Le ultime ore di Febe Velleri

Creato il 28 dicembre 2015 da Philomela997 @Philomela997

Hýbris\Epistole politiche

Arrivo ora da Torino. Hanno preso Paola. Ormai è questione di ore.

Allora è così che finirà – disse Febe intrecciando le dita sulle ginocchia. Guardava Alex con un sorriso di rimpianto. Nel migliore dei mondi possibili si sarebbero forse sposati in una chiesa di campagna e avrebbero passato la vita ad amarsi come bambini. Forse.

Dobbiamo sigillare la biblioteca, digitalizzare il manoscritto e sparire – disse Alex, che era nervoso. Perché ancora non aveva accettato il fallimento. Febe, dal canto suo, era perfettamente preparata sin dal principio. Una come lei non si lasciava coinvolgere in un progetto come quello senza essere più che consapevole del probabile infelice esito di tutta l’operazione. In fondo erano riusciti a tirare avanti abbastanza a lungo, un paio d’anni, le sembrava. Avevano raccolto parecchi volumi e partorito idee. Era tempo, oh, sì, di passare il testimone. Si sentiva stanca, in fondo. Così stanca di avere paura. Almeno ora lo sapeva. Sarebbero venuti, presto. Ma non avrebbero trovato i libri, pensò concedendosi un sorriso impertinente. I libri erano salvi. Non era ancora tempo per una rivoluzione, ma quando fosse venuto i libri sarebbero stati lì, pronti ad alimentarne il fuoco. Era tutto quello che aveva potuto fare per le sue sorelle e fratelli umani, raccogliere e nascondere la saggezza del passato, che la follia di quel nuovo regime stava mettendo al bando e distruggendo. Sapeva che l’avrebbero ammazzata per questo, ma per il diavolo che l’ammazzassero pure, i bastardi.

No, forse non aveva pensato proprio così, forse aveva paura e non lo nascondeva affatto. Agli occhi di Ash, Febe si trasformò nell’eroina di un vecchio film sulla seconda guerra mondiale, aggrappata a un uomo in cerca di conforto. Scartò l’immagine. Probabilmente la verità stava nel mezzo. Una ragazza moderna, elegante, terrorizzata ma sicura delle proprie scelte.

Alex? – chiamò Febe. Lui le prese le mani. Aveva dei lineamenti dolci, il suo ragazzo. Sentì un tuffo al cuore e lacrime salate premerle sugli occhi. – Devi andare a Roma. Adesso. Vai a Roma da Lily, portale il manoscritto, potete scappare in Irlanda. Penso io alla biblioteca.

Era stato il compito di Alex sin dall’inizio, su e giù per l’Italia a trasportare le lettere nascoste in pacchi postali. Alex Vai, il corriere.

Ma io non voglio scappare con Lily, ammesso che sia possibile scappare e sinceramente non lo credo. Più probabilmente si farà saltare in aria da qualche parte e io non voglio morire con lei. Voglio morire con te.

Febe deglutì a vuoto e sentì gli occhi farsi secchi. Voglio morire con te, parole dedicate a lei, per lei, per sempre. – Ma non puoi. Il nostro primo dovere è nei confronti dei libri e del manoscritto.

– Allora andiamo insieme.

Febe si tolse il ciondolo legato a un lungo cordino. Svitò la capsula ed estrasse la pastiglia. La fissò nel palmo della mano, la toccò appena con un indice dall’unghia smaltata a effetto legno.

Smettila di discutere. Saresti già dovuto partire.

L’aveva portata al collo sin dal principio, come tutti loro. Un piccolo memento mori, la morte a portata di mano. Sarò io a deciderlo, aveva pensato migliaia di volte, non passava giorno senza che quel pensiero le facesse visita. Si era chiesta, a un certo punto, se avrebbe più vissuto un giorno intero senza pensare che sarebbe stata lei a deciderlo. Fa quasi ridere, si diceva a volte, che io debba pensare al suicidio come a una possibilità di salvezza, o è così per tutti? Strinse la pastiglia in un pugno contratto e lasciò la stanza.

Dove vai? – chiese Alex seguendola.

Non è evidente?

Non era lontano, appena un chilometro da casa sua. Ingranò la camminata isterica e ignorò Alex che si lamentava arrancandole dietro. Chissà perché non si decideva a mettersi in forma, pensò, ma ormai non aveva importanza.

Aprì il vecchio rifugio antiatomico e si calò lungo la botola. Non era davvero necessario, avrebbe potuto semplicemente chiuderla, ma voleva guardare i libri un’ultima volta. La lampadina che pendeva nuda dal soffitto si accese sfrigolando e rivelò gli scaffali. 871 volumi. Così pochi, realizzò con rammarico. Eppure, forse, sarebbero stati gli unici a sopravvivere. Un virus lanciato nel futuro, una mina vagante. Non era neanche arrivata a leggerli tutti.

Febe! – chiamò Alex. Eccoli, capì lei.

Lanciò alla stanza un’ultima occhiata, spense la luce e risalì. Si guardò attorno, ancora niente.

Sono in città.

Sentì la pastiglia stretta nel pugno mentre chiudeva il rifugio.

Aiutami – disse iniziando a trascinare sopra la botola la coperta di rami e fogliame che ritoccava ogni settimana.

Dobbiamo filare.

Non mi separerò da lui, e da tutto, con astio.

Non farmi questo – disse abbassando gli occhi. – Ti prego. Ora torneremo in città e tu andrai a Roma. Lily deve essere avvertita, e se non troveranno me la biblioteca stessa sarà in pericolo. Lo sapevamo sin dall’inizio. Lo sapevo quando ho scelto il mio incarico.

Ma non c’è nessuna garanzia che la biblioteca sia al sicuro, in ogni caso.

Febe serrò la mandibola. – Non farmi questo – disse fissandolo negli occhi. Piangeva. Anche lui.

Iniziò a camminare verso la città. Non sentiva più niente.

Allora ci si separerà così – disse lui.

Febe annuì. – Ti ho amato, sai? Anche se non te ne sei accorto.

Alex le accarezzò il viso, era un gesto così familiare.

Hai una notizia da portare, corriere – gli disse con un sorriso triste.

Forse poi si erano abbracciati, o baciati. Lui le aveva detto parole che solo gli amori impossibili possono ispirare. Lei si era sentita morire e aveva stretto forte la pastiglia. Sono io a deciderlo, si era detta un’ultima volta.

Addio, vai ora, addio. Dì a Lily che sono andata fino in fondo.

L’aveva guardato allontanarsi, si era accasciata contro lo stipite della porta, aveva aperto il pugno…

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