Il protagonista è un giovane intellettuale italiano di nome Lucio, che sta passando un periodo di profonda e scomoda introspezione. Tutto nasce da una domanda che rivolge a se stesso: «È possibile vivere nella disperazione e non desiderare la morte?» cui tenta di dare una risposta guardandosi attorno, cercando un rapporto con gli altri e la natura. E’ una domanda che non nasce in Lucio di per sé, ma arriva da molto lontano, e da un grande nome: Goethe, che la fa balenare ne Le affinità elettive.
Riesce a scoprire che è tedesca e si chiama Beate: da quel momento inizia un rapporto-inseguimento tra i due (o meglio tre, perché il marito di lei è sempre presente, vigile geloso ma trascurato) fatto soprattutto di sguardi, di silenzi e di tentativi di comunicazione con quei silenzi. Lucio è sempre più intrigato ed attirato, soprattutto nella sua parte intellettuale, dall’idea di dare una risposta concreta alla domanda di Goethe. La sua fantasia si spinge addirittura a chiamare in causa un esempio tragico e nobile, nel doppio suicidio di Heinrich von Kleist e della sua amica Henriette Vogel.
Non è la prima volta che nella narrativa campana si insinua lo spirito germanico: tra le terre campane (soprattutto quelle cariche di energia dirompente come il Cumano, o le isole) e quelle boschive e gelide della Germania, si crea spesso un legame forte, spesso.
Le cose, tuttavia, non vanno come sperato: Beate torna in Germania all’improvviso, lasciando il posto ad una gemella, Trude, completamente diversa da lei. Una personalità opposta: tanto era silenziosa e disperata Beate, tanto è vulcanica, piena di vita e di sberleffi Trude. Lucio viene nuovamente coinvolto in un rapporto a tre, con la presenza della madre ambigua delle due, con risvolti anche molto amari.
Niente è come sembra, in questo libro. E’ un gioco perenne di parole, facciate, recitazioni; è più un dramma teatrale, che non un romanzo vero e proprio. Non è un romanzo facile, di sentimenti e sensazioni facili: il potere intellettuale, qui, è lasciato libero, e come spesso accade, trae conclusioni molto amare, trancia giudizi. L’amore qui è un gioco, un gioco amaro.
Non è un libro per tutti. Moravia è un autore duro di descrizioni e sentimenti, per lui niente è lineare, e c’è poca solarità, poca speranza e una certa amarezza di vivere, inclusi in una forte complessità. Lo consiglio ai lettori più equilibrati, quelli che riescono a mettere un filtro di ottimismo soprattutto di fronte alle considerazioni più amare degli scrittori. E’ buono prendere atto che esistono alcune cose negative, ma il pessimismo spesso risulta fuorviante.