Le scarpe rotte
Creato il 25 marzo 2012 da Italiabenetti
@italiabenetti
Le scarpe rotte
Io ho le scarpe rotte e l'amica con la quale vivo in questo
momento ha le scarpe rotte anche lei. Stando insieme parliamo spesso di scarpe.
Se le parlo del tempo in cui sarò una vecchia scrittrice famosa, lei subito mi
chiede: «Che scarpe avrai?» Allora le dico che avrò delle scarpe di camoscio
verde, con una gran fibbia d'oro da un lato. Io appartengo ad una famiglia dove
tutti hanno scarpe solide e sane. Mia madre anzi ha dovuto far fare un
armadietto apposta per tenerci le scarpe, tante paia ne aveva. Quando torno fra
loro, levano alte grida di sdegno e di dolore alla vista delle mie scarpe. Ma
io so che anche con le scarpe rotte si può vivere. Nel periodo tedesco ero sola
qui a Roma, e non avevo che un solo paio di scarpe. Se le avessi date al
calzolaio avrei dovuto stare due o tre giorni a letto, e questo non mi era
possibile. Così continuai a portarle, e per giunta pioveva, le sentivo sfasciarsi
lentamente, farsi molli ed informi, e sentivo il freddo del selciato sotto le
piante dei piedi. È per questo che anche ora ho sempre le scarpe rotte, perché
mi ricordo di quello e non mi sembrano poi tanto rotte al confronto, e se ho
del denaro preferisco spenderlo altrimenti, perché le scarpe non mi appaiono
più come qualcosa di molto essenziale. Ero stata viziata dalla vita prima,
sempre circondata da un affetto tenero e vigile, ma quell’anno qui a Roma fui
sola per la prima volta, e per questo Roma mi è cara, sebbene carica di storia
per me, carica di ricordi angosciosi, poche ore dolci. Anche la mia amica ha le
scarpe rotte, e per questo stiamo bene insieme. La mia amica non ha nessuno che
la rimproveri per le scarpe che porta, ha soltanto un fratello che vive in
campagna e gira con degli stivali da cacciatore. Lei e io sappiamo quello che
succede quando piove, e le gambe sono nude e bagnate e nelle scarpe entra
l’acqua, e allora c’è quel piccolo rumore a ogni passo, quella specie di
sciacquettio. La mia amica ha un viso pallido e maschio, e fuma in un bocchino
nero. Quando la vidi per la prima volta, seduta a un tavolo, con gli occhiali
cerchiati di tartaruga e il viso misterioso e sdegnoso, col bocchino nero fra i
denti, pensai che pareva un generale cinese. Allora non lo sapevo che aveva le
scarpe rotte. Lo seppi più tardi. Noi ci conosciamo soltanto da pochi mesi, ma
è come se fossero tanti anni. La mia amica non ha figli, io invece ho dei figli
e per lei questo è strano. Non li ha mai veduti se non in fotografia, perché
stanno in provincia con mia madre, e anche questo fra noi è stranissimo, che
lei non abbia mai veduto i miei figli. In un certo senso lei non ha problemi,
può cedere alla tentazione di buttar la vita ai cani, io invece non posso. I miei
figli dunque vivono con mia madre, e non hanno le scarpe rotte finora. Ma come
saranno da uomini? Voglio dire: che scarpe avranno da uomini? Quale via
sceglieranno per i loro passi? Decideranno di escludere dai loro desideri tutto
ciò che è piacevole ma non è necessario, o affermeranno che ogni cosa è
necessaria e che l’uomo ha il diritto di avere ai piedi delle scarpe solide e
sane? Con la mia amica discorriamo a lungo di questo, e di come sarà il mondo
allora, quando io sarò una vecchia scrittrice famosa, e lei girerà per il mondo
con uno zaino in spalla, come un vecchio generale cinese, e i miei figli
andranno per la loro strada, con le scarpe sane e solide ai piedi e il passo
fermo, di chi non rinunzia, o con le scarpe rotte e il passo largo e indolente
di chi sa quello che non è necessario. Qualche volta noi combiniamo dei
matrimoni tra i miei figli e i figli di suo fratello, quello che gira per la
campagna con gli stivali da cacciatore. Discorriamo così fino a notte alta, e
beviamo del tè nero e amaro. Abbiamo un materasso e un letto, e ogni sera
facciamo a pari e dispari chi di noi due deve dormire nel letto. Al mattino
quando ci alziamo, le nostre scarpe rotte ci aspettano sul tappeto. La mia
amica qualche volta dice che è stufa di lavorare, e vorrebbe buttar la vita ai
cani. Vorrebbe chiudersi in una bettola e a bere tutti i suoi risparmi, oppure
mettersi a letto e non pensare più a niente, e lasciare che vengano a levarle
il gas e la luce, lasciare che tutto vada alla deriva pian piano. Dice che lo
farà quando io sarò partita. Perché la nostra vita comune durerà poco, presto
io partirò e tornerò da mia madre e i miei figli, vincendo la tentazione di
buttar la vita ai cani. Tornerò ad essere grave e materna, come sempre mi
avviene quando sono con loro, una persona diversa da ora, una persona che la
mia amica non conosce affatto. Guarderò l’orologio e terrò conto del tempo,
vigile ed attenta ad ogni cosa, e baderò che i miei figli abbiano i piedi
sempre asciutti e caldi, perché so che così dev’essere se appena è possibile,
almeno nell’infanzia. Forse anzi per imparare poi a camminare con le scarpe
rotte, è bene avere i piedi asciutti e caldi quando si è bambini.
1945 Natalia Ginzburg, da Le piccole virtù
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