“Comunque ora vivo come se fossi già morto e vi dico che cosa vorrei che faceste. Quando sarò morto (e parlo così perché da quello che so non mi aspetto di vivere abbastanza per leggere questo libro nella sua stesura definitiva) voglio che controlliate se quello che dico ora sarà o no confermato dai fatti: vedrete che la stampa dei bianchi mi identificherà con l’ “odio” “
Nel 1965 Malcolm X è stato assassinato con una scarica di proiettili su tutto il corpo.
E’ accaduto durante un suo discorso, a Manhattan, nei giorni seguenti al suo ritorno dall’emblematico pellegrinaggio della Mecca.
Due uomini armati si sono alzati tra le fila del pubblico e hanno sparato. Il corpo ha ricevuto scariche di proiettili anche quando era ormai inerme accasciato sul pavimento.
Nato nel 1925, ha influenzato gran parte della politica e del mondo religioso islamico di quegli anni.
Tuttavia, la sua vita viene oggi occultata e di conseguenza dimenticata anche dai suoi stessi “fratelli”. Sono tantissimi i musulmani con cui ho parlato, che non hanno mai nemmeno sentito nominare Malcolm X nei circuiti della religione islamica. Perché?
La risposta è nel percorso della sua vita e nei suoi cambiamenti.
Malcolm Little è nato nel 1925 a Omaha, nello Stato di Nebraska, Stati Uniti d’America.
Dal giorno della sua nascita non sono mai mancate le occasioni per sentirsi messo da parte da una società prevalentemente bianca.
La mamma nacque da uno stupro da parte di un bianco ad una donna nera. Non fu l’unica in quegli anni. Sono stati documentati milioni di casi simili solo negli Stati Uniti.
Suo marito, padre di Malcolm, è morto assassinato da un gruppo di sostenitori della supremazia bianca, la Black Legion. Questo le provocò una rabbia fuori controllo alla madre. Venne stabilito che soffrisse di disturbi psichici che, con il tempo, furono la causa della perdita dell’affidamento di tutti i suoi figli. Malcolm e i suoi fratelli vennero così separati già in età infantile. Crebbero tutti in case diverse senza vedere la madre per molti anni, ricoverata in un ospedale psichiatrico.
Malcolm fu così affidato ad una famiglia di tutori, bianchi.
I suoi risultati a scuola erano ottimi, era il migliore della sua classe. Nella sua autobiografia Malcolm scrisse tempo dopo: “Mi dispiace dire che la materia che mi piaceva di meno era la matematica. Ci ho pensato e credo che la ragione fosse che la matematica non lascia posto alla discussione. Se si faceva un errore non c’era nient’altro da aggiungere.”
Un giorno un suo professore chiese ad ogni componente della classe che cosa volesse fare da grande. Quando arrivò il suo turno, Malcolm rispose di voler fare l’avvocato e il suo insegnante gli disse, con termini sudici di spudorata compassione, di scegliere un obiettivo più realistico per un negro.
“La cosa sorprendente era che non avevo mai pensato a ciò in quella prospettiva, ma mi resi conto che malgrado tutte le mie limitazioni, io ero più intelligente di quasi tutti quei ragazzi bianchi. Tuttavia ai loro occhi non ero ancora abbastanza intelligente per poter diventare quello che io volevo essere. Fu allora che cominciai a cambiare, dentro di me”.
Abbandonò gli studi e si lasciò trascinare dall’onda nichilista tipica del nero ghettizzato, riempiendo le sue giornate di qualunque cosa potesse tenere alto il livello di adrenalina. Passava le sue serate nel locale di riferimento, lo stesso di tutti gli altri niggers della città, il Roseland.
Si trovò costretto a trasferirsi a Boston per tenersi lontano dalla polizia che lo stava cercando. Era conosciuto come Il Rosso.
Cambiò presto città e si trasferì ad Harlem, New York, città che consacrò l’attitudine di Malcolm alla trasgressione. Questa volta, però, perse il controllo. Abuso di droghe, coinvolgimenti nel gioco d’azzardo, prostituzione, estorsione e rapina.
All’età di vent’anni venne imprigionato e condannato per violazione di domicilio, possesso illegale di armi da fuoco e furto.
Del carcere, anni dopo scriverà:
“Tutti coloro che dicono di provare interesse per gli altri esseri umani, dovrebbero meditare a lungo prima di dare il loro voto affinché altri uomini siano rinchiusi dietro le sbarre, perché dietro di esse nessuno si ravvede. Nessun uomo potrà mai dimenticare e potrà mai cancellare dalla propria mente il ricordo delle sbarre”.
In prigione Malcolm trascorrerà sei anni effettivi, a fronte dei dieci di condanna.
In carcere aveva cominciato a dedicarsi alla lettura e allo studio. Trascrisse un intero dizionario, parola per parola, per poter essere in grado di scrivere e di comprendere. Migliorò la sua calligrafia e lesse centinaia di libri.
