Le regole dell’innovazione. Reloaded

Creato il 20 febbraio 2015 da Apregesta7 @regesta_ap

A fine gennaio 2012 con il decreto “Semplifica Italia” il governo Monti dava il via all’attuazione dell’Agenda digitale italiana, creando una “cabina di regia” con il compito di coordinare gli interventi dei vari attori istituzionali su smart communities, open data, e-government, cloud computing, infrastrutture di accesso alla rete, tecnologie digitali per il sistema scolastico e universitario. L’iniziativa governativa venne allora accolta da commenti dissonanti e da un diffuso scetticismo: “Agenda digitale? Una delusione”.  Dopo tre anni, altri due governi, diversi interventi legislativi e decisive modifiche della governance (con l’istituzione dell’Agenzia per l’Italia Digitale), la generalizzata e perdurante consapevolezza dei ritardi e dell’estrema frammentarietà della IT pubblica non sembra essere stata scalfita, pur in presenza di singole e disperse eccellenze.

Sulle condizioni di ritardo e sfavore agiscono un insieme di fattori, che inceppano il meccanismo dell’innovazione: dalle insufficienze strutturali (come, ad esempio, le deludenti performance delle reti a banda larga) alla scarsa apertura del mercato, incapace di sostenere e favorire la moltiplicazione degli attori che vi operano. Una qualsiasi strategia di sostegno dell’economia digitale deve, perciò, essere necessariamente declinata in maniera coerente su una pluralità di piani.

  1. Decentramento. Il processo di innovazione digitale si è mosso per strappi e accelerazioni; si è nutrito di condivisione (di standard, protocolli, buone pratiche) e pluralismo (di attori, piattaforme distribuite, soluzioni). Questo ecosistema oggi è minacciato dal moltiplicarsi di artificiose barriere nazionali, dalla crescita del potere di monopoli sovranazionali, dalle limitazioni alla libertà di espressione e di iniziativa che derivano dal controllo dei flussi informativi e delle risorse. “By continually ‘re-decentralising’ the web, we will unleash the next generation of technology, business and social innovators”, ci ricorda in un articolo scritto per Wired da Tim Berners-Lee , che per contrastare questi rischi ha promosso l’iniziativa The Web We Want con l’obiettivo di giungere ad una Magna Charta di Internet.
  2. Condivisione. Nel corso dei suoi primi venticinque anni di vita il Web si è evoluto da una “collection of interlinked static documents” ad un universo di dati, in grado di alimentare una varietà di applicazioni per i più diversi dispositivi. Le regole di interoperabilità dei dati disegnate dal W3C con la famiglia di standard del Semantic Web identificano uno spazio comune alimentato in modo autonomo dai singoli fornitori, in grado di descrivere tutta la ricchezza del proprio patrimonio informativo. Nella visione dall’Open Data User Group UK, che all’inizio di quest’anno ha pubblicato la nuova versione del “National Information Infrastructure”, è nella disponibilità di dati aperti del settore pubblico – accessibili liberamente a tutti per il riuso e indipendenti da specifiche architetture IT – il requisito inderogabile per creare nuove opportunità, nuovi prodotti e servizi, nuovo lavoro; e per questa via raggiungere gli obiettivi di accrescere l’efficienza della pubblica amministrazione, favorire il contenimento dei costi, offrire maggiori servizi a cittadini e imprese.
  3. Inclusione. Lo sviluppo del contesto digitale in cui operiamo è governato dall’azione di organismi indipendenti e autonomi, che operano attraverso la pubblicazione di linee guida, raccomandazioni, standard condivisi. W3C, RIPE, IEFT sono tutte organizzazioni no profit, partecipate su base volontaria da una pluralità di soggetti (operatori privati, centri di ricerca, istituti statali). Ampliare le competenze di AgID, liberando l’Agenzia da funzioni di spesa, attraverso l’emanazione di bandi di gara per la PA, e favorendo la più ampia partecipazione dei diversi attori pubblici e privati dell’universo IT, consentirebbe anche all’Italia di dotarsi di un organismo di regolazione e coordinamento di alto profilo tecnico, molto flessibile e di alta rappresentatività e autorevolezza.
  4. Pluralismo. Attualmente è in corso una procedura di gara per “sviluppare servizi evoluti per la PA, razionalizzando processi e costi” del valore di 1,95 miliardi di Euro per cinque anni, da cui è atteso un risparmio di 3 miliardi (fonte Consip). Per quanto la gara sia suddivisa in 4 lotti (quindi, 4 mega gare da 500 milioni di Euro), l’individuazione di un unico raggruppamento di aziende su campi applicativi importanti (big data, interoperabilità, cloud computing), anche per la rilevanza delle risorse messe in campo, rischia di restringere per lungo tempo la possibile platea di operatori impegnati su alcune delle frontiere strategiche dell’attuale sviluppo tecnologico. Inducendo, temo, un’inefficienza sistemica di medio periodo a fronte di un possibile risparmio settoriale immediato. E d’altro canto, in settori a forte innovazione e sperimentazione, gli attuali criteri di determinazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa rischiano di premiare inevitabilmente il maggior ribasso dei costi rispetto alla qualità progettuale e ai contenuti tecnici.

