studio delle religioni delle origini e del paganesimo:

«Non passava giorno festivo, sobriamente tollerato senza che il reverendo Gwyon lo paragonasse cupamente a qualche cerimonia pagana, tanto che i suoi parrocchiani avevano la sgradevole impressione di essersi dati al bel tempo. Pure quei volti grigi mantenevano il silenzio, per precario che fosse. Non erano mai stati trattati così dal pulpito. Sì, molti si agitarono, indignati e a disagio, dopo aver ascoltato la nota storia di una nascita da una vergine avvenuta il venticinque dicembre, mutiliazione e resurrezione, solo per scoprire che non erano stati al servizio di Cristo ma di Bacco, Osiride, Krishna, Budda, Adone, Marduck, Balder, Attis, Anfione o Quetzalcoatl.»

(pag. 104)

Wyatt si trasferisce a Parigi per approfondire i suoi studi d’arte e nel suo appartamento riceve la visita di un critico, Cremer, che gli chiede una percentuale sui proventi delle sue opere in cambio di una critica positiva che lo aiuterà non poco. La pretesa di pagare il critico inizia a minare l’idea di arte e di opera d’arte che Wyatt ha e lo pone di fronte alla profonda ipocrisia insita nella critica e come dirà anni dopo a Basil Valentine, “La critica? Oggi è l’arte più importante, oggi è quella di cui abbiamo più bisogno” (pag. 582). La forte disillusione lo avvicinerà sempre di più a quello che è il mondo della falsificazione lavorando per Recktall Brown a cui in passato aveva venduto il quadro di Bosch trafugato al padre.

Nel frattempo Wyatt sposa Esther, scrittrice di prosa e donna molto razionale, con cui mantiene una relazione distaccata sempre avvolto nei suoi turbamenti (“(Per la prima volta dopo tanti mesi) egli l’abbracciò; ma la sua mano, toccandole la spalla, non la strinse, vi si posò soltanto” (pag. 193)). Da questo punto in poi Gaddis si riferisce a Wyatt senza più utilizzare il suo nome ma rendendolo riconoscibile durante la narrazione grazie ai suoi caratteri peculiari, alle sue ossessioni ed al suo modo di parlare. Esther inizia a tessere una relazione con Otto, scrittore di un’opera teatrale “La vanità del tempo” da tutti considerata un plagio ma che nessuno riesce ad indicare di cosa (pag. 512 e pag. 532). Otto in realtà nei suoi dialoghi prende spunto da situazioni di vita quotidiana dei suoi conoscenti tra cui lo stesso Wyatt (Esther infatti gli dirà: “La pittura fiamminga, e il rigore della sofferenza, che Dio dedica ad un momento la stessa cura che dedica a un’ora, ho già sentito tutto da lui” (pag. 229)). Frustrato sia dal lavoro che dalla vita amorosa, Wyatt lascia entrambi per dedicarsi alla falsificazione delle opere d’arte per conto di Recktall Brown. Dopo un periodo di convivenza con Esther, Otto la lascia per andare in America Centrale in una piantagione di banane continuando a lavorare alla sua opera. Dopo un certo periodo ritorna a New York City abbronzato e con una falsa fasciatura al braccio per procurarsi ammirazione e simpatia (pag. 185). Durante un party al Greenwich Village per la presentazione dell’opera di un artista/critico di nome Max, a cui partecipa lo stesso Otto, appaiono sulla scena molti dei personaggi che ritroveremo durante tutto il romanzo (alcuni con valenza anche simbolica): Agnes Deigh, agente letterario; Hannah, un’artista del Village ed appassionata di psicologia; Stanley,  pianista cattolico molto devoto; Anselm (il cui vero nome è Arthur da lui poi cambiato in onore di Sant’Anselmo) poeta irriverente; Arny e Maude Munk una coppia che cerca di adottare un figlio senza mai riuscirci; Esme, una donna maniaca depressiva che scrive poesie. In particolare Esme è una figura centrale, contesa da Otto e Chaby Sinisterra, figlio di Frank, ma in realtà innamorata di Wyatt per cui posa come modella.