Si sentiva in debito con la vita e decise di cambiare.
Questo accadde quando venne in contatto con Elijah Muhammad (numero uno della Nation Of Islam, NOI), con cui avviò una fitta corrispondenza. La cordialità e la generosità così estreme di Elijah Muhammad, spinsero Malcolm sempre più vicino alla Nation Of Islam.
I giorni in cui Malcolm si meritò il soprannome di Satana, per via delle sue continue imprecazioni verso Dio e verso il mondo, sembravano lontanissimi.
I cambiamenti di Satana, agli occhi degli altri detenuti, erano sempre più marcati. Grazie alla corrispondenza, Malcolm riuscì ad ottenere delle conoscenze che mai gli si erano avvicinate prima. I suoi studi lo portano a delle conclusioni storiche e dalle sue congetture nacquero delle teorie, poi confermate dalla ricerca negli anni successivi.
“Stavo attraversando la prova più dura, e anche quella più grande, a cui può essere sottoposto un essere umano: accettare quello che ha già nell’animo”.
Aveva il dono si saper parlare e fece questo a partire dalla prigione, in cui cominciò a ricercare seguaci per la NOI.
Passarono in fretta sei anni e Malcolm venne rilasciato. La prima cosa che fece fu raggiungere Elijah Muhammad, da cui si trasferì e con cui trascorse buona parte del suo tempo, scoprendone, negli anni successivi, anche i difetti e i lati oscuri.
Malcolm fuori dal carcere è un’altra persona rispetto a quella che vi era entrata. Indossa gli occhiali per via di tutte quelle ore passate a leggere al buio, abituando l’occhio a degli sforzi che stavano per causarne la cecità. Indossava abiti eleganti, non più colorati e appariscenti come anni prima. Portava la cravatta e con sè aveva sempre una valigetta. L’orologio, poi, insieme a questi altri due oggetti, costituiva quelli che Malcolm nella sua autobiografia definisce come i simboli del suo cambiamento e quelli che in assoluto adoperava di più durante la giornata.
“Avevo capito che per ottenere qualcosa, che fosse anche solo l’ascolto, bisognava avere l’aspetto di qualcuno che aveva già una posizione”
Ottenne l’assegnazione della Moschea numero 2 della NOI e successivamente quella di molte altre. Tra un discorso e l’altro, gli adepti crescevano e Malcolm portò con sé anche alcuni dei suoi fratelli di sangue con cui si era rimesso in contatto durante il carcere.
Malcolm si guardava intorno e si rese conto della realtà della società che lo circondava. Trovava in una barzelletta del tempo la miglior descrizione della realtà. La stessa barzelletta fu raccontata dal senatore Barry in una campagna presidenziale del 1964: “A un bianco, a un negro e a un ebreo è stata concessa la facoltà di esprimere un desiderio che sarebbe stato esaudito. Il bianco aveva chiesto dei titoli azionari. Il negro una grossa somma di denaro in contanti e l’ebreo dei gioielli falsi e l”indirizzo di quei ragazzi di colore””
Comincia la sua guerra a favore dei neri, fatta di dichiarazioni scottanti e a loro volta strumentalizzate dai giornali che ne travisavano i messaggi, facendo apparire Malcolm X un uomo aggressivo e pronto a tutto pur di sconfiggere la razza bianca.
Quello che Malcolm recriminava, erano le ingiustizie sociali.
“La storia non perdonerà mai i bianchi per l’uccisione di oltre 200 milioni di neri e per quello che è il più grosso genocidio nella storia dell’uomo”.
Ricevette inviti da molte Università prestigiose degli Stat Uniti e Europee. I suoi discorsi fecero il giro del mondo e la CIA cominciò a lavorare su di lui in seguito a una lettera spedita al Presidente Truman in cui si dichiarava contrario alla guerra di Corea e si definì comunista. Questa sarebbe la motivazione espressa nei rapporti della Casa Bianca. In quella lettera, si firmò come Malcolm X.
La “X” era il simbolo di chi si rifiutava di acquisire il cognome dalla famiglia di cui si era schiavi.
Fu presto descritto come violento e razzista verso la razza bianca, perché nei suoi discorsi differenziava le due razze e convinceva la sua gente di quanto siano subdoli i meccanismi di comunicazione che portano i bianchi ad avere una supremazia prima di tutto psicologica, consumistica e di subordinazione al pensiero verso la razza nera.
“Imparavo a mie spese come la stampa, se vuole, può distorcere e travisare”.
Questo aspetto del mondo lo affliggeva profondamente e con il tempo rilasciava sempre meno dichiarazioni. Sono noti i rapporti tesi con Martin Luther King, il quale si distaccava dalle posizioni “razziste” di Malcolm che, a sua volta, non era disposto a “porgere l’altra guancia”, un’espressione con chiari riferimenti alla fede cristiana di King, che Malcolm criticava.
