Le pillole di Lupacchini:La prevenzione e la repressione dei Crimini (1)

Creato il 10 ottobre 2011 da Yourpluscommunication

Il magistrato Otello Lupacchini continua a semplificare la giustizia per Notte Criminale e, in questa pillola, affronta i temi della prevenzione e della repressione dei crimini.

Senza andare indietro nel tempo alle teorizzazioni di Cesare Beccaria ma fermandoci nel periodo a cavaliere tra la fine dell’800 e i primi decenni del ‘900 cioè ad Oreste Ranelletti, troviamo la teorizzazione della cosiddetta teoria della sicurezza.

La tesi di questo autore era sostanzialmente quella di vedere nell’attività di polizia questi 2 momenti:
il momento della prevenzione, vale a dire l’attività amministrativa volta ad impedire che i crimini vengano commessi.
l’attività di repressione, vale a dire quell’attività di tipo amministrativo che viene posta in essere successivamente alla commissione del crimine.

Il fatto che io parli di attività amministrative, non deve trarre in inganno, in quanto se per un verso la polizia di sicurezza svolge un’attività finalizzata alla prevenzione del crimine del campo puramente amministrativo, l’attività invece di repressione, tende all’acquisizione di elementi utili alla combinazione della pena per reati che sono stati commessi quindi, a reprimere il reato.

Per cui, sebbene demandata ad un organo di tipo amministrativo quale appunto gli organismi di polizia l’attività passa dal terreno squisitamente amministrativo a quello più propriamente giudiziario tanto che accanto alla polizia di sicurezza, al quale è demandato il compito di repressione, si affianca la polizia giudiziaria che svolge la propria attività in funzione della repressione del crimine e quindi come longa manus dell’organo d’accusa che, attraverso la polizia raccoglie gli elementi indispensabili per poter avviare, attraverso l’esercizio dell’azione penale, il momento repressivo vale a dire, il processo volto ad accertare quale reato è stato commesso, chi ne sia l’autore e conseguentemente ad applicare la pena prevista astrattamente per quel reato nel caso concreto.

Il richiamo al Ranelletti in quanto, appunto per primo ebbe a teorizzare questi due momenti fondamentali dell’attività di polizia che sono anche momenti fondamentali di ogni politica, seria politica di sicurezza e lo fece, agli albori del ‘900. La teoria, o la tesi più precisamente, alla quale l’autore si richiamava è che nessun corpo manca degli anticorpi per combattere le sue patologie così pure non può mancare di anticorpi, il corpo sociale e questo per il principio che la libertà di ognuno trova un limite nella libertà di tutti e quindi in quello che viene definito “ordine pubblico”.

Ovviamente l’attività di polizia di prevenzione o di sicurezza per un verso e l’attività di polizia giudiziaria per l’altro attenendo a due momenti diversi della fenomelogia criminale (quello cioè antecedente alla commissione del delitto e quindi teso ad impedire che il diritto venga commesso da un lato e quello successivo alla commissione del delitto per assicurarne i responsabili alla giustiza) impone una diversa ottica di approccio alle rispettive problematiche che sarebbe assicurata, fondamentalmente, da organi o organismi distinti preposti all’una o all’altra funzione.

Il primo maggiormente svincolato da qualsiasi regola propria del momento repressivo ed il secondo, invece, vincolato a quello che è il sistema di garanzie che il processo assicura a colui che sia sospettato di aver commesso un crimine fino alla sentenza di condanna.

Perché due organi, o organismi, distinti?

Perché evidentemente sono diverse sia le modalità di approccio ai rispettivi problemi, sia la qualità dell’intervento di talchè potrebbero aversi degli eccessi in un senso o nell’altro laddove sia lo stesso organo a svolgere entrambi le funzioni. Con un forte sbilanciamento in senso garantistico, laddove prevalgano esigenze di polizia giudiziaria ed uno sbilanciamento, invece, in senso repressivo laddove prevalgano le istanze di prevenzione non foss’altro per il principio di carattere generale che la pena è una forma di prevenzione generale cioè la previsione di un fatto come reato e la combinazione in astratto di una pena per quel fatto opera come prevenzione generale essendo previdente che il vantaggio che il criminale ritiene di poter avere attraverso il crimine viene eliso, o quantomeno fortemente svalutato, dal rischio che gli venga applicata una pena.

Ciò posto, vediamo come storicamente in Italia negli ultimi “tant’anni” si versi in una situazione di ambiguità o di ambivalenza degli organi polizieschi.

Nel codice di procedura penale del 1930, il codice cosiddetto “Rocco” dal nome del Ministro che ebbe a licenziarlo e che è restato in vigore fino all’ottobre del 1989 e per alcuni reati anche oltre, il problema, si poneva in questi termini: l’attività di polizia giudiziaria assolveva anche ad una funzione di prevenzione prova ne sia l’esistenza di istituti a carattere dichiaratamente preventivo (si pensi appunto alla custodia prima della sentenza che veniva definita “custodia preventiva” in quanto partendo da una seppur celata presunzione di colpevolezza dell’arrestato, il fatto che il soggetto fosse semplicemente sospettato e per questo assumesse la qualità di imputato all’interno di un processo, faceva si che scattasse un meccanismo preventivo per impedire che lo stesso potesse commettere ulteriori reati).

La situazione sembrò cambiare con l’entrata in vigore del codice del 1989. Venivano poste delle funzioni cautelari a quella che era la custodia antecedente alla sentenza. Vale a dire non solo impedire la commissione di ulteriori reati (che resta pur sempre tra le funzioni a cui la funzione cautelare assolve), ma anche quella di impedire che venga dispersa o inquinata la prova e quella di impedire la fuga del sospettato allorché appundo venga attinto da gravi indizi di colpevolezza rispetto al reato.

Ovviamente nel passaggio tra la concezione originaria della custodia prima dell’accertamento del reato attraverso la sentenza denominata “preventiva” nel codice “Rocco” alla nuova concezione della custodia denominata “cautelare”, c’è tutto un travaglio, anche di carattere costituzionale rappresentato dall’esigenza di combinare queste situazioni con quella che è la presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva che assolve ad una funzione di parametro di ammissibilità di una tutela della collettività nei confronti dell’individuo prima che la sentenza di condanna sia stata pronunciata.

In questo travaglio che si sviluppa dal momento di consacrazione della presunzione della non colpevolezza a livello non costituzionale, viene a realizzarsi una situazione di sempre maggiore inquinamento, se così possiamo esprimerci, tra la funzione repressiva e la funzione preventiva affidate al medesimo organo di polizia in quanto evidentemente, differenziandosi gli scopi dell’attività di prevenzione rispetto a quelli dell’attività più tipicamente di polizia giudiziaria, finiscono per essere in qualche modo compromesse l’una e l’altra funzione laddove esercitata dal medesimo organo.

A tutto questo, ovviamente, finisce per corrispondere una diversa forma di inquinamento (continuando ad usare questo termine ndr), tra l’una e l’altra attività ed uno sbilanciamento tra le rispettive situazioni…

continua…


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