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Le prossime sfide dell’Ecuador: intervista a Galo Cruz.

Creato il 19 agosto 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Le prossime sfide dell’Ecuador: intervista a Galo Cruz.

Galo Cruz, professore di Geopolitica, è Direttore del Centro di Studi Strategici della Scuola Politecnica dell’Esercito dell’Ecuador (ESPE). E’ anche professore di “Intelligence e analisi dell’informazione” presso l’Istituto di Alti Studi Nazionali (IAEN) di Quito, Ecuador. Membro del Comitato Scientifico di “Geopolitica”, è stato intervistato per noi da Francesco G. Leone.

 
Attualmente l’Ecuador è interessato da una forte crescita economica accompagnata da una serie di politiche pubbliche che favoriscono l’inclusione sociale. Gli indicatori economici e sociali non lasciano dubbi al riguardo: tra il 1999 e il 2007 il PIL è raddoppiato. Nel 2008 il Paese si dichiarò in default. Tuttavia a partire dal 2009 l’economia è tornata a crescere dell’1%, del 3,3% (2010), dell’8% (2011) ed infine del 4% (2012). Secondo le previsioni di questo anno, il PIL dell’Ecuador potrebbe incrementarsi di un 3% – 4%. Il tasso di povertà assoluta è diminuito in modo significativo tra il 1999 e il 2010. Nel 2001 era stimato intorno al 40% della popolazione. Già nel 2010, tale percentuale era scesa al 16,5%. Questi importanti traguardi sono stati raggiunti senza compromettere la competitività del paese. Infatti il rapporto sulla competitività globale 2012-2013 del Forum Economico Mondiale, dimostra chiaramente come l’Ecuador abbia guadagnato 15 posizioni passando dalla numero 101 su 142 economie analizzate nel 2011, alla posizione 86 su 144 economie analizzate nel 2012.

In una prospettiva strategica, quali saranno le sfide che l’Ecuador dovrà affrontare nei prossimi dieci anni?

In questo clima complesso e incerto che limita qualsiasi intento di prevedere il futuro, è evidente che l’Ecuador si troverà ad affrontare alcuni problemi di importanza considerevole che ci fanno pensare alle seguenti sfide:

  • Reinserirsi nel mondo globalizzato. Una caratteristica distintiva dell’attuale politica estera ecuadoregna è quella degli scontri verbali con gli Stati Uniti, così come la sua inclinazione ad affermare la sua relazione politica con i paesi dell’ALBA, con la Cina e, in un certo modo, con l’Iran che gli concede un certo protagonismo mediatico all’interno del paese e all’estero; nel futuro questo sarà un ostacolo difficile da evitare quando le condizioni economiche e finanziarie del paese non attraverseranno l’attuale stabilità e si richiederà un forte investimento estero o l’appoggio di organismi finanziari mondiali.
  • La dipendenza dal petrolio. L’economia ecuadoregna continua ad essere dipendente dalla produzione e dalla commercializzazione del petrolio; con questa situazione congiunturale il modello che applica il Governo tende a mantenersi e a espandersi, ma i prezzi del petrolio possono variare e un’economia dipendente e deficitaria non avrà mai molte possibilità di rimanere a galla in futuro. Attualmente il deficit stimato è di circa 7.000 milioni di dollari e non è chiaro quali saranno i meccanismi di indebitamento. Il budget generale dello Stato continua ad aumentare, soprattutto quello destinato alla componente burocratica.
  • La competitività. I risultati raggiunti dal governo ecuadoregno si devono, in gran parte, all’alto prezzo del petrolio, al successo dei programmi sociali, alle evidenti opere pubbliche e al rafforzamento della gestione statale; tuttavia, non si evidenziano riforme significative negli ambiti produttivi per ottenere un settore privato competitivo a livello internazionale; e questa eccessiva preoccupazione del pubblico rispetto al privato nei prossimi anni porrà lo Stato di fronte al dilemma di come recuperare la competitività con un’impresa privata colpita e dimenticata.
  • Leadership politica. Il Presidente Rafael Correa ha iniziato il suo terzo mandato presidenziale e, dopo sei anni di governo, mantiene una solida leadership ed è anche considerato il Presidente più popolare dell’America Latina; con la sua salita al potere ha marcato una rottura nello scenario politico ecuadoregno che fino al allora era caratterizzato da una costante instabilità. L’annuncio che non si presenterà ad una nuova campagna elettorale per la Presidenza dell’Ecuador lascia una serie di preoccupazioni dato che non esistono nel suo partito leader emergenti che abbiano il suo carisma e la simpatia popolare; questo può portare a dissidi interni o a un possibile e progressivo danno del modello politico attuale, facendo tornare l’Ecuador di nuovo a periodi di agitazione e instabilità.
  • Modernizzazione della sicurezza e difesa nazionale. Il contesto che caratterizza la realtà strategica regionale e nazionale, evidenzia l’esigenza che l’Ecuador abbia Forze Armate equipaggiate e allenate in modo adeguato per garantire la sovranità e l’integrità territoriale, così come la protezione dei diritti, delle libertà e delle garanzie dei cittadini; questi incarichi costituzionali devono essere realizzati in un contesto nel quale il crimine organizzato si è esteso in modo incontrollato in buona parte dell’America Latina.

