Prendo il TGV da Ginevra molto presto. Occhi cerchiati, assenza totale di voce, sonno arretrato e un leggero ma persistente cerchio alla testa. Trascorro le mie tre orette di viaggio vicino ad una rubiconda svizzerotta tedesca, che già di prima mattina profuma di mosto cotto e sudore. Doveva aver mangiato qualcosa a base di aglio che, evidentemente, non ha digerito. A nulla valgono le mie ripetute visite in bagno a sniffare le salviette profumate, le mie scorpacciate di caramelle al limone e menta o i miei esercizi di meditazione recettiva. Durante tutto il viaggio sogno il mio nudo appartamento, con le porte montate al contrario e le pareti ancora da intonacare, ma con una doccia da sballo. Scendo dal treno senza pensare altro che a lei, la doccia: caldo, profumo, sciampo, sapone, balsamo e crema. Nonostante la mia compagna di viaggio sia ormai lontana, ed io sulla metro, continuo a sentirne l'odore. Mi viene il sospetto che mi stia pedinando, mi giro ogni tanto per verificare, incrocio lo sguardo dei passanti in una Parigi piena di tutto e di tutti, stipata come uno sgabuzzino, gremita di luci, rumori, colori e impalcature. Fa sempre più caldo e fregandomene della mie corde vocali, mi levo il cappotto e rimango in camicia: mi ammalerò di cattivi odori, mi verrà la febbre a quaranta, non potrò tornare a Ginevra e passerò il Natale da sola, in questa città bellissima ma maledetta.
Spalanco la porta, appendo la borsa al chiodo (prima o poi andrò all'ikea) e vado diretta in bagno per aprire l'acqua con sufficiente anticipo, in modo da trovarla già calda. Annuso il cappotto, gli indumenti, e continuo a sentire puzza di vino rosso, annata scarsa, facciamo Tavernello. Meno male che c'è la doccia, che mi depurerà, mi laverà, una sorta di battesimo, una rinascita. Dopo, potrò tornare ad essere io, anzi, sarò una io migliore. Mi odoro i capelli: aglio. Con la mano sento la temperatura dell'acqua: ghiacciata. Chiudo e apro il miscelatore, niente, l'acqua esce sempre alla temperatura di un sorbetto al limone. Ho due scelte: non mi faccio la doccia, rimango impregnata di Tavernello all'aglio, attraverso la città e vado a lavarmi da mia madre; o simpatizzo con i lapponi e mi butto sotto il getto di acqua ghiacciata, così ho tutto il tempo e la giornata fresca e profumata davanti a me. Opto per la seconda scelta e ancora adesso, a più di 24 ore di distanza, conservo l'atroce sensazione del getto gelido sul cuoio capelluto.
Con le idee fresche e rinnovate, cerco su internet un'assistenza caldaie parigina. Telefono a due numeri e trovo due segreterie telefoniche, lascio messaggi accorati, ma temo non si riescano a sentire dato che sono completamente afona. Telefono a mia madre, la quale si raccomanda: mai cercare le assistenze o i tecnici su internet, potrebbero chiederti ottocento euro per avvitare un bullone, nella migliore delle ipotesi. Infine minaccia di mandarmi Kaddour, il suo compagno. Ricordo che una volta mi chiese aiuto per sostituire una lampadina e che il rubinetto del lavandino della cucina gocciola da quando lui ha installato un aggeggio che promette di decalcificare l'acqua. Non mi fido, madre, perdonami, grazie lo stesso, mi arrangio. D'altronde sono vent'anni che mi arrangio.
Scendo giù dal concierge, che, molto gentilmente, si premura di dare un'occhiata alla mia caldaia. La guarda con i pugni sui fianchi, senza sfiorarla, così come si ammira un'opera d'arte. Rimane in silenzio davanti al parallelepipedo di metallo, poi sbuffa e bofonchia qualcosa che non riesco ad udire. Si sposta lateralmente, inclina la testa, pare osservare l'oggetto sotto un'altra prospettiva, forse sta aspettando di essere folgorato sulla via di Damasco. Chiedo cosa ne pensa, mi risponde scuotendo la testa, che non c'è niente da fare. Comincia a bussare con le nocche sul pannello di metallo, poi ci appoggia l'orecchio, ci manca solo il dica 33. Alla fine ammette che non saprebbe dove mettere le mani, però il fidanzato di Clotilde, la ragazza che lavora alla boulangerie sotto casa, fa il tecnico e l'idraulico, ed è pure una persona onesta.