In un passo centrale dell’opera Recktall Brown ed il critico Basil Valentine incontrano Wyatt. Durante l’incontro parlano del piano di creare una falsa tela di Hurbert van Eyck (1), fratello di Jan van Eyck, l’Annunciazione. Wyatt è molto amareggiato dall’attegiamento di Recktall Brown che tratta le sue opere alla stregua di prodotti farmaceutici (pag. 421) mentre dovrebbero godere della massima considerazione vista la sua dedizione nel crearle. 

Le sue opere non hanno nulla a che vedere con le altre riproduzioni che rappresentano invece una calunnia al suo lavoro tanto da rendergliele insopportabili:

«E’ solo un modo di screditare tutto il… è una calunnia, ecco cos’è, nei confronti del mio lavoro»

[...] Basil Valentine si tolse dalle labbra la sottile sigaretta e parlò con freddezza «Falsificare è calunniare» disse «Ogni pezzo che lei fa è una calunnia per l’artista che falsifica»

«Non è vero. Non è vero, maledizione, io… quando lavoro io… Crede che questi io li faccia nel modo in cui sono stati fatti tutti gli altri falsi? Mettendo insieme i frammenti di dieci quadri diversi per farne uno, o pigliando un… un Durer e invertendo la composizione in modo che l’uomo guardi a destra anzichè a sinistra, mettendogli una barba da un altro ritratto, e un cappello, un cappello diverso da un altro, così che guardandolo possano riconoscervi la mano di Durer? No, è… le perizie vanno molto più in là, molto più indietro, e io… questo… gli esami radiografici, e coi raggi ultravioletti e infrarossi, gli esperti con la loro microfotografia e … macrofotografia, crede forse che sia tutto qui? Alcuni di loro non sono mica stupidi, non cercano soltanto un cappello o una barba, o uno stile che si possa riconoscere, guardano con ricordi che… si spingono nel passato, risalgono a… dove risalgono i miei»

(pagg. 434-435)

 

«E così quando lei lavora, il lavoro è suo» disse Basil Valentine «E quando ci mette la firma?» 

[...] «Sì quando ci metto la firma» disse tornando a crollare il capo, «questo cambia tutto, quando ci metto la firma e … lo perdo» 

«Allora interviene la corruzione, è così, mio caro amico?» Basil Valentine si alzò in piedi, sorridendo. Accese una sigaretta. «Quella è l’unica cosa  per cui possano processarla in tribunale, sa? se la pescano. La contraffazione della firma. La legge se ne infischia del quadro. Dio mica li guarda.»

(pag. 437)

E più avanti nel discorso Valentine dirà a Wyatt:

«Lei si preoccupa straordinariamente della sua originalità, non è vero?»

[...]«Originalità! No, io no, io…»

«Via, mio caro amico, è proprio così. Ma in realtà lei dovrebbe dimenticarla, o cederle e godersi la vita. Oggi lo fanno tutti [...]. L’originalità è un artificio di cui si serve la gente priva di talento per fare colpo su altra gente priva di talento, e per difendersi dalla gente di talento…»

(pagg. 437-438)

In precedenza Valentine aveva esposto abbastanza chiaramente le sue idee sull’arte e sul pubblico in modo sintetico con la frase: “Se il pubblico è convinto che un quadro sia di Raffaello, ed è disposto a pagare il prezzo di un Raffaello [...] allora è un Raffaello” (pag. 416). Valentine ancora più critico verso il pubblico imbastisce inoltre un interessante parallelo tra il mondo antico e quello moderno mettendone sempre di più in evidenza la stessa ipocrisia di base:

«Sì, pensi alla tradizione che ha dietro di lei» proseguì Valentine, voltando le spalle. «Lucio Mummio, e quella storia famosa in cui avverte gli uomini incaricati del trasporto del suo bottino da Corinto a Roma che ogni tesoro d’arte rotto o perduto avrebbe dovuto essere sostituito a spese del responsabile. Non avevano un’idea dell’arte diversa da quella di coloro che ci attorniano al giorno d’oggi, non una molecola di stima, ma ne portarono a Roma a tonnellate. Ebbe inizio il collezionismo privato, cosa che i Greci non si erano mai sognati di fare. Cominciò a Roma, e con esso la contraffazione. Gli stessi poseurs, gli stessi idioti che compravano un vaso solo se gli costava un occhio della testa, la stessa gente che viene qui da Brown, col panciotto grigio, forse al posto della toga, la stessa gente che c’era a Roma, la stessa gente, le stesse mani… »

«Ma lei, lei allora, se la pensa così…»

«Perché la gente, la gente ci sta portando al punto raggiunto da Roma quando un tribunale era capace di assegnare un quadro al proprietario della tavola, non all’artista che ve lo aveva dipinto sopra» [...]

