Le sirene di chi scrive

Da Marcofre

Come Ulisse, chi si imbarca nell’avventura della scrittura incappa in alcune sirene che rischiano di sedurlo, e di affondarlo. Qualunque navigazione deve scegliere la rotta più sicura, o almeno quella che offre meno rischi, e questo sarà possibile solo se si individua prima, quello che può condurre al naufragio. Ecco secondo me le sirene dalle quali stare distanti se non si vuole correre il rischio di colare a picco.

  • Sono bravo. L’ego ha bisogno di iniezioni di fiducia, ma questa non lo è affatto. Mi sembra invece il desiderio di primeggiare, di salire sul piedistallo e mostrare che si vale. Per quello che ho capito io: un autore non deve affatto mostrare di valere, è la storia che si incarica di questo compito. Se non accade, avremo solo un ingombrante ego chiuso in una pagina e nessuna storia. Chi mai ha voglia di comprare un libro che NON contiene una storia, ma un ego?
  • Sono originale. Ne siamo certi? Dopo Omero è dura riuscire a essere originali. Sì lo so, poi c’è stato Joyce e via discorrendo, e infatti le discariche di mezzo mondo rigurgitano di manoscritti di “originali” autori che reinventano la narrativa. Alcuni ritengono inoltre che l’originalità voglia dire infischiarsene di grammatica e sintassi: tanto ci sono gli editor. Che dire? Auguri.
  • Sono interessante. Ne sono certo, sul serio. Peccato che questo non sia un buon motivo per scrivere. Quando si è all’inizio, ci si guarda attorno e siccome tutte le vette sono state scalate, i mari navigati, i continenti esplorati, i pianeti preclusi, e non possiamo passare alla storia (anche letteraria) grazie alle nostre imprese: che si fa? Ci si decide a parlare di quello che conosciamo meglio. Vale a dire: noi stessi. A mio parere, un certo tipo di narrativa (quella che dura), deve avere il coraggio di esplorare. Meglio abbandonare con gioia quello che si conosce, per quello che si ignora. Collodi aveva forse un figlio che si trasformava in burattino, e per questo ha scritto “Pinocchio”? O Kafka una mattina si è svegliato ed era uno scarafaggio? Chi scrive gratta via la crosta delle forme, e quello che trova sotto non è sempre piacevole, ma è un lavoro che qualcuno deve pur fare. È un errore scrivere solo di ciò che si conosce: è più pericoloso (interessante) scrivere di ciò che si ignora. E se chi vuole scrivere non ama il pericolo: allora che non scriva.
  • Ho un’immaginazione fervida. E se fosse un problema? Spesso con questa affermazione si cerca di giustificare superficialità, sciatteria ed errori (errori, non refusi). L’immaginazione semmai richiede un surplus di impegno perché quando non viene tenuta a freno, divora la storia. Se un autore non è in grado di applicare a se stesso la disciplina, riempirà le sue pagine di immaginazione, certo. Non di personaggi reali, di storie. Non c’è nulla che pretenda pugno di ferro come la parola. In parecchi pensano che sia sufficiente sedersi alla scrivania e lasciar correre. Anche i lettori correranno: via da chi scrive in questa maniera, però.
  • La presa diretta. Nei dialoghi, si immagina che il modo migliore per renderli vivi, cioè credibili, sia agire come se noi fossimo un registratore. Sbagliato. Prima di tutto, perché i nostri antenati scimmieschi non sono scesi dagli alberi per essere registratori. Secondo, i dialoghi dei racconti di Raymond Carver NON sono in presa diretta. Sono il frutto di mesi e mesi di riscritture, riletture, e via discorrendo. Per rendere reale un dialogo, occorre pianificarlo, costruirlo, in modo tale che il lettore non si accorga di essere alle prese con un perfetto prodotto artigianale. Bensì creda che l’autore non abbia fatto altro che accendere il proprio registratore, per poi trascrivere appunto il dialogo. In realtà è solo il risultato di un duro lavoro.

Infine:

Scrivere è facile, scrivere bene non lo è. Mica devo spiegarvelo, giusto?


Filed under: buona scrittura, cassetta degli attrezzi Tagged: scrivere bene

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