Le primarie dei rottamatori

Creato il 05 ottobre 2012 da Casarrubea

Renzi Matteo

Tutti i nodi arrivano al pettine, dice un vecchio proverbio. Ma qui non ci sono nodi da fare sotto la trama dei tessuti ancora freschi nel telaio. A volere essere sinceri non ci sono neanche i telai e le gentili mani delle lavoratrici intente a quest’opera necessaria di lavorazione e definizione di un prodotto. Nodi e pettine si riferiscono ad una struttura che, nel nostro caso, è la democrazia, anzi, sono gli elementi organizzati della sua esistenza.

Se parliamo di primarie, introdotte ai tempi preistorici di Romano Prodi, nel lontano 2005, dobbiamo ammettere che sono congegnate ad escludendum. E non per il motivo opposto. Infatti non tutti sono candidabili in una elezione di questo tipo e non tutti hanno la possibilità di investire su se stessi e sulle proprie idee politiche per concorrere in una competizione elettorale. Locale o nazionale che sia.

Matteo Renzi non è stato proposto da nessuno  alle prossime primarie del centrosinistra. Si è auto presentato in modo estemporaneo durante un comizio tenuto a Verona lo scorso 13 settembre 2012. In tre settimane è successo un parapiglia ma nessuno se ne è chiesta la ragione. In sette anni, fino ad oggi, il problema delle regole che avrebbero dovuto mettere ordine nelle procedure per la effettiva realizzazione di consultazioni democratiche all’interno di un partito o di una coalizione, quale fu a suo tempo, l’Ulivo, o qual è il centrosinistra, oggi, non solo non si è posto, ma non ha prodotto chiarezza alcuna su cosa fare. E purtroppo il problema non interessa affatto il centrodestra arroccato nella sua gestione monocratica.

Il Pd, invece, è apertamente in crisi, non solo perché registra dei ritardi nel suo strutturarsi come presenza democratica all’interno dello schieramento di centrosinistra, ma anche perché subisce i contraccolpi interni dovuti alla sua doppia anima. Quella che vede compresenti la tradizione cattolica sturziana alla quale si è formato Renzi, e l’esperienza laica e popolare della sinistra, un tempo comunista e socialista. Non potrebbe altrimenti spiegarsi la contrapposizione del sindaco di Firenze, che ha tutta l’aria del bamboccio di papà un pò viziato, contro l’attuale segretario politico del Pd, Bersani che ha una gavetta abbastanza robusta. E sinceramente, tra queste due anime, è improponibile una scelta nominalistica o di tipo ideologico e valoriale. Per un semplice motivo.

Le ragioni del Pd, partito moderato e di fatto centrista, stanno nella fusione delle sue anime interne e nel suo porsi come nuova formazione che trascende il gioco delle parti. Cioè le posizioni delle diverse eredità storiche poste a base della stessa nascita del Pd. In questo senso più si gioca di pala e pico per rottamare, più si sfascia la costruzione del processo democratico di chiarificazione interna. Una questione che non riguarda affatto la presenza del vecchio, ma le incrostazioni ancora massicciamente presenti nell’elaborazione politica complessiva, per i governi locali e nazionali della cosa pubblica. Si tratta di un limite che influenza anche la sinistra in quanto non è indifferente a quest’ultima la strategia di chiarificazione necessaria alla futura trasparenza della leadership politica per il governo delle regioni e del Paese.

Non c’è chi non veda come questa questione si leghi strettamente alla mancata riforma del sistema elettorale, sulla quale tutti i partiti nicchiano da tempo, fingendo un certo interesse, ma di fatto pensando ad altro. In tal modo assicurando all’attuale apparato elitario fatto di segreterie politiche, di parlamentari, di designati alla gestione di organismi pubblici, e quant’altro, di mantenersi saldo ben oltre la prossima data elettorale della primavera 2013. Con buona pace del centrodestra.


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