«Sì, quando crollò la Repubblica Romana crollò anche il collezionismo d’arte, scomparve la contraffazione artistica. E poi? In luogo dell’arte ebbero la religione, e tutto il loro talento s’indirizzò verso le reliquie consacrate. Metà della popolazione le collezionava, l’altra metà le produceva. Non nacque una foresta di reliquie dell’unica vera Croce? Moltiplicazione miracolosa. Poi il Rinascimento, e allora abbandonarono le falangi dei santi per ritornare all’arte»

(pagg. 426-427)

Dopo l’incontro Wyatt torna nel suo studio di Horatio Street dove lo raggiunge Esme per posare per lui, ed egli rivede nei suoi tratti la possibilità di concludere un ritratto della madre che aveva iniziato da ragazzo utilizzando una foto della donna. Il quadro, che attraversa tutta l’opera, viene chiamato da ValentineStabat Mater“, un tributo d’amore verso la madre ma anche il simbolo dell’autenticità nell’arte, negli affetti, nel senso religioso e nella vita in generale. 

Wyatt inizia a meditare sul proposito di smascherare i suoi falsi mostrandone in pubblico dei frammenti conservati a casa di Esther. Annuncia questo proposito a Valentine (pag. 584) chiedendogli un aiuto ma quest’ultimo, pur accettando di aiutare Wyatt, anticiperà a Recktall Brown i propositi del giovane prima che questi vada a trovarlo casa. Durante questo incontro il mefistofelico Brown cerca di dissuadere Wyatt:

«La fede necessaria? Lo è anche il denaro, e guarda quanta gente ce l’ha, per amor del cielo. Lasciali agli altri i sentimenti, e tu usa il cervello»

(pag.628)

riaffermando i discorsi che aveva già affrontato con Wyatt al loro primo incontro, quando il giovane artista spiegava i motivi che lo avevano spinto a non fare più opere proprie dando così la possibilità a Brown di proporgli la falsificazione di alcune opere d’arte:

«E’ il fatto di…  l’essere circondati da persone che non hanno alcun senso di… non si rendono conto che quello che fanno deve avere un significato. Non capisce? Che c’è un senso di necessità nel loro lavoro, che va fatto, che appartiene a loro. E se la pensano così, come possono vedere alcunché di necessario in quello di un altro? Ed è… ogni opera d’arte è un’opera perfettamente necessaria.»

«Dove l’ha letto?»

«Non l’ho letto. Così… dev’essere, ecco tutto. E se la vita degli altri, il lavoro della gente che ti circonda è intercambiabile e nessuno può fermarsi a dire: “Questo è mio, questo è ciò che devo fare, questo è il mio lavoro…” allora, come possono vederlo nel mio, questo senso d’inevitabilità, che è così che dev’ essere.»

[…] «La gente lavora per denaro, ragazzo mio»

«Ma io…»

«Il denaro da importanza a tutto»

«Sì. Così crede la gente, non è vero? Così crede la gente.»

Recktall Brown attese, paziente, come chi aspetta che un bambino risolva un problema semplicissimo al quale non si può dare che una risposta. La sigaretta accesa di fronte a lui, li unì nelle diverse spirali del loro fumo.

«San Paolo, sa… ci dice di redimere il tempo.»

«Ah, sì?» Il tono di Recktall Brown era gentile, incoraggiante.

«Un’opera d’arte redime il tempo.»

«E comprarla redime il denaro» disse Recktall Brown.

