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Le recensioni di “Scrittevolmente”: La Correzione di Stefano Pastor

Creato il 11 dicembre 2012 da Ciessedizioni

A cura di Davide Dotto

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Le recensioni di “Scrittevolmente”: La Correzione di Stefano PastorTitolo: La Correzione
Autore: Stefano Pastor
Editore: Ciesse Edizioni
Anno: 2010
ISBN Libro: 9788897277033
Num. Pagine: 360
Prezzo: 20,00 €
Disponibile anche in eBook
Voto: Le recensioni di “Scrittevolmente”: La Correzione di Stefano Pastor

Trama: [É] la storia di Renato Ferrante, uno scrittore ricco e famoso, ma profondamente solo, il cui unico legame con la realtà è rappresentato dalla sua editor, Eva, una donna con cui lavora da dieci anni e che non ha mai visto. Quando lei, a seguito di una grave malattia, è costretta a ricoverarsi, lo scrittore non può accettare di perderla. Per la prima volta dopo trent’anni abbandona la sicurezza della sua casa e attraversa lo stato per andare da lei, ma a casa della donna trova solo i suoi otto figli di cui non conosceva neppure l’esistenza. Con quei ragazzi crescerà un rapporto nuovo, quasi magico, destinato a liberarlo dalla sua solitudine e a correggere del tutto la sua vita (Stefano Pastor, dall’intervista di corriereinformazione.it) 

Recensione: Una delle prime cose che mi sono domandato è a che genere appartenga questo racconto. Non è una storia romantica, non è un dramma, non è una commedia. La risposta diventa evidente a lettura ultimata: è una fiaba. O meglio, come chiarisce l’autore, è una storia che unisce il realismo alla favola. Quello che colpisce è ciò che di tutto è perno:  la morte, argomento sfruttato, banalizzato, esorcizzato, ecco la parola giusta, reso distante e dissacrato. La morte, infatti, ci viene offerta continuamente e non solo in un horror o all’interno di un noir: in tali contesti non ci tocca, è oltre un vetro. Noi ne siamo fuori. Non ne veniamo umanamente coinvolti, l’immedesimazione non è contemplata.

La storia qui raccontata rimette un po’ le cose in ordine, ce ne restituisce la dimensione sacra, genuina, più prossima a noi che leggiamo. Noi stessi riscopriamo l’incubo di perdere una persona cara, o addirittura  riaffrontiamo esperienze già vissute. Siamo persino costretti a porci domande che mettiamo continuamente da parte come fossimo eterni bambini incapaci di affrontare la realtà. Perché questa favola, in fondo, la realtà ce la offre nuda e cruda così com’è, senza fronzoli e senza miracoli dell’ultima ora.

Vi sono due universi che si scontrano e si incontrano: quello della realtà, appunto, e quello dell’immaginazione.

Il mondo della realtà appartiene in genere agli adulti, quelli con i piedi per terra, in grado di organizzare, guidare, pianificare l’altrui e la propria esistenza, anche a costo di perdere la fantasia, l’immaginazione. Eva è così. Non ha immaginazione (anche se non ne sente la mancanza, la sua casa ne è piena grazie ai suoi figli e, perché no? a Renato Ferrante, che frequenta via chat per lavoro).

Il mondo della favola e dell’immaginazione appartiene invece ai bambini, che mai hanno i piedi per terra, che se lasciati soli si perdono in un bicchier d’acqua, non sono in grado di dirigersi, di orientarsi. Se non vi è un adulto che li segue perdono il contatto con la realtà, o addirittura la rifiutano, chiudendosi in una torre d’avorio. Ebbene questo è il ritratto sputato di Renato Ferrante. Ricco di immaginazione, è una formidabile macchina da romanzi, capace di inventare sul momento storie meravigliose. La sua editor (questo il ruolo di Eva) non fa altro che donare a esse la forma definitiva, quella giusta, la consistenza e l’attendibilità che altrimenti non avrebbero.

Eppure sono proprio i figli di Eva, tutto sommato, ad avere maggiori risorse per tirare avanti: quelle inesauribili  degli affetti. La scomparsa della madre non è definitiva, non li porta alla disperazione. Sono troppo piccoli (almeno alcuni) per abbattersi, per deprimersi, o semplicemente per comprendere. Pongono domande, esigono risposte alla loro portata, in forma di fiabe. L’apparizione di Renato Ferrante (un ometto, quasi uno gnomo) è la risposta più preziosa, simile al miracolo.

A pensarci bene chi corre un vero rischio esistenziale è proprio Ferrante. Talmente disperato da abbandonare la sua torre d’avorio dopo 34 anni passati nella più tetra e rigorosa solitudine. L’unico collegamento che aveva con il mondo reale, Eva, le è venuto a mancare:

Che ne sarà di lui, senza Eva? Non ce ne sarà mai un’altra, lo sa già.

Ferrante è tale e quale ai ragazzi, un bambino solo un poco cresciuto. Non ha la più pallida idea di come gestire una casa. Molto ricco, non conosce il valore del denaro, non sa cosa sia una carta di credito o un libretto degli assegni: è il nono figlio di Eva. Anzi, tra gli nove è sempre stato il più impegnativo.

E impegnativo sarà il compito che nolente o volente si è assunto: grazie a lui i ragazzi ritrovano (o sperano di trovare)  una parvenza di ordine, un solido suolo su cui poggiare i piedi, una difesa contro chi (come zia Germana) vorrebbe dividerli.

Grazie a loro l’ometto (così viene chiamato lo scrittore per tutto il libro) affronterà a poco a poco la realtà, uscendo dal suo guscio. Scoprirà che le cose non sono così difficili. Imparerà a trasferire nella realtà i sogni e l’immaginazione che riversa nelle sue storie, trasfigurandola.


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