Salire sul carro della seconda rivoluzione digitale (quella dei dati) con il peso dei ritardi in termini di infrastrutture, competenze e contenuti accumulati negli anni della prima rivoluzione digitale (quella del Web) non si presenta come un’operazione agevole

Salire sul carro della seconda rivoluzione digitale (quella dei dati) con il peso dei ritardi in termini di infrastrutture, competenze e contenuti accumulati negli anni della prima rivoluzione digitale (quella del Web) non si presenta come un’operazione agevole. Richiederà una capacità di accelerazione degli investimenti, un impegno tempestivo, concorde e continuativo. E occorre partire subito!

L’annuale appuntamento dell’International Open Data Day (siamo giunti alla quinta edizione, la terza alla quale partecipa anche l’Italia) può essere l’occasione per rilanciare alcune iniziative che possano avere un’immediata operatività. Cito solo, in conclusione, due esempi.

Il primo è quello dei dati sul trasporto pubblico, che già sono compresi nel report, pubblicato dall’AgID una settimana fa, sui risultati della consultazione pubblica sulle tipologie di dati da rendere disponibili. Il 23 settembre dello scorso anno il Department for Transport del governo inglese ha annunciato la chiusura dopo 10 anni di operatività di Transport Direct, il sito statale di “journey planner” per Inghilterra, Scozia e Galles, motivando la decisione come conseguenza della nascita di numerosi siti analoghi (ne vengono citati 11 nel comunicato), sorti grazie all’iniziativa portata avanti dal governo “with transport operators to make timetable data freely available to web developers”: coniugando in tal modo risparmio dei costi, ampliamento dell’offerta di servizi e pluralità di operatori. Ma in questo campo è possibile citare anche l’esperienza francese di SNCF con il sito data.sncf.com, realizzato con l’obiettivo di “libérer la créativité en réunissant autour d’une même table des profils éclectiques” e fungere da “accélérateur d’innovation au service d’une mobilité plus informée, plus fluide et plus personnalisée”.

Il secondo esempio riguarda, invece, le informazioni sulle aziende e le imprese. Sul sito di Opencorporates, una delle startup di maggior successo nel panorama digitale mondiale, è possibile rintracciare informazioni aggiornate (provenienti da dati pubblici aperti, come quelli del registro britannico di Company House) su quasi 85 milioni di aziende, provenienti da 102 giurisdizioni amministrative statali (da Abu Dhabi al Wyoming). “This is the kind of resource the (digital) single market needs” è il commento dell’ex vicepresidente della Commissione europea Neelie Kroes, citato con orgoglio sulla home page. A segnalare la persistenza di una marginalità della nostra struttura imprenditoriale, dal catalogo mancano totalmente le imprese italiane, i cui dati essenziali continuano ad essere ben custoditi nei “forzieri” delle Camere di commercio.

A me sembrano due buoni casi da cui partire.


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