(pagg. 253-254)

Dopo l’inutile incontro con Brown, Wyatt va a prendere i frammenti a casa della moglie e li porta a casa di Valentine. Qui, in evidente stato confusionale e quasi al limite di un esaurimento, ruba una statuetta di un toro e parte per andare a trovare il padre intenzionato a riprendere gli studi da sacerdote. Tornato a casa si accorge però di come ormai nessuno lo riconosca (“Nessuno sa chi sono” (pag. 758)), il padre, ormai quasi uscito di senno, lo scambia per il sacerdote di Mitra che deve morire per mano del Pater Patratus per poi risorgere (pag. 747), Justine lo confonde con il Cristo tornato per la seconda volta (pag. 696), il nonno, Il Falegname della Città, lo confonde con padre John tornato “dall’Etiopia e dalle tre Indie” (pag. 705). Dopo aver assistito ad un rito di congiungimento tra Justine ed un toro, Wyatt fa ritorno a New York dove reincontra Valentine con cui discute le sue intenzioni di mostrare i frammenti al party di Natale di Brown. Valentine gli chiede di poter venir in possesso dello “Stabat Mater” ma Wyatt dice di aver bruciato tutto. Durante il loro dialogo Valentine comprende che è lo “Stabat Mater” che incombe su Wyatt che, innamorato di Esme, vorrebbe in realtà redimersi credendo di poterlo fare attraverso lo smascheramento dei falsi da lui prodotti nel tempo:

«Perbacco, quest’improvviso tentativo di rimettere in sesto il mondo intero, annullando le falsificazioni che vi ha seminato? E poi? La felicità eterna? Allora lei sarà redento, e la redimerà, e… Dio sa che altro! Prima è Shabbetai Zebi, ora è l’Olandese Volante? Dia retta a me» continuò, abbassando la voce «questa innocenza perduta che lei è tanto ansioso di ritrovare, be’, bisogna andare molto più indietro, sa. E questa idea di poter rimettere subito tutto in ordine è… è puerile»

(pag. 954)

Durante la festa di Brown, Wyatt cerca di convincere gli invitati che quei quadri esposti sono in realtà dei falsi ma nessuno sembra credergli ed allora va a casa di Valentine per recuperare i frammenti che gli ha affidato in modo da mostrarli come prova. Valentine è però andato da Brown che gli sta raccontando di quanto accaduto in sua assenza. Durante la festa Brown, incurante del parere negativo di Valentine, mostra ai suoi invitati la “Morte della Vergine” di van der Goes fatto da Wyatt e in cui Valentine ha però ricostruito il volto Vergine sfigurato dal danno “indifferente alla composizione” prodotto ad arte da Wyatt. Dopo la presentazione dell’opera Recktall Brown entra nell’armatura da lui tanto amata e cade dalle scale morendo all’istante. Nel frattempo ritorna Wyatt e mentre tutti vanno via, rimane da solo con Valentine e Fuller, il domestico che Brown tratta come uno schiavo. Si scopre così che Valentine ha bruciato i frammenti che Wyatt gli aveva affidato ed in fiamme è finito anche lo studio di Horatio Street con tutto ciò che c’era all’interno. Inizia un’accesa discussione in cui Wyatt accoltella Valentine anche se non mortalmente. Nel frattempo Fuller uccide il barboncino del padrone e ritorna nel suo paese natale mentre Wyatt vaga alla ricerca di Esme che nel frattempo ha tentato il suicidio ed è ricoverata in ospedale.

Wyatt decide di partire per la Spagna alla ricerca della tomba della madre e della sua innocenza perduta. Al cimitero di San Ziwgli, oltre a Wyatt, vi è anche Frank Sinisterra (con i documenti falsi di un romeno di nome Yak) alla ricerca di un corpo da utilizzare per falsificare una mummia da vendere, come originale, al signor Kuvetli che in realtà è un killer ungherese, di nome Inononu, assoldato per uccidere un certo signor Yak, specializzato in antichità egizie.

