A vederla di primo acchito non si direbbe, ma è stata scovata la galassia a spirale più grande dell’universo, pensate solo che la distanza tra gli estremi dei suoi bracci è quasi cinque volte il diametro della Via Lattea, equivalenti a più di 522 mila anni luce e spiccioli. Il gigante cosmico si chiama NGC 6872, sito a 212 milioni di anni luce nella costellazione australe del Pavone. A conferirle il primato, dopo decenni di studi, sono i dati ottenuti combinando osservazioni di tre strumenti: il sistema ottico VLT in Cile, il telescopio spaziale a infrarossi Spitzer e il telescopio spaziale a ultravioletti Galex, che la Nasa voleva rottamare per sopraggiunti limiti d’età (progettato per una missione di qualche anno, era in funzione dal 2003). Ma con la crisi ormai non si butta niente, sonde spaziali incluse, e proprio grazie alle misure di Galex, è stato possibile incoronare NGC 6872 quale galassia più ampia mai misurata, come ha spiegato pochi giorni fa l’astrofisico Rafael Eufrasio. Ma la Galassia più grande in assoluto, in realtà è IC 1101 nella costellazione della Vergine. Appartiene all'ammasso di galassie Abell 2029; si tratta della più grande galassia conosciuta: il suo diametro, di circa 6 milioni di anni-luce (circa 76 volte la Via Lattea), occuperebbe per intero il nostro Gruppo Locale, il numero delle sue stelle è stimato sui 100 000 miliardi. La sua grande distanza però (oltre 1 miliardo di anni-luce) fa sì che la sua luminosità apparente non sia elevata: si mostra a noi come una macchia luminosa di magnitudine 14, ossia invisibile del tutto a telescopi con aperture inferiori ai 250mm. La sua morfologia sarebbe a metà strada tra il tipo ellittico (E) e quello lenticolare (S0), ossia piatto, ma senza presenza di struttura a spirale. Eppure non è l’oggetto più grande dell’universo: l’11 gennaio un team internazionale di astronomi ha riportato sul sito della Royal Astronomical Society la scoperta di un ammasso di quasar (radiosorgenti di cui ancora si conosce poco, luminosi quanto centinaia di galassie) largo quattro miliardi di anni luce. Il mostro spaziale, che si trova a nove miliardi di anni luce da noi, potrebbe contenere la nostra galassia cinquanta mila volte. È così esteso che sfida i dogmi dell’astrofisica teorica, secondo i quali non dovrebbero neppure esistere oggetti di tali dimensioni: la sua presenza è in palese contraddizione addirittura con la Relatività Generale di Einstein. Nella costellazione della Bilancia, a soli 186 anni luce, si trova invece la nonna di tutte le stelle, la più vecchia finora osservata. È una gigante rossa, catalogata come HD 140283, e si può vedere (mappe alla mano) anche con un binocolo. Gli scienziati le hanno attribuito la veneranda età di 13,2 miliardi di anni, più del doppio del Sole. Anziana quasi quanto l’universo, che di anni ne ha 14 miliardi, non è la progenitrice assoluta del cosmo: come spiega l’astrofisico Howard Bond sul numero di Nature del 10 gennaio, la studio della sua composizione chimica rivela infatti tracce di elementi forgiati da una precedente generazione stellare, probabilmente le prima che ha illuminato l’oscuro giovane universo. Fonte: Autori vari / http://scienza.panorama.it
A vederla di primo acchito non si direbbe, ma è stata scovata la galassia a spirale più grande dell’universo, pensate solo che la distanza tra gli estremi dei suoi bracci è quasi cinque volte il diametro della Via Lattea, equivalenti a più di 522 mila anni luce e spiccioli. Il gigante cosmico si chiama NGC 6872, sito a 212 milioni di anni luce nella costellazione australe del Pavone. A conferirle il primato, dopo decenni di studi, sono i dati ottenuti combinando osservazioni di tre strumenti: il sistema ottico VLT in Cile, il telescopio spaziale a infrarossi Spitzer e il telescopio spaziale a ultravioletti Galex, che la Nasa voleva rottamare per sopraggiunti limiti d’età (progettato per una missione di qualche anno, era in funzione dal 2003). Ma con la crisi ormai non si butta niente, sonde spaziali incluse, e proprio grazie alle misure di Galex, è stato possibile incoronare NGC 6872 quale galassia più ampia mai misurata, come ha spiegato pochi giorni fa l’astrofisico Rafael Eufrasio. Ma la Galassia più grande in assoluto, in realtà è IC 1101 nella costellazione della Vergine. Appartiene all'ammasso di galassie Abell 2029; si tratta della più grande galassia conosciuta: il suo diametro, di circa 6 milioni di anni-luce (circa 76 volte la Via Lattea), occuperebbe per intero il nostro Gruppo Locale, il numero delle sue stelle è stimato sui 100 000 miliardi. La sua grande distanza però (oltre 1 miliardo di anni-luce) fa sì che la sua luminosità apparente non sia elevata: si mostra a noi come una macchia luminosa di magnitudine 14, ossia invisibile del tutto a telescopi con aperture inferiori ai 250mm. La sua morfologia sarebbe a metà strada tra il tipo ellittico (E) e quello lenticolare (S0), ossia piatto, ma senza presenza di struttura a spirale. Eppure non è l’oggetto più grande dell’universo: l’11 gennaio un team internazionale di astronomi ha riportato sul sito della Royal Astronomical Society la scoperta di un ammasso di quasar (radiosorgenti di cui ancora si conosce poco, luminosi quanto centinaia di galassie) largo quattro miliardi di anni luce. Il mostro spaziale, che si trova a nove miliardi di anni luce da noi, potrebbe contenere la nostra galassia cinquanta mila volte. È così esteso che sfida i dogmi dell’astrofisica teorica, secondo i quali non dovrebbero neppure esistere oggetti di tali dimensioni: la sua presenza è in palese contraddizione addirittura con la Relatività Generale di Einstein. Nella costellazione della Bilancia, a soli 186 anni luce, si trova invece la nonna di tutte le stelle, la più vecchia finora osservata. È una gigante rossa, catalogata come HD 140283, e si può vedere (mappe alla mano) anche con un binocolo. Gli scienziati le hanno attribuito la veneranda età di 13,2 miliardi di anni, più del doppio del Sole. Anziana quasi quanto l’universo, che di anni ne ha 14 miliardi, non è la progenitrice assoluta del cosmo: come spiega l’astrofisico Howard Bond sul numero di Nature del 10 gennaio, la studio della sua composizione chimica rivela infatti tracce di elementi forgiati da una precedente generazione stellare, probabilmente le prima che ha illuminato l’oscuro giovane universo. Fonte: Autori vari / http://scienza.panorama.it