È importante ricordare che il paese confina con il Perù e la Colombia che sono i due principali produttori di cocaina nel mondo; per la sua posizione geografica è anche luogo di passaggio non solo di droghe illegali, ma perfino della tratta internazionale di esseri umani; un altro aspetto relazionato a questa problematica è la probabile soluzione del conflitto interno colombiano che avrà effetti immediati in Ecuador, soprattutto per quanto riguarda il reinserimento dei guerriglieri colombiani, dei profughi e dei rifugiati. Davanti a tutto questo, l’armamento e l’equipaggiamento militare sono per lo più obsoleti e vanno sostituiti; in questo contesto recentemente è fallito l’acquisto di radar dalla Cina e, se non si trova al più presto una soluzione per la difesa dello spazio aereo e dell’esteso mare territoriale, la capacità di intervento delle Forze Armate rimarrà molto limitata.

Molti analisti internazionali vedono nel presidente Rafael Correa il leader naturale del defunto presidente venezuelano Hugo Chavez. Che ruolo assumerà secondo lei Rafael Correa, non solo in Sudamerica ma anche nei diversi forum internazionali?

Rafael Correa è uno dei leader politici di maggior rilevanza e popolarità in America Latina; rispetto al chavismo, ha sempre evidenziato alcune differenze nella sua condotta politica in relazione a quella del defunto leader venezuelano; anche se il suo discorso è stato nazionalista e molto volte avverso agli USA e alla Colombia, in momenti di tensione è stato prudente come nel caso attuale di Edward Snowden dove, nonostante abbia espresso richiami pubblici per le presunte attività di intelligence americana, ha evitato di entrare in un conflitto frontale con gli USA e i paesi europei, cosa che avrebbe colpito gli interessi nazionali, soprattutto se si considera che alla fine del mese di luglio scade il Sistema Generale di Preferenze Tariffarie (SGP) del quale l’Ecuador è uno dei 131 paesi beneficiari. Inoltre è sempre importante ricordare che la moneta dell’Ecuador è il dollaro e una possibile uscita dalla dollarizzazione avrebbe effetti immediati che porterebbero ad una destabilizzazione economia e sociale.
In pratica parrebbe che le relazioni con l’Alleanza Bolivariana per i popoli della nostra America (ALBA) siano state un bel discorso ideologico, ma che non abbiano rappresentato una reale priorità ecuadoregna; non si sono cercate buone relazioni con gli USA e credo che si continuerà su questa strada; rafforzato dal prestigio raggiunto che lo rende un referente per il resto dei governanti della regione, sembra che Rafael Correa non abbia intenzione di assumersi la leadership bolivariana e questo lo ha espresso pubblicamente.
Quello che sì sembra un obiettivo di Rafael Correa è quello di esercitare una qualche leadership per rafforzare e promuovere il progetto integrazionista dell’UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane), forse la maggior scommessa dell’Ecuador a livello regionale, al di sopra dei processi come ALBA, CAN (Comunità Andina delle Nazioni) e OSA (Organizzazione degli Stati Americani), dove l’Ecuador sembra non sentirsi a suo agio. L’inizio delle operazioni per l’ingresso dell’Ecuador al MERCOSUR probabilmente avrà effetti negativi sulla CAN, debilitandola significativamente.
Alcuni fatti politici recenti evidenziano un avvicinamento dell’Ecuador all’Europa, soprattutto dovuto alla necessità di stringere relazioni economiche; questa esigenza va di pari passo con alcuni cambiamenti politici importanti, tanto nella struttura della squadra di governo, quanto nella creazione del Ministero del Commercio Estero, a capo del quale è stato messo un funzionario di riconosciuta capacità tecnica e che trasmette fiducia al settore produttivo. Si prevede che le negoziazioni con l’Unione Europea inizino formalmente a settembre o ottobre di quest’anno; il ruolo svolto da Peter Linder, Ambasciatore della Germania a Quito, sembra sia stato molto importante per l’inizio di questo avvicinamento.
Le relazioni con la Cina continueranno ad essere importanti nelle relazioni commerciali ecuadoregne e il debito estero con questa potenza asiatica aumenta sempre di più; il mercato asiatico è una scommessa sicura non solo per l’Ecuador, ma per la maggior parte dei paesi della regione, soprattutto quelli che costituiscono il bacino Asia Pacifico.
Tutto fa pensare che il ruolo di Rafael Correa al di fuori delle frontiere ecuadoregne non cambierà molto rispetto a quello che finora ha realizzato; cercherà di mantenere un profilo coerente al suo attuale momento politico e senza eccessivo protagonismo, misurando molto bene i suoi momenti di leadership e di apparizioni nel contesto regionale.

