Seguo da tempo il dibattito sull’autodeterminazione che – come un basso continuo – attraversa il discorso pubblico sudtirolese. A questo proposito esistono opinioni estremamente diversificate. Ci sono quelli che considerano il tema un residuo marginale di posizioni sostenute soltanto da una minoranza di fanatici; e poi ci sono quelli che invece vi vedono il tratto saliente della politica locale futura, qualcosa insomma di cui occorre occuparsi perché tutti, alla fine, se ne occuperanno.
Personalmente tendo a pensare che in casi del genere la ragione stia in mezzo. È vero cioè che finora il dibattito sull’autodeterminazione abbia raramente valicato il confine dei circoli di pensiero popolati dai cosiddetti “professionisti dell’indipendenza”. È parimenti vero però che da quando la soluzione data storicamente alla questione sudtirolese ha ricevuto la sua conformazione attuale, non pochi hanno ricominciato a vedere in questa soluzione qualcosa di provvisorio e d’incompleto, ponendosi dunque il compito d’immaginarsi un approdo ulteriore. Si tratterebbe allora di verificare se – in base alle nuove istanze di ampliamento o radicalizzazione dell’autonomia – si è avuto nel frattempo anche un significativo spostamento dell’impianto argomentativo a favore dell’opzione autodeterministica e, soprattutto, se questo impianto potrebbe realmente consentire l’emergere di nuovi soggetti in grado di ampliare sia il repertorio degli spunti e delle prospettive che vi si connettono, sia quello dei partecipanti alla discussione.
Su quest’ultimo punto dobbiamo registrare il ricorrente appello a considerare anche gli “italiani” quali interlocutori necessari e attivi nel processo di progressivo scioglimento della dipendenza del Sudtirolo dal resto del Paese. Un coinvolgimento se vogliamo scontato (a meno di non voler riattivare monologhi dei quali abbiamo francamente poco bisogno o, peggio, conflitti ormai fortunatamente sepolti), eppure ancora assai vago per quanto riguarda il genere di contributo che gli italiani dovrebbero prestare alla causa.
Un utente di un blog esplicitamente dedicato ad impostare la questione autodeterministica secondo questo innovativo principio inclusivo (www.brennerbasisdemokratie.eu) ha scritto: “Questo nuovo, collettivo futuro dovrebbe risultare così attraente da trascinare anche il più accanito sostenitore di Donato Seppi e fargli esclamare: finalmente possiamo lasciare l’Italia!”. Ora, aspettarsi un simile entusiasmo forse è un po’ eccessivo. Limitarsi però a vagheggiare un’effettiva partecipazione senza riuscire a chiarirne anche sommariamente le condizioni di possibilità significa coltivare speranze prive di qualsiasi riscontro nella realtà.
Corriere dell’Alto Adige, 28 aprile 2012
Nota: Non c’è bisogno di ricordare ai lettori di questo blog che – secondo i sostenitori dell’indipendenza à la BBD – il problema degli “italiani” scomparirebbe come per magia all’interno di una cornice istituzionale diversa. In questa nuova cornice, infatti, gli “italiani” sparirebbero dalla scena insieme ai “tedeschi”, ai “ladini” e in pratica a chiunque altro volesse definirsi in base a queste vetuste categorie dell’appartenenza nazionale, etnica o linguistica. Nel Sudtirolo sognato da questi ingenui avremmo solo cittadini privi di ulteriori connotazioni grazie a un semplice atto della volontà collettiva. Richiesto di fornire ulteriori spiegazioni in base alla logica che regolerebbe questo auspicato miracolo, il tenutario della piattaforma BBD ha risposto che per lui il problema è già “abgehackt”.