Le piante possono sentire?

Creato il 11 agosto 2015 da Deboramorano @DeboraMorano

Un bruco da cavolo si sta alimentando  su una pianta di Arabidopsis, dove, su una foglia adiacente, è stato posto un pezzo di nastro riflettente che aiuta a registrare le vibrazioni. Photo by Roger Meissen.

Cari lettori, ecco una nuova curiosità stavolta tratta dal Washington Post.

Come ben noto, le piante possono rilevare e reagire ai cambiamenti di temperatura, venti forti, e persino tocco umano. Ma possono sentire?

Le piante non possiedono una struttura specializzata nel percepire i suoni come nell’uomo, ma un nuovo studio ha trovato che le piante possono discernere il suono dei predatori attraverso piccole vibrazioni delle loro foglie e, in risposta, rinforzare le proprie difese.

Il meccanismo è lo stesso dei nostri sistemi immunitari. Un’ esperienza iniziale con insetti o batteri può aiutare le piante a difendersi meglio in futuri attacchi da parte dello stesso predatore.

Ora, i biologi dell’Università del Missouri hanno scoperto che questo processo, chiamato “priming”, può essere attivato dal solo suono. Preso un gruppo di piante “in ascolto”, gli scienziati hanno fatto vibrare su di una singola foglia il suono di una masticazione di un bruco, imitando quindi un vero attacco. Un altro gruppo è stato invece lasciato in silenzio.

In seguito, di fronte ad un vero caterpillar, il primo gruppo di piante ha  riconosciuto  il rumore del masticare del bruco e ha prodotto una maggiore quantità di sostanze chimiche come insetticida rispetto al secondo gruppo che era rimasto in silenzio. Le piante sarebbero inoltre in  grado di individuare le vibrazioni di segnalazione pericolo. Infatti, sottoposte ad altri rumori, quali il vento o le chiamate di accoppiamento degli  insetti,  non il primo gruppo non ha innescato la precedente reazione chimica.

Sebbene il meccanismo di come le piante siano in grado di distinguere i suoni non è noto. Un approfondimento potrebbe portare a progressi nel settore agricolo e della resistenza delle colture naturali.

L’autore dello studio è il biologo Heidi Appel.

Lo studio è stato pubblicato online sulla rivista Martedì Oecologia.

(fonte: http://www.washingtonpost.com)


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