La crisi economica che si sta abbattendo sull’Unione Europea e che si sta accanendo in modo particolare sul nostro paese, l’Italia, ha portato allo scoperto tutte le sfumature che presenta non solo un’ordinaria “crisi economica”, ma quella che potremmo più propriamente definire come una grave “crisi sistemica”. Come vede la minaccia della crisi economica europea? Qual è la sua opinione al riguardo?

È evidente che la crisi economica europea va oltre a una semplice crisi economica, è una crisi sistemica che ha posto in discussione tutta le forme istituzionali e organizzative non solo nel continente europeo ma a livello mondiale.
L’eccessivo potere di imprese private, capaci di alterare l’economia delle stesse potenze mondiali, imprese che possono qualificare un debito statale come buono o cattivo, ha portato il sistema internazionale e soprattutto i paesi più ricchi del mondo a dibattere sulla necessità di correggere e di trasformare parte di questa trama economico-istituzionale.
L’Europa vive una lotta molto particolare intorno al suo processo integrazionista; questa super potenza economica oggi sta affrontando una crisi che è il prodotto, da un certo punto di vista, della sua debolezza politica. Il fallimento di qualche anno fa della Costituzione Europea ha mandato un messaggio a favore di un’Europa economica ma non politica. Generare un’Europa economica e debolmente politica aveva come principale rischio quello che sta succedendo oggi. Di fronte ad una forte crisi all’interno del processo integrazionista la risposta deve essere molto politica e non solo economica.
L’Europa è molto divisa: da un lato la Germania come potenza influente che cerca, come primo obiettivo, di non danneggiare la sua economia interna e poi, secondariamente, di aiutare i partner europei ma imponendo ricette poco appropriate. In un altro gruppo ci sono i paesi del sud (Grecia, Italia, Spagna, Portogallo), paesi fortemente colpiti dalla crisi che devono accettare politiche per nulla appropriate ai loro sistemi e che si ritrovano con un margine di manovra molto stretto, generando un grande scontento sociale. E un terzo gruppo, quelli che ho denominato gli indifferenti, paesi con un ruolo meno importante dentro l’Unione Europea, nei quali già purtroppo possiamo considerare la Francia, paese che non ha mantenuto il suo ruolo di potenza e che oggi come oggi non esercita il suo ruolo nel processo integrazionista.
Molti analisti prospettano una possibile scomparsa dell’euro: questo lo credo piuttosto improbabile perché l’euro non solo interessa in un certo modo ai paesi più colpiti dalla crisi, ma anche ugualmente a paesi come la Germania. Penso che il processo della moneta unica in Europa sia irreversibile e chissà se potremo mai assistere all’uscita di uno Stato piuttosto che un altro dalla moneta unica.
Oggi è più preoccupante osservare il divorzio esistente tra la società civile europea e le istituzioni; storicamente è sempre esistita una grande distanza tra loro, ma oggi quella breccia si sta aggravando e si sta accentuando, la critica del popolo europeo verso la stessa Unione Europea è sempre più forte. Questa è una delle grandi sfide dell’Europa, lavorare a partire dalla società civile e per la società civile. Da qui può arrivare la rottura di questo modello integrazionista pieno di errori, ma anche pieno di pregi.
Sarebbe utile apprendere dall’esperienza e fare autocritica per poter affrontare le riforme necessarie che questo processo richiede e aiutare gli stati più colpiti dalla crisi a uscire da questa grave situazione che oggi colpisce e si abbatte su milioni di cittadini europei. Tuttavia, ricordando la storia, l’Europa ha affrontato momenti critici molto complessi, ma ce la fa sempre ed è sempre presente nella contesa per il potere mondiale..