Quando Sinisterra si rende conto che Wyatt è il figlio di quella donna che lui ha ucciso molti anni prima, viene colto dall’irrefrenabile necessità di aiutarlo e di prendersi cura di lui come un padre per riparare in qualche modo al male commesso. Gli offre un passaporto falso, con il nome di Stephen Arsche (Stephen è il nome che la mamma Camilla voleva che avesse prima che intervenisse la zia May (pag. 53)), dargli consigli e renderlo partecipe del suo piano criminoso ma quello che attualmente interessa a Wyatt sono solo le donne e l’alcool. Visto che molti anni prima durante una guerra al cimitero di San Ziwgli “hanno buttato tutto per aria, in certi posti hanno addirittura scoperchiato delle bare e messo in piedi i cadaveri dappertutto” (pag. 1345) la salma che trafugano è quella della bimba uccisa ad undici anni il cui corpo tutti credono essere stato inviato a Roma per la canonizzazione (invece quello trasferito è probabilmente di Camilla).

Durante il loro viaggio in treno verso Madrid insieme alla salma vengono a sapere che la polizia sta cercando un falsario ed ognuno, sentendosi  il ricercato, va per la propria strada. Mentre veniamo a conoscenza della morte di Yak (Sinisterra) per mano di Inononu, ritroviamo anni dopo Wyatt nel convento Real Monasterio de Nuestra Senora de la Oltra Vez dove restaura alcune opere d’arte e si imbatte in Ludy, uno scrittore di successo. Durante la sua permanenza al monastero arrivano le ceneri del padre inviate qui dal suo sostituto, Dick, con il solito pacco di generi alimentari che il reverendo Gwyon inviava puntualmente al monastero. Le ceneri, scambiate per farina, vengono utilizzate per produrre il pane che Wyatt in un atto simbolico, mangia durante la sua opera di restauro. Grazie al dialogo con il custode del monastero, probabilmente inspirato all’omicida di Maria Goretti, Alessandro Serenelli, Wyatt inizia ad intravedere quella che è la propria strada. Così infatti si esprimerà Wyatt parlando con Ludy:

«Rifletta, se una volta che sei entrato nella vita, sei nato nel peccato, allora? E come fai a espiare? Chiudendoti nel rimorso di ciò che avresti potuto fare? O sopportandolo fino in fondo. Chiudendoti nel rimorso per ciò che sai di aver fatto? O tornando indietro e sopportandolo fino in fondo. [...] O… o averlo sopportato fino in fondo, e sopportarlo fino in fondo e deliberatamente continuare a sopportarlo fino in fondo».

(pag. 1552)

e ad un certo punto Wyatt, dopo aver accennato alla presenza di una figlia probabilmente avuta da Pastora, una donna che aveva conosciuto durante la sua permanenza in Spagna, (“Una figlia, sì! e nata per, non amore, ma partorita per amore, quando ebbe luogo, il parto, il presente riplasmò il passato”(pag. 1555)), dirà:

«Vedrà, senta, senta, senta ecco se la prospettiva del peccato, ci attira ma il peccato è soltanto noioso e morto nell’attimo in cui viene commesso, è solo il sopravvivergli che lo riscatta» 

«Dove va?»

«Sono partito presto, sono arrivato fin qui. Senta le campane! Il vecchio, che mi invita a riprendere il viaggio»

(pag. 1555)

Così Wyatt, finalmente libero dal senso di colpa e dalle catene del passato, lasciando Ludy con una frase di Sant’Agostino (“Dilige et quod vis fac [...] Ama, e fa quello che vuoi” (pag. 1558)), sembra intenzionato ad affrontare la vita pienamente.

A questo punto, nonostante la storia di Wyatt si concluda qui, il romanzo continua presentandoci i destini degli altri protagonisti le cui vicende abbiamo avuto modo di conoscere contemporaneamente a quelle di Wyatt.

