Le prime galassie? Più vecchie di quanto si pensava!

Creato il 28 aprile 2011 da Sabrinamasiero

L’ammasso di galassie Abell 383… più “potente” del miglior telescopio a nostra disposizione! (Crediti: NASA, ESA, J. Richard (CRAL) and J.-P. Kneib (LAM). Acknowledgement: Marc Postman (STScI))

di Marco Castellani, Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)-Osservatorio Astronomico di Roma

Utilizzando il “potere di amplificazione” di una lente gravitazionale cosmica, gli astronomi hanno scoperto una galassia distante, le cui stelle risultano esser nate “inaspettatamente presto” nella storia del cosmo. Il risultato è importante perché getta nuova luce sia sui meccanismi di formazione delle galassie, sia sulle prime fasi dell’evoluzione dell’universo stesso.

Johan Richard, a capo della ricerca appena pubblicata su Montly Notices of Royal Astronomical  Society, ha affermato “Abbiamo appena scoperto una galassia lontana che ha iniziato a formare stelle appena 200 milioni di anni dopo il Big Bang. Questo mette alla prova le teorie su quanto rapidamente si siano formate ed evolute le galassie, nei primi anni dell’universo. Ciò potrebbe anche aiutare a risolvere il mistero di come sia stata dissolta la ‘nebbia di idrogeno’ che riempiva l’universo primordiale.”

Descrizione di Abel 383. (Crediti: NASA, ESA, J. Richard (CRAL) and J.-P. Kneib (LAM). Acknowledgement: Marc Postman (STScI))

La ricerca è stata condotta tramite osservazioni a diversi telescopi, incluso il Telescopio Spaziale Hubble, lo Spitzer (entrambi nello spazio) e il W.M.Keck Observatory alle Hawai.

La galassia distanta è visibile attraverso un ammasso di galassie noto con il nome di Abell 383, la cui gravità influenza il percorso dei raggi di luce che lo attraversano, un pò come fa una comune lente ottica nel caso della luce solare (anche se ovviamente il principio è diverso). Di fatto, l’allineamento “fortunato” tra la galassia, l’ammasso di galassie e la Terra si traduce in una amplificazione della luce che proviene dalla galassia lontana, il che permette agli astronomi di condurre osservazioni dettagliate. Va detto che senza l’ausilio di questa lente gravitazionale, infatti, la galassia sarebbe sicuramente risultata troppo debole per poter essere osservata, nemmeno utilizzando i migliori telescopi oggi a nostra disposizione. Potremmo dire dunque che, in questo caso, è  la natura stessa che ci viene in aiuto!

Come lavora una lente gravitazionale. Cortesia: ESA/ESO.


Tramite analisi ottiche e spettroscopiche, è stato determinato lo “spostamento verso il rosso” (redshift cosmologico) della galassia, pari a 6,027. Questo vuol dire che stiamo vedendo la galassia come era quando l’universo era vecchio appena 950 milioni di anni (l’età oggi stimata dell’universo, come sappiamo, è di 13,7 miliardi di anni, dunque era davvero molto piccolo…).

Un redshift così rilevante, comunque, non fa di questa galassia quella più lontana mai osservata: ne sono state trovare diverse con valori di redshift circa 8, e una addirittura con reshift intorno a 10! La peculiarità di questa galassia infatti non risiede nella sua distanza, ma nel fatto di presentare caratteristiche drammaticamente diverse da altre galassie distanti che si siano già osservate, le quali generalmente brillano gagliarde della luce di stelle esclusivamente giovani.

Benché le indicazioni di redshift, come abbiamo menzionato, piazzino la galassia molto presto nell’evoluzione cosmica, tuttavia i dati di Spitzer indicano come la galassia sia fatta di stelle sorprendentemente vecchie e relativamente poco luminose (come spiega Elichi Egami, che ha preso parte alla ricerca). Vi sono segnali di stelle vecchie addirittura 750 milioni di anni, il che porta l’epoca della prima formazione stellare indietro fino a circa 200 milioni di anni dopo il Big Bang, molto prima di quanto pensavamo!

La scoperta presenta implicazioni che vanno molto al di là del periodo di prima formazione delle galassie, e può aiutare a capire come ha fatto l’universo a diventare trasparente alla radiazione ultravioletta nei primi miliardi di vita dopo il Big Bang. All’epoca, una nebbia diffusa di idrogeno neutro bloccava la diffusione della luce ultravioletta. Deve essere allora intervenuta una qualche sorgente di ionizzazione per il gas neutro, che “spazzasse” la nebbia e lo rendesse trasparente ai raggi ultravioletti, come lo è ora. Il processo è noto con il nome di “reionizzazione”

In effetti gli astronomi erano persuasi che la radiazione che ha fatto da “motore” alla rionizzazione dovesse aver avuto origine dalle galassie. Però fino ad ora, nessun candidato era stato trovato per confermare questa tesi. La presente scoperta potrebbe aiutare a sciogliere questo perdurante enigma.

Se infatti le galassie lontane, con stelle già “mature”, fossero molte più di quanto prima ipotizzato (come la recente scoperta porta a credere), ecco che la “radiazione mancante” per la reionizzazione potrebbe finalmente trovare una sua origine, del tutto plausibile.

Una ultima osservazione: fino ad ora dobbiamo affidarci alle (potenti) “lenti cosmiche” per effettuare simili scoperte. Questo vuol dire che possiamo sfruttare solo alcune configurazioni geometriche particolari (come in questo caso, l’allinemaneto Terra – ammasso di galassie – galassia lontana). Con il previsto avvento del James Webb Telescope, nella prossima decade (speriamo), potremmo essere nella posizione ideale per risolvere questo mistero, una volta per tutte (e aprirne, come è sempre per la scienza, mille  e mille altri….)

SpaceTelescope Press Release: http://www.spacetelescope.org/news/heic1106/

Marco


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :