Le tensioni nel Mar Cinese e il rischio d’un grande conflitto

Creato il 28 settembre 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

L’IMPORTANZA DEL MAR CINESE La tensione nei Mari Cinesi Meridionale e Orientale è molto alta. Il prossimo conflitto su vasta scala potrebbe scatenarsi in queste acque. A sostenerlo è anche il Segretario alla Difesa americano, Leon Panetta, ex capo della CIA, in merito alle provocazioni tra Cina e Giappone1. Ma facciamo un passo indietro. Vi sono due contesti differenti, che riguardano una disputa tra più attori nel Mar Cinese Meridionale per il controllo di alcuni arcipelaghi, con finalità estrattive e strategiche, ed uno scontro diplomatico tra Cina e Giappone nel Mar Cinese Orientale per la sovranità delle isole Senkaku (reclamate anche da Taiwan). C’è di più: quell’autostrada liquida che collega porti come Hong Kong, Shanghai, Tientsin, Dalian, Shenzhen e persino la Sud Corea allo Stretto di Malacca vale più di 15 milioni di teu l’anno, vi passa il 50% del petrolio mondiale2; averne il controllo è un interesse vitale per i paesi della regione. Infatti proprio la Cina considera quel tratto di mare un brcore interest e si dà da fare per ottenerne la sovranità esclusiva. Ma anche vari membri dell’ASEAN, l’Association of South-East Asian Nations, rivendicano i propri diritti su quest’aerea strategica.

SCONTRO PECHINO-TOKYO Costituiscono un caso sui generis le isole contese tra Cina e Giappone, coi rispettivi toponimi Diaoyu e Senkaku, nel Mar Cinese Orientale. Le isole, sotto il controllo giapponese, sono state raggiunte da nazionalisti partiti da Hong Kong, che hanno sventolato bandiere cinesi prima di essere arrestati ed espulsi3. Questi fatti hanno alzato la tensione popolare e causato manifestazioni di protesta in un centinaio di megalopoli tra agosto e settembre, anniversari degli eventi che segnarono l’invasione giapponese e le atrocità commesse negli anni ’30 4. A Shenzhen il 19 agosto una manifestazione di duemila cinesi ha preso di mira auto e ristoranti nipponici, altri scontri con la polizia si sono verificati a Pechino di fronte all’ambasciata giapponese, a metà settembre si sono verificati attacchi e sabotaggi ad impianti delle imprese giapponesi in Cina 5. Nessuno dei due attori però sembra voler rinunciare, al di là degli appelli alla calma, alle isole strategiche. Il 10 settembre lo Stato nipponico ha acquistato da un privato tre delle cinque isole “per garantirne la gestione stabile e pacifica”6, il 14 sei motovedette cinesi sono entrate nelle acque giapponesi attorno alle Senkaku e solo due hanno raccolto l’invito della guardia costiera giapponese ad allontanarsi7. Lo stesso giorno il premier nipponico Noda ha dichiarato che Tokyo prenderà “tutte le misure possibili” per la sicurezza delle isole e il viceministro degli Esteri Chikao Kawai ha convocato l’ambasciatore cinese Cheng Yonghua per spiegazioni8.

I PROTAGONISTI L’Arcipelago delle Spratly è conteso tra Cina, Brunei, Taiwan, Filippine, Vietnam e Malesia: una trentina di isolotti ricchi di giacimenti petroliferi. Più a nord invece sono rivendicate da Cina e Vietnam le Isole Paracel, appetibili per gas naturale e oro nero9. Infine il piccolo atollo di Scarborough, controllato dalle Filippine e rivendicato da Cina, Indonesia e Taiwan. Nel vertice ASEAN di fine luglio a Phnom Penh si è delineata una frattura tra chi si oppone alle rivendicazioni cinesi sul Mar Cinese Meridionale (MCM) e paesi come la Cambogia, accusati di tutelare gli interessi cinesi in seno all’organizzazione. Per la prima volta in 45 anni il meeting non si è concluso con un comunicato congiunto. Gli equilibri politico-economici di questa vasta area stanno vivendo forti mutamenti. A fianco di quelle che negli anni ’90 erano definite le tigri asiatiche, stanno emergendo nuove economie come Indonesia, Malesia e Thailandia. Paradossalmente alcune imprese cinesi hanno scelto di delocalizzare in Vietnam per un costo del lavoro ulteriormente basso.

LE FILIPPINE Uno dei paesi più preoccupati dal gigante asiatico sono le Filippine. Manila, storicamente alleata degli USA, ha annunciato un programma di rinnovamento delle forze armate da 1 miliardo di dollari in 6 anni, il potenziamento di Marina e Areonautica con l’acquisto di 12 caccia F-16 e tre fregate classe Hamilton dismessi dagli USA. Il personale filippino viene inviato in Australia per corsi di formazione e ogni anno si tiene l’esercitazione congiunta Filippine-USA ‘Balikatan’, che prevede la simulazione di uno scontro militare nell’arcipelago e nelle acque territoriali circostanti che coinvolge fino a 6000 soldati nordamericani e filippini. Recentemente anche il Giappone ha proposto di partecipare all’esercitazione e ha fornito dieci navi alla Marina di Manila.

LA STRATEGIA CINESE La Cina considera la sovranità sulle isole del Mar Cinese e il loro controllo come un interesse primario per l’egemonia nell’area. Come il Giappone alle Senkaku, anche Pechino ha preso contromisure per assicurarsi il controllo delle isole contese. Negli ultimi mesi è sorto un centro abitato di nome Sansha nelle Isole Spratly, favorito dalle autorità cinesi, e gli è stato riconosciuto lo status di prefettura, col quale dovrebbe amministrare più di 200 isole, incluse le Paracel, e oltre 2 milioni di km quadrati di acque territoriali strategiche. Inoltre è stata avviata la costruzione di una base militare destinata “alla tutela della sicurezza nazionale”10. Ma per la Cina, prima delle ambizioni militari, viene lo sviluppo economico interno. L’industria militare cinese è ancora troppo dipendente dalle importazioni di tecnologie russe, vendute anche a competitors quali India e Vietnam. Inoltre l’esperienza in scenari bellici dell’esercito cinese è scarsissima. Il Generale Yao Yunzhu sostiene che le forze cinesi sarebbero indietro rispetto a quelle USA in addestramento e tecnologia di almeno trent’anni, forse cinquanta11. Il budget per la difesa cinese si aggira sui 100 miliardi di dollari l’anno, ma quello statunitense si stima tra i 600 e i 900 miliardi12. L’Esercito popolare di liberazione (EPL) è il più grande del mondo con 2,3 milioni di uomini. Pechino conta su più di 60 sottomarini convenzionali stealth e almeno 6 sottomarini nucleari d’attacco. Tuttavia la Cina è priva di portaerei, ad eccezione dell’ex Varyag, ora Shi Lang, venduta nel 1998 per 20 milioni di dollari dall’Ucraina alla Marina cinese passando per una compagnia di Hong Kong che ufficialmente doveva farne un casinò galleggiante a Macao. Classe Kuznetsov, è un battello sovietico che i cinesi hanno rimaneggiato nei cantieri di Dalian per farne una nave-scuola. Ben lungi dalla potenza marittima statunitense che vanta dodici portaerei in servizio e nuove in produzione. La Cina professa una strategia della non-aggressione win-win, ma elabora la cosiddetta teoria Anti-Access/Area Denial (A2/AD), ovvero essere in grado di contrastare la superiorità statunitense e garantire libertà di azione in Asia orientale, sui confini e negli Stati limitrofi. Una tattica che ricorra a mirati attacchi terrestri ed a missili antinave, accompagnati da una robusta flotta di sottomarini, armi cibernetiche e satellitari. In Cina le forze armate rispondono alla Commissione Militare Centrale del Partito, organo che si sovrappone, come spesso accade, in una speculare Commissione Militare Centrale dello Stato. La Commissione è oggetto di lottizzazioni politiche, il Presidente Hu Jintao ha nominato 45 nuovi generali negli ultimi 2 anni, quattro dei quali siedono nella Commissione. La corruzione nelle forze armate è dilagante, spesso gli ufficiali pagano per le promozioni e creano feudi politici13. Nell’EPL si trovano tutte le posizioni dell’arco politico, dalla ‘Nuova Sinistra’ dei fedeli a Bo Xilai, ormai epurato, ai più ‘liberali’ come il gen. Liu Yazhou, che avanza velate critiche al regime e suggerisce un indirizzo democratico14. La Cina ha la possibilità di concentrare sull’Asia tutte le proprie energie, a differenza degli USA, la cui egemonia si regge su un controllo globale. Pechino non vuole dunque sfidare direttamente la potenza militare USA ma sfruttarne i punti deboli. Un programma militare sintetizzato nella formula C4ISR dove le 4 C stanno per Comando, Controllo, Comunicazioni e Computer, e ISR per Intelligence, Sorveglianza e Ricognizione. La Cina nel 2020 avrà mezzi per impedire a portaerei e aviazione Usa di operare al di là della cosiddetta ‘prima catena di isole’, una linea che va dalle Aleutine fino al Borneo. Se Pechino vincerà la partita delle isole e del Mar Cinese aumenterà la sua influenza nell’area e nel mondo, per ora prevalentemente economica. Per farlo deve lavorare sul fronte interno, trovando stabilità politica, e sul fronte esterno, costruendosi un ruolo credibile e rapporti stabili con alleati strategici della regione.

LA STRATEGIA USA Gli Stati Uniti sono una potenza mondiale in un sistema ormai multipolare, hanno responsabilità globali e la loro egemonia si regge su un controllo capillare delle influenze politiche e geostrategiche. Nonostante i proclami dei due candidati alla Casa Bianca, gli USA sono una potenza in declino, affannata dal debito pubblico e dalla crisi, accerchiata da economie emergenti giovani e volitive, BRICS in testa, ingessata in un’alleanza, la NATO, che non è più sufficiente a garantire i variegati interessi statunitensi su scala globale perché esclude partner importanti. Le contromisure dell’amministrazione Obama sono un progressivo disimpegno nel Medio Oriente per concentrare energie e controllo sul Sud Est asiatico e sull’Estremo Oriente. Ne sono segnali tangibili la storica visita di Hillary Clinton a Vientiane, Laos, l’11 luglio 201215; la partecipazione per la prima volta di un Segretario di Stato nordamericano al Forum delle isole del Pacifico alle Isole Cook dal 28 agosto al 1 settembre16; la visita dell’iperattiva Clinton il 5 settembre a Pechino, ricevuta da Hu Jintao, a causa dell’annullamento dell’ultimo minuto del presidente in pectore Xi Jinping17. In quest’occasione la responsabile esteri nordamericana ha fatto professione di neutralità sulla questione delle isole contese. Ma nella realtà gli Stati Uniti stanno già spostando forze considerevoli in Asia. Hanno inviato 2500 marines in Australia e rinforzato la presenza alle Filippine. Una strategia di lungo periodo cinese metterebbe a repentaglio le portaerei e basi aeree Usa a Okinawa (75% delle forze Usa in Giappone), in Corea del Sud e sull’isola di Guam (9000 marines trasferiti da Okinawa)18. Gli Stati Uniti potrebbero attuare una classica strategia di contenimento, ma anche coniugarla con solide alleanze politiche e un’area di libero scambio su ampia scala. In questo il Trans-Pacific Strategic Economic Partnership Agreement costituisce un tassello importante.

LE PROSPETTIVE Da mesi si susseguono scontri diplomatici e incidenti militari per il controllo esclusivo di quelle isole, stabilire la territorialità di quelle acque è divenuta una questione di grande rilevanza. L’aspetto politico, quello militare e quello commerciale si intrecciano in una situazione complessa. Se i paesi non sapranno giungere ad un accordo e la tensione salirà ulteriormente, il rischio di un conflitto, come sostenuto anche da Panetta, sarà concreto e potrebbe propagarsi su vasta scala.


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