Interessante è la storia del signor Privner che, quasi investito dal taxi che ha accompagnato Basil Wyatt dopo il loro primo incontro, cerca di incontrare il figlio, che non ha mai conosciuto, che altri non è che Otto. I due si sono dati appuntamento al bar di un albergo ma il signor Privner, dimenticatosi la dose di insulina necessaria per il suo diabete, non riesce ad essere lì in orario in quanto all’ingresso dell’albergo si sente mancare, viene scambiato per un barbone ubriaco e così viene allontanato. Nel frattempo Otto, al bancone del bar, attende l’arrivo del padre. A raggiungerlo sarà invece Frank Sinisterra che, scambiandolo per uno spacciatore di monete false, gli rende un pacchetto, frutto del suo lavoro, contenente 5000 dollari in banconote da venti dollari false. Questo regalo di Natale è molto gradito da Otto che è sempre stato ossessionato dal denaro (“senza soldi un uomo a New York si sente castrato” (pag. 265)). Con i soldi ricevuti invia al padre, quello vero, una vestaglia che però permetterà alla polizia di arrestare il signor Privner per spaccio di monete false. Otto parte per un viaggio in America Centrale, viene ferito, questa volta realmente, durante una sommossa e viene curato dal Dr. Fell. In questo frangenete Otto assumerà il nome di Gordon (il nome del personaggio della sua opera) e quando verrà a sapere di essere stato derubato dei soldi falsi scoppierà in una risata catartica mentre  il Dr. Fell gli dice “Puoi… devi … ricominciare tutto da capo” (pag. 1648).

Come lo stesso Moore indica con grande acume, Otto rappresenta una “ridicola controparte di Wyatt che scimmiotta i suoi modi, ruba le sue migliori battute” ma che ha il ruolo di rappresentare il dramma dell’autenticità e dell’identità su un piano che è la versione “mondana” di quello più metafisico su cui si muove Wyatt permettendo a molti lettori di immedesimarcisi con più facilità.

Altra storia degna di nota è quella di Stanley che cerca di riportare Agnes Deigh sulla strada di Cristo, e va a Roma per incontrare la mamma della donna perché possa aiutarlo a suonare la sua opera per pianoforte (“una Messa da Requiem se l’avesse fatta tre secoli prima” (pag. 1566)) nella chiesa di Fenestrula. Durante il viaggio in nave un uomo viene ripescato dal mare ed Esme, credendo si tratti di Wyatt, vorrebbe andare da lui ma Stanley, innamorato di lei, non glielo permette e la rinchiude nella sua stanza (pag. 1458) dalla quale riuscirà però ad uscire. In una situazione confusa Stanley ha l’impressione che Esme voglia buttarsi in mare ma veniamo poi a sapere che chi ha cercato di lanciarsi giù è in realtà lui stesso e per questo viene ricoverato nell’infermeria della nave e arrivato a Napoli perde di vista Esme che si allontana con “l’uomo freddo” (Valentine ristabilitosi dalla  pugnalata di Wyatt). Una volta a Roma Stanley verrà a sapere che Esme ha deciso di prendere i voti e preso dallo sconforto si avvia verso Fenestrula. Qui, durante il giorno della canonizzazione della bambina con le calze bianche, il parroco mette in guardia Stanley di non suonare note troppo basse perchè potrebbe essere pericoloso. Il musicista, non comprendendo le raccomandazioni del prelato, suona normalmente provocando il crollo della chiesa che lo uccide all’istante nonostante la sua opera venga recuperata e suonata di rado.

Il primo capitolo rappresenta il fulcro intorno al quale ruota tutta l’opera. Da un lato vi è la perdita della Madre che nella sua verginità benché falsa (“virginea agli occhi dell’uomo, comunque.” (pag. 29)) è una sorta di Maria Vergine che aiuta Wyatt ad uscire dall’oscurità del peccato, della colpa, della falsificazione proiettandolo verso un più autentico senso di sè. Dall’altra vi è l’emblematica presenza / assenza del padre le cui ceneri verranno mangiate in modo rituale da Wyatt. Fondamentale per la crescita di Wyatt è la figura della zia May che prende il posto della madre nella sua educazione e condizionerà molto il giovane artista nella sua visione del mondo. Wyatt è, durante tutta l’opera, alla ricerca della madre (simbolo virginale di purezza ed autenticità) e di un rapporto con il padre perso invece nei meandri delle origini delle religioni. Lungo il suo percorso si imbatte in diversi sostituti (una sorta di falso) dell’immagine materna: zia May, Esther, Esme, Palomba ed altrettanti sostituti della figura paterna: Recktall Brown, Valentine, Frank Sinisterra, Custode del Monastero. Alla fine il suo viaggio si concluderà lontano da ogni falsità con una catarsi non solo per la cancellazione di quell’idea di colpa che lo affliggeva ma soprattutto per la comprensione che non è l’arte che redime il tempo ma è l’accogliere la vita a piene mani. Dalla falsa arte a cui è stato avvicinato dalle parole di zia May, dalle tentazioni di Recktall Brown (il Mefistofele di quest’opera), dalla delusione con l’incontro con il critico Cremer, Wyatt cerca inizialmente di giungere all’arte pura, vera, rappresentata dalla conclusione del ritratto della madre che in realtà non potrà mai concludere.

