Giuseppe Casarrubea
Aperta dai thank delle milizie bulgare del novello Cracolici, i militi in abito civile di questo grande capo Levatitùcherestosempreio, dismessi gli abiti di una qualsivoglia sinistra di lotta e di governo, si catapultano, tutti per intero, nel parapiglia del gattopardesco sicilianismo, che ci richiama, però, non i tempi di Milazzo, ma quelli meno onorevoli delle armate di Filippo V, quando i siciliani erano nessuno e agli spagnoli che facevano il bello e il cattivo tempo, i baroni delle terre garantivano gli intrallazzi perfino nella compravendita dei generi alimentari negli “zagati” e nelle botteghe dei paesi. Oltre alla quiete nei loro feudi. Insomma: dove vogliono arrivare questi signori ai quali i congressi di partito, se li fanno, servono solo a confermare che esistono? Cosa devono temere i comuni mortali, visto che tutto passa sulle loro teste?
Niente di nuovo sotto il sole di Sicilia, come diceva in quegli anni l’inviato del doge di Venezia, Giacomo Ragazzoni in un suo rapporto del 1574. I siciliani non amano fare le guerre – spiegava. Semmai si ammazzano tra di loro e non vogliono rompiscatole tra i piedi. In questo tutti sono d’accordo. E qua pare si ricompatti la grande intesa trasversale che divide il mondo della politica siciliana. Una divisione che non riguarda più i partiti di destra o di sinistra, ma le teste calde e le teste fredde, gli impulsivi e “i ragionatori”.
Quello di Lombardo e dei suoi lacchè, un tempo addetti a demolire le vestigia di ogni italianità nell’isola dei Ciclopi e della maga Circe, che trasformava gli uomini in porci, fu, alcuni anni fa, solo un lavoro preliminare. Ora la fase politica è molto più avanzata, e alla teste calde che protestano cominciano a rispondere le teste fredde. Quelle che si sono riunite perché quel testa calda del gip di Catania, Luigi Barone, ha disposto in queste ore “l’imputazione coatta di Raffaele Lombardo per mafia e voto di scambio aggravato”. Il Levatitùeccetera pare sia stato impegnato in un acrobatico vertice di maggioranza con il governatore supremo e pare che si sia disquisito delle ultime novità giudiziarie, la cui gravità dovrebbe consentire a Benedetto XVI di dichiarare subito santo non Eugenio Pacelli, ma il buon Totò Cuffaro, ormai convertitosi all’ascetismo monacale dei frati trappisti.
Noi fiduciosi aspettiamo la nuova soluzione bizantina. Che possa salvare l’asse tra il Pd e Lombardo e intanto rassicurare il popolo devoto. Cosa fatta. “Non mi dimetto”, ha detto il governatore. E che bisogno c’è? Non è che siamo in Italia.