Le urne dei deboli

Creato il 11 giugno 2013 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Quante volte ho pensato che la migliore delle politiche auspicate e desiderate dai cittadini, il migliore di governi possibili e ambiti siano quelli invisibili, che gestiscono  le sorti pubbliche da distanze remote, assicurando l’esercizio corrente, mentre i cittadini sbrigano le loro faccende, indisturbati e impegnati negli affari personali, nella soddisfazione di aspettative domestiche, contenti di aver delegato noiose incombenze amministrative ad altri.   È sembrato così quando in molti si sono appassionati alla cambiale in bianco fatta firmare a beneficio dei tecnici, festosamente caricati di responsabilità dalle quali  i partiti volevano essere esentati, appagati in ambizioni e vocazioni all’occupazioni di poteri, incaricati di consolidare e promuovere affari e  privilegi perenni.

Si potrebbe attribuire a questa aspirazione a una politica invisibile e a uno stato sbriga faccende anche l’assenteismo, quando non è di  protesta, di condanna, di collera. E così viene allegramente liquidato  in talkshow e  nei commenti di interpreti della nostra contemporaneità, che rivendicano non di testimoniare dell’opinione corrente, ma di “esserlo” a pieno titolo.

Anzi, dopo tante accuse di essere gli italiani un popolo bambino, mal cresciuto, credulone ed infantile, in criticabile ritardo rispetto ad altre potenze occidentali proprio nella sfrenata, ingenua e primitiva passione per le liturgie elettorali, dopo  le prime esternazioni di disappunto per il disamore, tutti sembrano essere rassicurati dall’allineamento sia pure tardivo con democrazie più adulte, con popoli più smaliziati, con usi più dinamici e moderni che praticano l’astinenza dalla partecipazione.

A consolarli del nostro disamore e della nostra disaffezione, non è solo la penalizzazione elettorale del movimento che dopo aver interpretato  il malessere ne viene colpito come da un boomerang, a causa di irresolutezza, improvvisazione o della rapida affiliazione a sistemi e pratiche prima criticate. E nemmeno la  dimostrazione della nuova appartenenza agli amati e rispettati contesti anglosassoni, dove ci si augura che  la democrazia si declini con le regole sussiegose di un club esclusivo, in attesa di risolversi in una formalità virtuale sbrigativa e anodina.

No,  il fatto è che sono loro che preferiscono un popolo invisibile, da osservare distrattamente dalle loro remote geografie. Hanno imparato dai tecnici la bellezza di non dover subire la prova del consenso o il cimento del dissenso. In attesa di perfezionare forme ancora più accentratrici, autoritarie e dispotiche, preferiscono che si restringa la cerchia di chi li giudica.  Ed infatti di giorno in giorno auspicano la durata di un governo fantoccio incaricato e manovrato indipendentemente dalla nostra volontà,  consolidano un sistema elettorale che ne tutela interesse, permanenza e privilegi, rafforzano la pratica dell’oculata spartizione di incarichi in un rinnovato consociativismo. E non si accorgono che in ogni parte d’Italia c’è un popolo che loro vorrebbero invisibile che reclama invece di contare, che grida ragioni e che  si vede sempre di più, come un incendio nutrito dalla collera.