Infreddolita e anche un po' incazzata, scendo giù in panetteria chi di voi è Clotilde? Clotilde non c'è, è a Roma per le vacanze di Natale. Chiedo allarmata: non sarà partita col fidanzato, vero? No, per fortuna Clotilde e il fidanzato si sono lasciati due settimane fa. Meno male che l'amore non è eterno. Chiedo informazioni sul tipo in questione, una delle ragazze mi dice il est italien! mi strizza l'occhio (e poi lamentatevi, italiani, che all'estero non siete considerati) e mi lascia un numero di telefono. Si chiama Gigi, anzi, come dice una delle due ragazze Gigì.
Dunque, adesso, la mia salute e il mio benessere dei due prossimi giorni è tutto nelle mani Gigì.
Telefono a Gigì, ovviamente c'è una segreteria, ed io, in perfetto italiano, gli lascio un messaggio di pura e nuda disperazione. Mi richiama dopo cinque minuti. Tra italiani ci aiutiamo, figurati, però ecco, non mi fare attraversare tutta Parigi per una minchionata, eh? Cioè, stai attenta, se è una cosa che puoi risolvere da sola, mi pare inutile io venga.Dimmi cosa devo fare, dico a Gigì.
Apri il pannello di metallo, è semplicissimo, basta un cacciavite. Ci sono tre indicatori, controlla quello della pressione dell'acqua che dev'essere a uno. Se è a zero, apri il pannellino che c'è sotto, troverai dei raccordi e bla bla bla, allora poi stacchi la corrente, ma solo per il tempo di riallacciare i condotti e bla bla bla bla
Io so già cosa fare. Lascio passare un quarto d'ora, poi mentendogli lo richiamo e gli dico che ho fatto tutto ma che la caldaia non funziona lo stesso.
Nicole (alla seconda telefonata siamo già in confidenza) senti io vengo, però non è che abbia tutto questo tempo da perdere ecco, e sarei pure in vacanza da ieri. Però vengo, dai.
Attendo Gigi con la stessa ansia che avevo prima degli esami universitari. Ho paura. Se poi si accorge che non ho neanche aperto il pannello? E se mi mena? E se mi mette in punizione? E se non mi fa la domanda a piacere?
Gigi arriva dopo mezz'ora, apro la porta e temo d'aver sbagliato, quello che ho davanti non è un tecnico della caldaia: è vestito come Lapo Elkann ed ha in mano una valigetta in cuoio come i medici di famiglia dei primi del novecento. Ci diamo la mano come soci in affari, ed io già penso che non ho con me il libretto degli assegni, chissà se accetta carte di credito (o cambiali). Mi chiede se sono di origine russa, perché ama la Russia, soprattutto San Pietroburgo, dove sono tutte come me (dice). Poi con il mignolo alzato, svita il famigerato pannello. Hai fatto tutto quello che ti avevo chiesto? Chiede con fare indagatore. La mia pazienza termina e credo di aver manifestato con parole e sguardi, il più grosso giramento di balle di fine 2014.
Io non ho fatto un bel niente, non sei qui gratis, bello mio, quindi datti da fare e risolvimi il problema in fretta, altrimenti chiamo il primo della lista delle persone che vogliono lavorare. E me ne frego se sei italiano come me, che tra l'altro sono più francese.
E Buon Natale, Gigì.
(Sopra la foto di una parete di casa mia. Il cerchio della bici l'ho trovato quando ho preso l'appartamento e mi è piaciuto. L'orchidea è morta due settimane fa. Il quadro è di Kaddour, che non conosce arroganza.)