Le più belle parole sul tradurre/7

Da Silviapare

Emine Sevgi Özdamar

«Non sempre quando si è all'estero si perde la propria lingua madre,tuttavia sono tanti gli aspetti della vecchia vita che mancano: non c'è laquotidianità, mancano le voci dei venditori di strada. Ma soprattuttomancano le persone. Tua madre, la fonte d'amore della tua lingua non c'è.Tutti i tuoi ricordi sono connessi alla lontananza. Ed ecco che a un tratto leparole non ti toccano più, non ti emozionano più. È un grande pericolo. Nonimporta se succede con la tua lingua madre o un'altra lingua: se le parolesmettono di emozionarti, è davvero pericoloso. [...] E qui entra in gioco lacollezionista di parole. Un collezionista di parole è un collezionista diemozioni.Il mio traduttore spagnolo, Miguel Sáenz, dice sempre: Özdamar deve esseretradotta così com'è, ed è riuscito a tradurre i miei libri con successo.Sicuramente anche l'anima del traduttore è molto importante. Si trattapiuttosto di un coautore: io scrivo una musica, il traduttore la ascolta emusica di nuovo il pezzo. Miguel è solito dire che un libro è sempreun'opera non ancora terminata che diventa completa solo grazie alletraduzioni nelle diverse lingue. È verissimo: spesso leggo le mie traduzionie penso che è proprio così.»[intervista di Margherita Bettoni a Emine Sevgi Özdamar, autrice di La lingua di miamadre (Palomar 2005, trad. di Silvia Palermo, fuori catalogo), il manifesto, 5.1.2013]
Grazie ad Anna Nadotti che me lo ha segnalato.

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