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Le Ultime parole famose – Operetta vitale in 4 atti ed epilogo visivo di I.M

Creato il 01 maggio 2012 da Wsf

Thelonious Monk – Epistrophy

Quello metodicamente fatto e strafatto della compagnia riesce a superare gli 80 anni e potrebbe sembrare pazzesco, se al mondo non esistessero altri personaggi del calibro di Iggy Pop. A me le cose su Iggy Pop le hanno insegnate, non mi sono inventato nulla e non è stata una ricerca auto-didattica. Ho la strana mania di chiedere quando non conosco e la strana mania di non farci caso se faccio la figura dell’ignorante.
Probabilmente l’avrei chiesto anche a loro Ehi voi, ma come diavolo fate ad andare avanti? Siete delle macchine o qualcosa di simile? E probabilmente sarebbero fioccate le risposte ironiche. Non riesco a collegare bene le immagini nella mia mente ma me li vedo lì, assieme e soli, che decidono della loro vita per non essere una delle tante verdure nel minestrone. Ripenso anche che un amico un giorno mi ha detto che se in qualche maniera io riuscissi a dare un senso logico e coerente a tutti i cumuli di immagini che mi vengono in mente allora venderei di sicuro almeno dieci milioni di copie. Di cosa non si sa. Ha anche aggiunto che mi toccherebbe dargli il 20%, e non so mica se ci ho voglia.
Mi pare una grossa fregatura. Hmmm…
Lui invece, lui era Allen, Allen Ginsberg. Ginsberg – oggi la giuria ti ha eletto ad Amleto – Allen Ginsberg . A-L-L-E-N G-I-N-S-B-E-R-G. Senti come suona bene. Non si faceva mancare nulla lui, manco il nome.
Il 20%… Hmmm…
Gli è mancato solo Keruac da un certo punto in poi, e forse un pochino pure il suo alcol e Charlie Parker. Però scriveva. Gli sarà venuto naturale, penso. Ma era un professore. Ti vengono naturali le cose se porti la tua scrivania e le tue mensole dentro il tuo cervello? Eppure Ginsberg lo leggi e ti pare proprio uno con un talento bestiale per la vita. Uno che la vita se la vive proprio fino in fondo al bicchiere. Uno che la vita la vive da direttore di circo e non da spettatore in terza fila, su panche di legno unte, per giunta. Uno che della vita, quella vera, ci scrive pure su sbeffeggiandola e con una facilità mostruosa, e riesce pure a farsi chiamare “wordsmith”, il fabbro di parole.
Hmmm…chissà se prendeva il 20% da qualcuno per questo…hmmm…
Chi altro se ne può vantare se non i più grandi? Chi?

Prokofiev – Sonata n.2 op. 14

Fortuna o sfortuna vuole che nell’allegra compagnia, solo uno si ritenesse davvero un poeta, l’amico Corso, che non perdeva mai occasione per ribadirlo. E a questa cosa Allen ci credeva, salvo poi raggiungere una fama notevolmente più elevata di quel Gregory che tanto adorava. Anche a me è capitato di andare in giro a dire la verità in maniera diretta e schietta, ma non mi ha mai adorato nessuno. Anzi. Ho schivato bei ceffoni linguistici, e non solo, per un soffio. Ma Ginsberg iniettava le sue vene e le sue narici di colate laviche, fumanti di immagini e mani che lo strappavano via a morsi dalla realtà troppo stretta, e ci confezionava su dieci, venti, cento poesie. Vere. E lo applaudivano. E lo pagavano pure. Bella storia.
Ma ci deve essere quella fregatura del 20% da qualche parte!
Si potrebbe forse dire che all’epoca corse un grosso rischio. Insomma, ti prendi i Beatles tutti interi, i Jefferson Airplane, i Clash e pure Jimi Hendrix e te li fai scivolare giù fino alle viscere. Ve lo immaginate? “Il solito, Jack, ma stasera fammelo bello tosto che questa società mi sta sul cazzo più di ieri”. E’ un po’ difficile che qualcosa dell’intera polpetta non ti “venga su”, come ben diceva mia nonna, quando poi ti risvegli. Ti tocca bertene un altro. Che dannato circolo vizioso! Ne deriva che praticamente prendi la morte e la trucchi a tua immagine e somiglianza per poi rimproverarla di disattenzione, ne deriva che un secondo dopo sei in-costante uscire da un binario per salire a cavallo di un altro. E da lì tu scrivi. Ma di quell’altro. E’ un bel casino. Perché non stiamo parlando di diventare poveri per scrivere di quando si era ricchi, ma di scrivere di realtà con la testa sul monte Parnaso. Vedersi i piedi non è mica facile. Cosa?

