“Per una volta, almeno, prova a metterti nei tuoi panni.Per una volta, sii buona e comprensiva con te stessa.Per una volta, pensa alla tua di felicità. Ognuno pensa alla propria. Perché tu no?”.
I fari dell’auto, già visibili sulla striscia d’asfalto. Nonostante mancasse ancora un po’ per il buio.Chiara era rimasta in silenzio, accucciata sul sedile del passeggero, ascoltando la voce del fratello che le risuonava nella mente come fosse la sua coscienza a parlare; in realtà.Avrebbe voluto rispondere che non poteva farci niente. Che non si può cambiare un modo d’essere e che a lei – in fondo – le cose andavano bene in quel modo. Ma... tacque.Non era vero. Nessuno sceglierebbe di vivere con la tristezza a far da ombra, potendo scegliere la gioia. Nessuno sceglierebbe di accettare le lacrime sul proprio volto, potendo scegliere un sorriso.“In teoria, hai ragione”. La voce appena percettibile. Incerta. Titubante. Perché le cose non potevano essere semplicemente più semplici? Chiara sorrise fra sé di quell'involontario gioco di parole. Poi – distolto per l’ennesima volta lo sguardo dallo specchietto del parasole, inutilmente abbassato – riprese a fissarsi sulla strada. Mancavano ancora dieci minuti buoni, prima del bivio di casa.Non era sicura di riuscire a reggere dieci minuti di chiacchiere su quel suo malessere interiore. Non era sicura di riuscire a reggere la verità nelle parole che – ne era certa – il fratello avrebbe tirato fuori; prima o poi.Allora… Provò con un contro attacco, sperando di non fallire. Che cosa avrebbe potuto dire, che ancora non aveva detto? “Proverò a fare come se tante cose non fossero successe… sono sicura che mi aiuterà ad andare avanti, in un modo o nel altro”.“Anche perché, indietro non si torna. Andare avanti è l’unica scelta che abbiamo e che dobbiamo fare ogni giorno”. Lo sapeva. La razionalità di Matteo era qualcosa che sembrava non venir mai meno. La sua somigliava di più ad una lucina intermittente. Quando pensieri ed emozioni si ritrovavano al buio era un problema.No. Non ce l’avrebbe fatta. “Certo che… parli bene tu. In fondo, che ne sai… Una vita regolare. Un lavoro regolare. Una relazione regolare. Hai la più pallida idea di che cosa significhi doversi alzare ogni mattina e non sapere… non avere la più pallida idea di come andranno le cose?”.Matteo si ritrovò a sgranare gli occhi di fronte alle urla improvvise di Chiara. Senza distogliere l’attenzione dalla guida, rispose: “Certo, che lo so. Magari, riesco a gestire un po’ meglio certe situazioni, ma… so anche io che cosa significhi soffrire per amore. Il tuo problema è che pensi che per via del dolore del cuore tutto meriti di andare a catafascio. Non è così”.Chiara cercò di impedire alle lacrime di invaderle il volto, ma invano. Poco, ma sicuro, non si sarebbe mai aspettata di innamorarsi senza essere ricambiata. Faceva male. Vederlo e non poterlo sfiorare. Sentirlo nel cuore e non poterlo avere.“Non mi sembra di chiedere troppo, sperando di imbattere in un po’ di felicità e magari in qualcuno che possa condividere con me importanti progetti di vita. Non sento di avere tutto il tempo del mondo, per queste cose. È questo il problema”.Di nuovo, silenzio. Matteo impegnato a non esternare la sua rabbia. Chiara impegnata a trattenere il rumore dei singhiozzi, che dentro la stavano uccidendo. La macchina aumentò di poco la velocità, bruciando subito i minuti di viaggio che rimanevano.Quando Chiara si ritrovò di fronte al portone di casa, ringraziò di non essere più costretta a ragionare in due. “Dai Matteo, lasciamo perdere. Serve solo un po’ di tempo. In questi giorni, non farci caso. Speriamo che passi”.“Speriamo”.