Sewehli, ex dissidente durante la dittatura di Gheddafi, è una delle figure di primo piano del Congresso Generale Nazionale della Libia, l’organo legislativo degli islamisti a Tripoli. Ma soprattutto è uno dei leader dei Fratelli Musulmani libici, omologhi di quelli egiziani e come loro ben foraggiati da capitali provenienti dalla Turchia e soprattutto dal Qatar, principale sospettato di essere uno dei massimi finanziatori dell’ISIS, sebbene lo stesso Sewehli abbia di recente respinto ogni accostamento tra la Fratellanza e il Califfato islamico di Derna.
Ma Sewehli è anche uno dei capi di Fajr Libiya, (Alba della Libia), una milizia paramilitare islamica per certi aspetti simile alle milizie di Hamas, che funge da esercito del governo ribelle, i cui obiettivi sono essenzialmente due: proteggere la presenza in Libia orientale di guerriglieri islamici legati ai Fratelli Musulmani libici e ai movimenti jihadisti, e rafforzare il ruolo dell’Islam politico nel Nord-Africa, dopo il fallimento della Fratellanza in Egitto e del partito Ennahda in Tunisia.
Che cosa ci è andato a fare fino a Kiev un personaggio come lui? La motivazione di questa visita – testimoniata da una fotografia circolata su Twitter – non è stata ufficializzata, ma fonti anonime molto attendibili, provenienti da Ong operanti in Libia, parlano di un incontro finalizzato all’acquisto di armamenti ucraini per Alba della Libia, in particolare apparecchiature militari in grado di trasformare due obsoleti MiG-23 sovietici in dotazione all’ex esercito di Gheddafi e ora in possesso dei miliziani, in due efficienti e letali caccia militari. Negli anni Ottanta del secolo scorso il Colonnello aveva acquistato numerose armi dall’ex Unione Sovietica, e diverse fabbriche produttrici avevano stabilimenti in Ucraina: secondo quanto dichiarato da Sir Richard Dalton, ex ambasciatore britannico a Tripoli, molti degli aerei da guerra finiti nelle mani dei miliziani islamici sono stati costruiti proprio in quelle fabbriche, e ciò confermerebbe la motivazione del misterioso incontro tra Sewehli e Klimkin.
Se dunque l’Ucraina fosse davvero coinvolta in un traffico di armi con il governo ribelle libico, ci troveremmo dinanzi ad una palese violazione dell’embargo verso la Libia posto in essere dalle Nazioni Unite dopo la caduta del regime di Gheddafi, che proibisce qualsiasi transazione di tal genere verso forze non governative libiche: con la Risoluzione 2174 del settembre 2011 il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha infatti stabilito nello specifico che la vendita di armi verso la Libia può essere effettuata solo nei confronti di “autorità riconosciute”, in cui Alba della Libia non è inclusa.
Non solo. Oltre alla perdita della propria credibilità internazionale, il governo filo-occidentale di Kiev rischierebbe così di creare forte imbarazzo proprio a Washington e a Bruxelles, dal momento che sia gli Stati Uniti che l’Unione Europea non riconoscono l’autorità del governo di Tripoli e sostengono il governo legittimo di Tobruk. Inoltre, a fronte dei tentativi di pacificazione posti in essere dalla comunità internazionale, la vendita di armi ucraine alle forze islamiste andrebbe ad aprire uno scenario inedito, che mostrerebbe i ribelli intenti a muoversi sia sul tavolo della trattativa ma anche su quello del riarmo. Un fattore che complicherebbe, e non poco, il lavoro della diplomazia.