Le sanzioni contro la Russia, una storia che si ripete

Creato il 29 gennaio 2015 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

In che misura le sanzioni adottate contro la Federazione Russa sono legate alla crisi ucraina? Se sul piano della cronologia dei fatti il legame tra questi due ordini di avvenimenti sembra non lasciare adito a dubbi, gli ostacoli politici nei rapporti commerciali tra Occidente e Russia hanno in realtà una lunga storia, che risale ai tempi della Guerra Fredda e rivela significative assonanze con il contesto odierno.

Il CoCom (Coordination Committe for Multilateral Export Control) fu un organismo informale e semi-segreto, costituito nel 1949 sotto l’egida degli Stati Uniti allo scopo di limitare le esportazioni dei Paesi dell’Alleanza Atlantica verso il blocco socialista e formalmente sciolto solo nel 1994. I Paesi aderenti al Comitato erano tutti i membri NATO eccetto l’Islanda, con l’aggiunta del Giappone e successivamente della Spagna. I beni e i prodotti colpiti dalle limitazioni sancite dal CoCom erano suddivisi in tre gruppi: prodotti industriali di ambito militare (International Munition List); prodotti legati allo sviluppo dell’energia nucleare, compresi i materiali fissili, i reattori nucleari e i loro componenti (International Atomic Energy List); infine i beni a duplice uso, che potevano cioè ricadere tanto nell’ambito civile che militare (International Industrial List).

Se le prime due categorie erano legate in modo sostanzialmente diretto alla rivalità geostrategica della Guerra Fredda e rispondevano alla necessità di impedire l’eventuale sorpasso di tecnologia bellica del campo avversario, la terza risultava maggiormente discrezionale e meglio si prestava al perseguimento di quella «strategia dell’arretratezza controllata» del blocco socialista che secondo gli analisti d’oltrecortina costituiva lo scopo stesso del CoCom.

Una definizione assai calzante di ciò che rappresentava il CoCom è d’altronde quella fornita da un diplomatico occidentale dell’epoca, secondo cui tale organismo andava inteso come una sorta di «corollario del Piano Marshall». Ed è proprio qui che risulta possibile individuare la principale assonanza con lo scenario contemporaneo. Le attuali sanzioni contro la Federazione Russa, formalmente proclamate in risposta all’interventismo di Mosca nell’Ucraina orientale, sono state infatti adottate in parallelo all’energica ripresa dei negoziati per il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), cioè l’accordo che intende rinsaldare i legami commerciali Europa-Stati Uniti attraverso la costituzione di un’area di libero scambio e la standardizzazione delle rispettive normative.

Non è pertanto azzardato parlare del riproporsi di una politica geoeconomica di matrice statunitense che si sostanzia essenzialmente in due aspetti: l’uno di carattere «difensivo», teso ad escludere l’Unione Sovietica ieri e la Russia oggi da rapporti commerciali troppo stretti con gli alleati europei degli USA; l’altro propositivo e inclusivo, incarnato allora dal Piano Marshall e oggi dal TTIP, che mira a inserire l’Europa occidentale in un sistema economico integrato avente il suo centro negli Stati Uniti d’America. Il paragone diretto tra il regime di sanzioni attualmente in vigore contro la Russia e le misure intraprese dal CoCom contro il blocco socialista a partire dal 1949 è stato d’altronde esplicitamente richiamato dal Vice-Ministro degli Esteri della Federazione Russa Sergej Rjabkov, che ha condannato l’uso politico delle misure economiche e l’evidente anacronismo delle medesime.

A ben vedere, le sanzioni introdotte di recente contro la Federazione Russia non sono altro che una riedizione delle misure restrittive adottate a suo tempo dal CoCom, sia pure con qualche aggiustamento. Esse prendono di mira gli stessi settori strategici, e cioè quello militare, le tecnologie orientate al ramo energia e i prodotti a duplice uso. L’unica discrepanza rispetto allo schema del passato è rappresentata dalle sanzioni nei confronti di persone fisiche e giuridiche che non trovano riscontro nel periodo della Guerra Fredda.

Pur essendo mutato il contesto e cambiate almeno in apparenza le finalità, le analogie tra il regime sanzionatorio del passato e quello attuale sono sorprendenti ed impongono un esame più attento per cercare di decifrare il dato storico e, se possibile, trarne qualche insegnamento. Dall’analisi dell’impianto sanzionatorio CoCom, e delle sue conseguenze sugli assetti politico-economici dei paesi coinvolti, emergono spunti molto interessanti.

Innanzitutto, occorre segnalare che le misure restrittive imposte dal CoCom hanno avuto un impatto, tutto sommato, abbastanza modesto sull’economia dell’URSS, che ha potuto comunque procurarsi da altre fonti i beni vietati. Le sanzioni hanno invece penalizzato principalmente le economie dei paesi occidentali (specialmente in termini di perdite di accordi commerciali) e creato attriti nei rapporti tra gli Stati Uniti ed Europa Occidentale, nonché tra i paesi dell’Europa Occidentale.

Inoltre, nonostante la stretta sorveglianza degli USA, negli anni della Guerra Fredda si sono registrate innumerevoli violazioni delle regole CoCom da parte degli stessi stati membri con l’appoggio di paesi terzi, cosicché, in definitiva, sembrerebbe che gli unici a trarre beneficio dal regime delle sanzioni CoCom siano stati i paesi terzi che hanno così potuto incrementare il volume dei propri traffici con l’URSS.

Infine, l’ultimo importante monito che viene dal passato riguarda la cancellazione delle sanzioni. L’impianto delle misure restrittive CoCom è durato per veri decenni ed è stato definitivamente smantellato solo alcuni anni dopo la caduta del Muro di Berlino. Ciò a riprova del fatto che se è facile imporre le sanzioni, più difficile è rimuoverle.


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