Le verità nascoste

Da Maestrarosalba
Anche a scuola ci sono verità nascoste, non volontariamente con intento di celare, ciò accade perché i fatti, le preoccupazioni, le ansie, le idee preconcette fanno in modo che gli alunni una volta arrivati a casa raccontino una faccia dell'accaduto e mai tutto. Premesso che ciò è un atteggiamento umanissimo  molte delle cose, del come vengono raccontate, di come sono riportate e ricostruite nel dopo, dipendono dalle domande degli adulti. Con questo non significa che l'adulto sia malevolo nel porre le domande, no, ma solo che c'è tutto un modo sbagliato che apprendiamo tutti quanti fin da piccoli, nel chiedere e nel domandare ai bambini, che ci porta spesso in errore.
Durante i primissimi  giorni di scuola di un bambino, della sua famiglia, dei suoi insegnanti, s'intrecciamo  informazioni, aspettative, paure, ansie, in egual misura distribuite fra le tre componenti. Sotto la lente d'ingrandimento è, giustamente, il comportamento dell'insegnante che a sua volta nel tentativo di aiutare la classe a prendere corpo, pone sotto la sua lente  il comportamento dei bambini, di rimando percepisce atteggiamenti della famiglia, paure, sicurezze, incertezze. 
E' nei primi periodi che si pongono paletti, limiti, regole. Una classe, per come è articolata la nostra scuola pubblica oggi, per il numero degli alunni, per gli spazi, i giusti limiti imposti dalla sicurezza, ma anche per il vasto contenuto prescrittivo che siamo obbligati a fornire, si ritrova "imprigionata" in questa strada obbligata. Va da sé che inizialmente sono più ampi i divieti delle concessioni, più duro il tono della voce, che s'indugi meno nel gioco e nel rispetto dei tempi dei bambini. Non è sempre così ovviamente, ma ci sono momenti in cui è così, quando è necessario l'ascolto, ed è fondamentale che un bambino impari ad ascoltare le consegne di lavoro, i compagni che parlano, l'insegnante. Le regole diventano rigide, e a seconda del gruppo classe che si ha, quasi ferree. 
E capita che un bambino racconti a casa che il maestro o la maestra ha imposto il silenzio, lo ha spostato di banco, lo ha privato di un gioco che lo distraeva. Il bambino usa nel raccontare il termine "sono stato punito", senza la misura esatta del termine punizione così come viene usato a scuola, giacché si presume che a quell'età non l'abbia mai subita una punizione, ma solo perché alla lamentela a casa ha risposto alla domanda degli adulti "Ma l'insegnante ti ha punito?" La sua risposta diviene così automatica e soddisfa subito l'ansia del genitore confermandone timori e paure,. 
A casa, al rientro a scuola quando i bambini raccontano, e qui mi rivolgo ai genitori, è meglio sempre porre domande neutre: "Cosa è accaduto esattamente? "Mentre è successo tu cosa stavi facendo?" "Come sono andate le cose, raccontami dall'inizio..." e mai dire "L'insegnante ti ha punito?" "Cosa ti ha fatto l'insegnante?" che contengono già una risposta implicita. Ovviamente lo stesso tipo di domanda è  efficace anche nel caso in cui l'insegnante ecceda nei modi e nei toni.  Perché è sempre bene farsi raccontare i fatti e non fornire risposte pronte di rapido utilizzo, che diventano mere interpretazioni e non verità assolute.
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