Molte situazioni del primo capitolo si ripresentano anche nella parte finale (il viaggio in nave, le atmosfere di San Ziwgli e di Madrid, il soggiorno nel monastero, ecc). Il figlio, come il padre, è alla ricerca di una sua dimensione. Mentre il padre, però, affronta la morte della moglie sprofondando nello studio delle religioni primitive che lo condurrà alla pazzia e forse alla crocifissione per mano di uno studioso di questa pratica, il signor Farisy (pag. 1237), il figlio inizialmente sarà quasi perseguitato dalla assenza della madre tanto da crearne un surrogato rappresentato dal ritratto incompiuto, ma alla fine comprenderà che c’è qualcosa di più vero della colpa e del passato ed è la vita da accogliere pienamente ed il futuro.

Il testo è pieno di simbolismi: Wyatt che mangia le ceneri del padre sotto forma di pagnotta; Wyatt che non viene più  nominato per gran parte del libro (“…è come se fossi partito prima che mi avesse dato un nome […] “Pongo su di lui questo destino, che non abbia mai un nome finchè non ne riceva uno da me” (pag. 944)) se non dopo aver acquisito l’identità di Stephen Asche; gli orecchini bizantini rappresentanti la madre ed il rasoio rappresentante il padre; la “verginità” della madre; gli specchi all’interno dei quali si riflettono i volti di molti personaggi; simbolica è l’oscurità in cui vive e lavora Wyatt; simboliche sono anche le feste del Village che come dice Gaddis hanno un che di religioso (“religioso cioè nel senso della devozione, dell’adorazione, della celebrazione della divinità, prima che la religione si confondesse con i sistemi dell’etica e della morale per diventare un penoso acciacco proprio delle cose che un tempo aveva esaltato.” (pag. 538)); simbolico è lo “Stabat Mater“; simbolici sono i gigli, fiore caro alla stessa Maria Goretti; simbolica è la presenza delle Pleiadi all’inizio ed alla fine del romanzo; simbolica è l’uccisione dello scricciolo all’inizio del romanzo; e potremmo continuare per un bel po’ perchè lunghissimo sarebbe l’elenco di tutti i simboli presenti  nel testo che derivano da una tradizione misterica (i misteri eleusini, o i culti mitraici), magica e religiosa.

Nella prefazione alla seconda edizione del “Ramo d’oro” Frazer scriveva che il metodo comparativo “può divenire un potente veicolo di progresso se mette a nudo certi punti deboli nei fondamenti sui quali è costruita la società moderna – se mostra che molte cose che siamo soliti giudicare solide poggiano sulle sabbie della superstizione, piuttosto che sulla roccia della natura” ed a simili risultati Gaddis conduce il lettore attraverso un lungo viaggio nella falsificazione dimostrando, usando le parole di Moore, che “come l’arte, anche la religione è soggetta alla decadenza ed alla contraffazione e l’ossessione di Wyatt per l’arte autentica è strettamente connessa con l’ossessione per l’esperienza religiosa autentica. In entrambi i contesti la genuinità va distinta dalla falsità”. Gaddis con la sua prima opera, “cerca di penetrare nelle fondamenta della cultura occidentale e di svelare alla luce abbagliante della satira le origini delle sue religioni, strutture sociali, epistemologie, ideologie sessuali e le sue forme d’arte” mettendone in evidenza la falsità e le ipocrisie di fondo.

NOTA

(1) Ad Hurbert van Eyck vengono attribuite pochissime opere, ma è una figura di cui molti studiosi sottolineano l’importanza sia per la formazione del fratello, sia per l’evoluzione della cultura fiamminga.


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