Come anticipato qui, lo scrittore libanese Jabbour Douaihy è venuto in Italia a presentare il suo ultimo romanzo “San Giorgio guardava altrove”. Giacomo Longhi ha preso parte alla presentazione del libro che si è svolta il 9 ottobre al Circolo dei Lettori di Torino.
di Giacomo Longhi*
Il romanzo racconta la storia di Nizam, ragazzo nato musulmano e cresciuto in una famiglia cristiana, la cui doppia appartenenza non sarà più possibile nel Libano della guerra civile. Un libro sull’identità perduta libanese forse, ma a cui Douaihy ha preferito non applicare etichette. “Avevo l’urgenza di raccontare una storia ispirata da una persona che ho realmente conosciuto. Non ho cercato di creare un prototipo. Preferisco raccontare che dare un senso alle cose, non voglio guidare il lettore nel trovare un significato in ciò che scrivo. Non si possono pretendere dagli scrittori cose che non possono fare, come parlare delle Primavere arabe, anticipare temi o scrivere per risanare la società. Si scrive una storia per scrivere una storia, senza tentare altro”.
Del mestiere di scrivere si è parlato molto con Douaihy. Regolarmente, ogni mattina, lo scrittore si siede in uno dei numerosi caffè di Tripoli davanti al lap-top (“come dicono gli americani”) acceso su Word. “Cambio spesso i caffè dove scrivo – racconta – perché dopo un po’ che ne frequento uno comincio a farmi amici che vogliono chiacchierare di politica e mi distraggono”.
Se nei primi anni scriveva a mano, con matite accuratamente scelte, Douaihy è poi passato alla scrittura video, di cui ora, dice, non può più fare a meno. “Scrivere a matita quasi dava la sensazione di un fluire diretto delle idee alla mano. Scrivere al computer ha cambiato e influenzato la scrittura stessa. Con Word puoi fare ogni genere di diavoleria. Copi, incolli, metti note. La scrittura allora si realizza come un puzzle, come dipingere un quadro aggiungendo e togliendo elementi che solo alla fine si ricompongono. Ora non potrei più tornare alla matita”.
Le storie di Douaihy hanno quasi tutte come sfondo il nord del Libano, la zona dove più che altrove si scontrano le diverse anime del paese. Ma in San Giorgio guardava altrove il cuore del romanzo si svolge a Beirut, a cui allude implicitamente il titolo italiano.
“Sharid al-manazil (letteralmente “Errante di casa in casa”, il titolo provvisorio in italiano era Il libanese errante, ndr) era il titolo originale, segnava quasi un programma di lettura. Ma per l’edizione italiana così come per quella francese ho scelto un titolo che lasciasse indeciso il lettore. San Giorgio è il santo patrono della città di Beirut, è venerato dai cristiani e rispettato dai musulmani. Ma nel romanzo San Giorgio è distratto, ha lasciato che la tragedia si compisse”.
Docente universitario di letteratura francese, Douaihy ha scelto di scrivere i suoi romanzi in arabo. Un arabo letterario pulito da vezzi e abbellimenti classicheggianti, in cui si fanno strada il parlato e le espressioni dialettali. “Il francese sembrava portare con sé l’intrusione di un’altra cultura – ha spiegato –l’arabo invece è la lingua in cui mia madre aveva custodito la memoria famigliare collettiva”.
Scrivere in arabo col francese in testa ha permesso a Douaihy di avere un rapporto al tempo stesso intimo e mediato con la scrittura. Quasi fosse indispensabile trovare la giusta distanza per raccontare storie che, come Pioggia di giugno, erano troppo radicate nei ricordi del proprio vissuto.
Da apprezzare il lavoro della traduttrice, Elisabetta Bartuli, che, come ha detto Douaihy, “ha intrapreso la fatica di ricostruire la fantasia che in una lingua si nasconde dietro ogni parola”.
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* Studente di Lingue e istituzioni economiche e giuridiche dell’Asia e dell’Africa mediterranea presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Si occupa di editoria araba e persiana e lavora come lettore per alcune case editrici.