Oggi, 25 settembre 2011, è un anno esatto che mia nonna, la mitica nonna Aurelia, se n’è andata in cielo, alla veneranda età di 94 anni.
È passato un anno, e nonostante il tempo trascorso mi manca ancora: mi mancano i suoi gnocchi di patate, mi mancano i venerdì sera passati insieme a lei ad ascoltare il rosario su Radio Maria, mi manca la sua instancabile voglia di lavorare a maglia, mi mancano le partite a Rubamazzo, mi manca la sua ostinazione nel vedere gatti dove in realtà di gatti non c’era neppure l’ombra
(«Marta, vieni a vedere: c’è un gatto sopra la macchina di tuo padre!»
«Nonna, stai tranquilla, quello è solo lo specchietto.»
«Sì, ma c’è anche il gatto!»)
e nel voler salutare le persone che, durante la messa domenicale ripresa in TV, salutavano la telecamera (e non c’era verso di farle capire che, in realtà, quelle persone non stavano salutando lei!).
Ma soprattutto mi mancano le sue storie, i racconti che le narrava suo nonno, racconti che appartengono non solo alla mia famiglia ma anche alla cultura della zona dove abito. Ecco perché ho deciso di fare questo piccolo tributo alla nonna Aurelia, cercando, per quanto è possibile, di trasferire su carta le storie che lei mi ha sempre raccontato a voce, in modo che non vadano dimenticate.
Non credo che la nonna abbia mai saputo che il mio sogno è quello di fare la scrittrice, né che avesse idea del mio desiderio di aprire questo blog (sempre che sapesse cos’era un blog…), perciò questo post – e quelli che seguiranno nei giorni prossimi – sarà dedicato a lei.
Prima di proporvi la prima di queste storie, che vede protagonisti Gesù e san Pietro (anche se non ha pressocché niente a che vedere con gli avvenimenti della Bibbia), permettetemi un paio di precisazioni.
Sappiate che questi racconti sono semplicemente frutto della mentalità contadina di quando sono stati inventati, ed è per questo che forse potrebbero sembrare ingenui o addirittura grotteschi agli occhi di un lettore qualunque, ma è proprio questo il bello delle storie tramandate oralmente.
Sono state inventate in dialetto, perciò è stato necessario che alcune espressioni rimanessero tali per rendere meglio.
Detto questo, buona lettura.
Gesù, san Pietro e il gatto
Gesù e san Pietro tutte le mattine si alzavano e andavano in giro per il mondo. Passeggiavano in campagna per riposarsi e per incontrare i contadini.
Una mattina, prima di partire per il solito giretto, presero con loro il gatto: Pietro se lo mise in braccio, nascondendolo sotto il mantello.
Camminarono fino a mezzogiorno. Entrarono allora nella casa di un contadino e chiesero alla massaia di donar loro un piatto di minestra. La donna, che stava cucinando, disse:
«Ve lo do volentieri, purché mi facciate un piacere: di badare ai topi, perché non vengano sulla tavola a mangiare nei piatti, mentre io vado nei campi a chiamare i contadini per il pranzo.»
Gesù e Pietro le risposero:
«Stia tranquilla, vada pure. Ci pensiamo noi a badare ai topi.»
La contadina uscì di casa e si allontana per andare nei campi.
Rimasti soli in cucina, un gran numero di topi cominciò a sgusciare fuori da un nascondiglio e si avvicinò alla tavola per mangiare il cibo pronto nei piatti. Allora Pietro, senza perdere tempo, lasciò andare il gatto, che subito prese a rincorrere i topi: li uccise tutti uno per uno e li depositò dietro alla porta della cucina.
Nel frattempo arrivarono a casa gli uomini e le donne a mangiare: tutti si meravigliarono nel vedere i piatti colmi e nessun topo in giro.
La contadina chiese:
«Ma come avete fatto a badare così bene ai topi?»
Gesù allora l’accompagnò dietro alla porta, dove c’erano tutti i topi morti e ammucchiati e il gatto che se ne stava mangiando uno in tutta tranquillità.
La donna, piena di sorpresa, esclamò:
«Guardate! Un animale che mangia i topi!»
In quel paese, infatti, nessuno conosceva il gatto.
A questo punto tutti presero posto a tavola, anche Gesù e san Pietro.
«Come si chiama questo animale?», chiese la donna con molto interesse.
«Si chiama “gatto”», rispose Gesù.
Dopo aver fatto una grande mangiata di topi, il micio saltò sul fienile, si adagiò sul fieno morbido e si mise a dormire.
Poco più tardi tutti finirono il pranzo e i contadini salirono a riposare nelle loro stanze.
Gesù e san Pietro salutarono gli uomini e la padrona di casa e fecero per partire, ma la contadina si avvicinò a Gesù e gli chiese:
«Ce lo lasciate, questo gatto? A noi sarebbe molto utile!»
Gesù replicò:
«Certamente, ve lo regaliamo.»
Gesù e Pietro s’incamminarono per lo stradello, e solo quando i due viandanti erano ormai distanti alla contadina venne in mente di chiedere loro di cosa si cibava quella bestia.
Gesù, da lontano, rispose:
«Mangia di tutto!» [In dialetto: "Al magna ad tôtt"], ma la donna capì:
«Mangia tutti!» [In dialetto: "Al magna tôtt"].
Allora i contadini, temendo che la bestia li avrebbe mangiati tutti, corsero a prendere i loro forconi per ammazzare il gatto, ma l’animale saltò sulla finestra del fienile, poi più in alto, fino a quando non raggiunse il tetto. I contadini allora pensarono che, se avessero dato fuoco al fienile, anche il gatto sarebbe bruciato, così sarebbero riusciti a liberarsi di lui. Perciò appiccarono il fuoco alla paglia.
Il gatto vide le fiamme e, spaventato, spiccò un salto e dal tetto saltò dietro la casa, per poi fuggire in mezzo ai campi. Le fiamme intanto stavano bruciando tutto il fienile.
Gesù, che sapeva tutto, ritornò sui suoi passi e disse a Pietro:
«Andiamo a sistemare le cose a quei poveri contadini!»
Giunto davanti al fienile che bruciava, Gesù stese le mani e il fuoco si spense. Poi spiegò agli uomini:
«Non abbiate paura: il gatto è un animale buono, e mangia di tutto, non tutti.»
Allora i contadini si tranquillizzarono e ringraziarono Gesù, che in questo modo poté riprendere il suo cammino insieme a Pietro.
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