Il Sudamerica sta sperimentando un ambizioso processo d’integrazione regionale rispettoso delle diversità dei differenti paesi che la compongono e molto attento alle politiche che favoriscono il dialogo e il coordinamento tra i suoi membri. UNASUR, come è noto, ha deciso d’istituire il Consiglio di Difesa Sudamericano. Anche se questa istanza di consultazione, cooperazione e coordinamento non può essere paragonata alla NATO o all’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione, è innegabile che stiamo assistendo a una nuova tappa sudamericana soprattutto per quanto riguarda l’integrazione di questi paesi per la difesa. Pensa che il Consiglio di Difesa Sudamericano si trasformerà, forse in un futuro non molto lontano, in un’organizzazione internazionale di difesa collettiva?

I sistemi di sicurezza e di difesa stanno cambiando. L’accelerazione della globalizzazione ha rivoluzionato i concetti di spazi e questo incide sulle definizioni e sui modelli di sicurezza e difesa. Lo scenario di sicurezza e difesa del Sudamerica ha sperimentato una trasformazione significativa dato il notevole diminuire della possibilità di conflitti tra gli Stati. Alcune minacce invece hanno acquisito una dimensione mai vista e il crimine organizzato con le sue modalità di narcotraffico e tratta degli esseri umani, fondamentalmente, sta mettendo a dura prova le istituzioni di sicurezza e difesa degli Stati.
Il Sistema Interamericano di Difesa che è stata una possibile soluzione al contesto geostrategico della Seconda Guerra Mondiale e che ha rappresentato un intento di costruire un modello continentale di difesa collettiva non è più percorribile. E’ scomparso per obsolescenza e perciò l’Ecuador ha revocato ufficialmente il TIAR1 e uscirà dalla Giunta Interamericana di Difesa (JID). Si è rimandato l’aggiornamento del sistema e il tempo è inesorabile e non perdona.
La costruzione di UNASUR e, come parte di questa organizzazione regionale, del Consiglio di Difesa Sudamericano (CDS), ha evidenziato l’esigenza, per i paesi della regione, di integrarsi in materia di sicurezza e difesa, in uno sforzo comune per consolidare una regione di pace. L’Ecuador appoggia in maniera entusiasta e attiva questa grande iniziativa.
Date queste considerazioni e ponendo attenzione alle differenze che esistono tra i paesi del Sudamerica, in relazione alle priorità di sicurezza e difesa, non è fattibile che nella regione si adotti un sistema di difesa collettivo. E’ più percorribile il modello di sicurezza e difesa cooperativa, che si fonda sulla cooperazione e sull’impegno, nel quale tutti gli stati partecipano a un sistema regionale, ma sulla base delle priorità nazionali. Nei diversi documenti di lavoro del CDS è stata manifesta la propensione verso la sicurezza cooperativa2.
Nei forum che si svolgono nella Regione Sudamericana, si ha sottolineato che non c’è la volontà politica né l’intenzione strategica dei paesi membri di cambiare il suo orientamento iniziale e per tanto il CDS continuerà a funzionare come un organismo molto utile per il coordinamento e lo scambio di informazioni di carattere intergovernativo nella difesa.


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