Le secondarie a Palermo

Creato il 30 marzo 2012 da Casarrubea

Giuseppe Casarrubea

Dopo le primarie svoltesi ai primi di marzo nella capitale della Sicilia, il Pd si appresta ora a svolgere quelle che possiamo chiamare le secondarie. Perché la democrazia sarebbe monca se non andasse fino in fondo e non ci desse la prova di come la trasparenza sia la caratteristica principale di una vera e propria consultazione preelettorale. Abbiamo così le secondarie. Una sorta di informali verifiche che hanno per oggetto la tenuta della nuova corsia politica. Tutta metodo e decenza. Per la verità ci sono molte cose comuni con la vecchia  milazziata che nel 1958 diede origine a ben tre governi di Silvio Milazzo. Ci sono, ad esempio, le intese trasversali che uniscono partiti e cose diverse in un unico disegno. Ci sono le comuni e diversificate spaccature.  C’è il carattere originale della coalizione e la sua eterogenità. La coesistenza del contrapposto. Allora fanfaniani, monarchici, missini e socialisti con l’appoggio esterno del Partito Comunista fecero quel primo geniale esperimento. Fu l’inizio delle metamorfosi. Oggi i protagonisti si chiamano Pd, Mpa,  Pdl, e quant’altro ancora. 

Il notabilato di ogni appartenenza, insomma. Un appoggio che ebbe a suo tempo il conforto iniziale del gruppo Salvo-Cambria e del noto esponente di Cosa Nostra Paolino Bontate, padre di Stefano, che con i Salvo intratteneva buoni rapporti. 
 Aperta dai thank delle milizie bulgare del novello Cracolici, i militi in abito civile di questo grande capo Levatitùcherestosempreio, dismessi gli abiti di una qualsivoglia sinistra di lotta e di governo, si catapultano, tutti per intero, nel parapiglia del gattopardesco sicilianismo, che ci richiama, però, non i tempi di Milazzo, ma quelli meno onorevoli delle armate di Filippo V, quando i siciliani erano nessuno e agli spagnoli che facevano il bello e il cattivo tempo, i baroni delle terre garantivano gli intrallazzi perfino nella compravendita dei generi alimentari negli “zagati” e nelle botteghe dei paesi. Oltre alla quiete nei loro feudi. Insomma: dove vogliono arrivare questi signori ai quali i congressi di partito, se li fanno, servono solo a confermare che esistono? Cosa devono temere i comuni mortali, visto che tutto passa sulle loro teste?

Niente di nuovo sotto il sole di Sicilia, come diceva in quegli anni l’inviato del doge di Venezia, Giacomo Ragazzoni in un suo rapporto del 1574. I siciliani non amano fare le guerre – spiegava. Semmai si ammazzano tra di loro e non vogliono rompiscatole tra i piedi. In questo tutti sono d’accordo. E qua pare si ricompatti la grande intesa trasversale che divide il mondo della politica siciliana. Una divisione che non riguarda più i partiti di destra o di sinistra, ma le teste calde e le teste fredde, gli impulsivi e “i ragionatori”.

 Quello di Lombardo e dei suoi lacchè, un tempo addetti a demolire le vestigia di ogni italianità nell’isola dei Ciclopi e della maga Circe, che trasformava gli uomini in porci, fu, alcuni anni fa, solo un lavoro preliminare. Ora la fase politica è molto più avanzata, e alla teste calde che protestano cominciano a rispondere le teste fredde. Quelle che si sono riunite perché quel testa calda del gip di Catania, Luigi Barone, ha disposto in queste ore “l’imputazione coatta di Raffaele Lombardo per mafia e voto di scambio aggravato”. Il Levatitùeccetera  pare sia stato impegnato in un acrobatico vertice di maggioranza con il governatore supremo e pare che si sia disquisito delle ultime novità giudiziarie, la cui gravità dovrebbe consentire a Benedetto XVI di dichiarare subito santo non Eugenio Pacelli, ma il buon Totò Cuffaro, ormai convertitosi all’ascetismo monacale dei frati trappisti.

Noi fiduciosi aspettiamo la nuova soluzione bizantina. Che possa salvare l’asse tra il Pd e Lombardo e intanto rassicurare il popolo devoto. Cosa fatta.  “Non mi dimetto”, ha detto il governatore. E che bisogno c’è? Non è che siamo in Italia.


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