Tchaikovsky – Piano Concerto n. 1 in Si bemolle minore op. 23

E qui siamo alla parte dove l’opera giovanile di Ginsberg risulta una sorta di prode carica militare (Allen ci perdoni la metafora poco adatta al contenuto dell’oggetto) dove ogni proiettile raggiunge il bersaglio con precisione millimetrica, fissando una fotografia calda e dall’odore palpabile di ogni immagine e tempo espresso. Forse è il millimetrico. Forse è l’inizio del suo cognome con la parola gin. Forse è che non tutti ci facciamo come lui ma vorremmo tanto. Forse è più che altro che tutti vorremmo uscirne vivi – ma stiamo davvero vivendo in questo momento e modo? Forse incontra di più la razionalità che una persona può avere all’una o alle due del mattino, quando legge i suoi libri (perché scusate, voi a che ora leggete Ginsberg?). Le sue opere urlano, e questo lo sappiamo bene, ma la carta urla non per la paura inferta da un attimo inaspettato, bensì come una sveglia puntata con cura ad una determinata ora. Ti viene un pochino in mente il quadro di Munch, cambiano solo i colori. Non contempla la premeditazione, ben attenti, bensì un allarme quasi ovvio e spontaneo rin-toccato come fosse forma fisica e riprodotto nella sua immediatezza. E via, dentro le lenzuola del letto e tra gli intrichi di gambe e membra che riescono a vedersi fuori dal proprio corpo come fossero cherubini spioni disegnati dal Raffaello. Quel suono è disperato, ma la forma è viva e gaia. Esiste davvero quel che ha visto. Schifo, tremenda bellezza, assurda e patetica felicità, carne e petti squarciati. E non è un istante. E’ passato, presente e chi lo sa. E’ Trainspotting! Giuro che in un cumulo c’era tutto questo. Cumulo?

Beethoven – Sonata per pianoforte n. 14 in Do diesis minore

Poi capita che vai avanti con gli anni e il futuro diventa l’esatto movimento della lancetta che stai fissando nell’esatto istante in cui la stai fissando movimento esatto nuovo conosciuto sconosciuto lo sapevi ma cristo non si può tornare indietro la gente per le strade esce ride e sguaina la voce come spada per nulla mentre tu hai un orologio e non è tanto bene averlo forse per la prima volta in vita tua ma è stata vita io Ginsberg facevo parte di un movimento ma forse era quello errato oh no era quello giusto eppure così finisco nell’urna. Merda.
Ecco, forse l’avrebbe detto più o meno così – ovviamente molto meglio, per inciso – e mentre mettiamo a fuoco la vista gialla per le spremute degli occhi, cerchiamo di vederlo tra le sue mura, il grande poeta. Forse ci meravigliamo pure nell’osservare che dentro la stanza Allen, che volevamo ci portasse chissà dove come Dylan – mi avvicinai a lui gridando soccorso – si stropiccia i nervi ottici per non inciampare in una nuova realtà. Nuova? Si trascina in vestaglia, è ancora potente, è ancora tragico, è ancora comico, è ancora presente, è ancora ribelle, è ancora in-coscienza, è ancora tagliente, è ancora. Ma quelle cose lì le san fare tutti però. Di quelle cose lì e a quel modo ci possono riuscire tutti a scrivere. A lui lo rendeva diverso qualcosa che forse un po’ si è perduto con crono. Non è più un macigno, ecco tutto. Si è preso il suo nome, si è preso la sua fama, ha succhiato via alla vita tutto quello che lei si ciucciava giorno dopo giorno. Ma l’ha pure amata troppo e le resta forse attaccato alle sottane. Il verso è semplice ora, i verbi sono leggeri, quasi frivoli e non più increduli, come a volerci dire “ve l’avevo detto”, quasi a volerci dire “tanto anche voi in bagno pisciate e cagate come tutti”. Ancora una volta. Ma ormai non ci sconvolgiamo più forse, e navighiamo nel ricordo in cerca dell’attimo in cui Ginsberg era il suo Urlo e la vita si era seduta su una panchina ad ascoltarlo.
Ora c’è solo il quotidiano e le viscere malate non di animosità non è che lascino molto scampo. C’è solo il quotidiano. Resta la sciocchezza amara e viscida del mondo che lui sa di vedere dalla parte giusta. Lui lo sa. Solo che ora le costruzioni su carta han perso peso specifico e lui con loro. E’ ancora dalla parte giusta? Me lo chiedo.
Alla fine era un positivo. In un certo senso si sente che l’ha fregata, tu lo sai che l’ha fregata. Io lo so che l’ha fregata! Parlo al plurale, forse mi si sta fottendo l’ego. Ma in fondo, dai, che uno lo legga o meno tutti sanno chi è Allen Ginsberg e quello che voleva dire. Tutti?

Debussy – Arabesque n.1

Alla fine restano i piedi nudi sul pavimento freddo e un mucchietto di ossa. A meno che tu non abbia come amico Johnny Depp che ti fa sparare da un cannone quando sei cenere. Lui il suo apice l’ha avuto e ora che il suo corpo fa schifo continua a parlare di schifo. Beh, in quanto a coerenza nessuno lo può biasimare, no? No?
Il 20% in meno… hmmm… è una fregatura! Bella storia.

Le Ultime parole famose – Operetta vitale in 4 atti ed epilogo visivo di I.M

Eccolo lì, lì in basso a destra. Ma come? Non lo vedi?”

Parole, testi, foto e omissioni – I.M.
Citazioni e musiche – dei loro autori.

Taccuino all’idrogeno:http://taccuinoallidrogeno.wordpress.com/


Filed under: narrativa, scritture, Taccuino all'idrogeno Tagged: letteratura, Racconti, Taccuino all'idrogeno, WSF

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