E’ durante il viaggio a La Mecca che Malcolm matura il suo pensiero più profondo e di riconciliazione verso le razze. In questo viaggio, chiamato originariamente Hajj, Malcolm scopre la bellezza del vero Islam. Si rende conto che “nella terra in cui tutto è nato”, ci siano uomini di tutte le razze, che collaborano e si trattano come fratelli. Giunge alla conclusione che è la religione, è l’Islam a tenere insieme tutte queste persone e non il colore della loro pelle. Lo spirito di condivisione è quello che più lo commuove e tutto gli sembra surreale, quasi impossibile.
“Può darsi che queste mie parole vi facciano una profonda impressione, ma quello che ho visto e sperimentato durante questo mio pellegrinaggio mi ha costretto a rivedere molte delle mie posizioni precedenti e a scartare alcune delle mie concolusioni. Per me questo non è stato molto difficile perché, malgrado la fermezza delle mie convinzioni, ho sempre cercato di guardare i fatti e di accttare la realtà della vita così come viene sviluppandosi attraverso nuove esperienze e una nuova consapevolezza. Ho sempre cercato di tenere aperta la mente, cosa necessaria per garantire quella flessibilità che è inseparabile da qualsiasi forma di intelligente ricerca del vero”.
In questo cambiamento Malcolm X intraprese un percorso diverso, distaccato dall’osservanza della razza di appartenenza. La certezza di questo è il bagaglio dell’esperienza Hajj:
“I diritti umani sono qualcosa che avete dalla nascita. I diritti umani vi sono dati da Dio. I diritti umani sono quelli che tutte le nazioni della Terra riconoscono. In passato, è vero, ho condannato in modo generale tutti i bianchi. Non sarò mai più colpevole di questo errore; perché adesso so che alcuni bianchi sono davvero sinceri, che alcuni sono davvero capaci di essere fraterni con un nero. Il vero Islam mi ha mostrato che una condanna di tutti i bianchi è tanto sbagliata quanto la condanna di tutti i neri da parte dei bianchi. Da quando alla Mecca ho trovato la verità, ho accolto fra i miei più cari amici uomini di tutti i tipi: cristiani, ebrei, buddhisti, indù, agnostici e persino atei! Ho amici che si chiamano capitalisti, socialisti, comunisti! Alcuni moderati, conservatori, estremisti alcuni sono addirittura degli Zio Tom! Oggi i miei amici son neri, marroni, rossi , gialli e bianchi!”
Il distaccamento dall’idea della NOI e quindi dalla sua istituzione, le tensioni pubbliche con Elijah Muhammad e il suo nuovo volto, fanno di Malcolm X un un pericolo per la credibilità della congregazione. La sua figura viene demonizzata ed è un esempio da non seguire che viene direttamente dall’alto. Un gesto che gli costò caro anche nella vita privata. La moglie Betty non lo abbandonò mai e fu l’unica, insieme ad Alex Haley, scrittore dell’autobiografia, a comprendere da subito le scelte di Malcolm e ad appoggiarlo.
Furono proprio i suoi adepti, quelli che lui stesso portò all’interno della NOI a recarsi a Manhattan, per un suo discorso.
Si sedettero in mezzo alla folla, tra i giornalisti, come chi è andato per ascoltare ancora una volta le parole del grande Malcolm X.
Furono proprio loro, i giovani figga salvati da Malcolm dal degrado del pensiero del ghetto e da una vita priva di lotta per la libertà, ad alzarsi durante il suo intervento e a porgli fine.
Ogni colpo esploso la sala si svuotava e nelle foto rimaste si vede il corpo di Malcolm X disteso sul palco, avvolto da una macchia rossa del suo sangue. Rosso, come quello di un bianco.
Nonostante le richieste da parte dello staff (e di Malcolm in particolare) non è stata concessa nessuna scorta, a differenza di tutte le altre volte. Non sapeva spiegarsi la ragione di questa mancanza e Alex Hale scrive che Malcolm sapeva che quello sarebbe stato il suo ultimo discorso. Malcolm X sapeva che non sarebbe riuscito a finire il suo discorso a Manhattan, ma scelse di farlo ugualmente.
Successivamente vennero arrestati tre componenti della NOI guidata da Elijah Muhammad, che dichiarò poco tempo dopo: “Siamo tutti molti dispiaciuti per la perdita di Malcolm X, ma pensiamo che la sua anima se ne sia andata tempo prima del suo corpo. Non era più in sé e ognuno su questa terra è vittima delle conseguenze delle sue azioni”.
“Si, è vero, ho amato il mio ruolo di “demagogo”. So benissimo che spesso la società ha ucciso coloro che avevano contribuito a cambiarla e se mi sarà dato di morire dopo aver portato una luce, aver rivelato qualche importante verità che valga a distruggere il cancro razzista che divora il corpo dell’America, ebbene, tutto ciò sarà dovuto ad Allah. Miei rimarranno solo gli errori.”
Simone Ciccorelli
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