Vi sono almeno due assunti controversi presenti nella recente legge approvata dal Congresso degli Stati Uniti (H.R. 3783) per contrastare le attività della Repubblica Islamica d’Iran in America Latina. La prima riguarda il coinvolgimento di alcuni membri dei corpi dei Guardiani della Rivoluzione Islamica nella pianificazione ed esecuzione dell’attentato nel 1994 contro la sede della comunità ebraica a Buenos Aires in Argentina (vedi findings n° 6 della legge). La seconda, sulle attività illecite di tali gruppi nella zona conosciuta come la tripla frontera (vedi successivo findings n° 7 e le considerazioni sulla “Tri-Border Area of Argentina, Brasil and Paraguay”).
Tali rappresentazioni sono controverse per due motivi: il primo perché le indagini giudiziarie che seguirono l’attentato terroristico contro l’AMIA, acronimo che identifica l’Associazione Mutuale Israelitica Argentina di Buenos Aires, si sono contraddistinte per le gravissime irregolarità. A distanza di quasi vent’anni, la strage resta purtroppo impunita. Il secondo perché la triple frontera, una zona tradizionalmente legata al contrabbando di merci, non presenta legami con cellule terroristiche o gruppi di estremisti islamici. Vediamo nel dettaglio entrambi i punti.
L’attentato terroristico all’AMIA
Nel 1994 un’autobomba con un suicida a bordo fece esplodere la sede dell’AMIA, dove persero la vita ottantacinque persone e trecento rimasero ferite. L’inchiesta giudiziaria, dopo aver seguito vari filoni che hanno coinvolto poliziotti corrotti, bande armate operanti nei sobborghi di Buenos Aires ed una successione di teorie circa le promesse non mantenute dall’ex presidente argentino Carlos Menem ad alcuni gruppi sirio-libanesi durante il suo mandato, è rimasta per lungo tempo senza imputati.
Nell’anno 2003, la Secretaria de Inteligencia, insieme al FBI ed al Mossad, hanno identificato l’attentatore suicida: un tale Ibrahim Hussein Berro che sarebbe entrato illegalmente nel paese attraverso la triple frontera, il punto tripartito della frontiera fra l’Argentina, il Brasile ed il Paraguay. L’identificazione di Hussein Berro è stata sostanzialmente indiziaria, ossia sulla base di alcune fotografie, e la successiva incriminazione non fu mai supportata da alcuna prova scientifica come ad esempio il test del DNA.
Le dichiarazioni dell’allora presidente argentino Nestor Kirchner pronunciate il 18 luglio 2003 in occasione del nono anniversario dell’attentato furono lapidarie: l’inchiesta giudiziaria fu una “vergogna nazionale” e non risparmiò accuse a politici di spicco per aver “fatto parte di una mafia che uccise i nostri cari”; inoltre incolpò i servizi segreti e la magistratura argentina per aver ostacolato le indagini. Alcuni anni dopo, il 25 ottobre 2006, i pubblici ministeri Alberto Nisman e Marcelo Martinez Burgos formalmente accusarono il governo iraniano di aver pianificato la strage e Hezbollah di averla materialmente eseguita. L’anno successivo, il 28 settembre 2007, durante il suo discorso alla sessantaduesima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, l’allora presidente argentino Nestor Kirchner esortava la Repubblica Islamica d’Iran ad “accettare e rispettare la decisione della giustizia e collaborare efficacemente. Stiamo chiedendo che l’Iran adempia. Niente di più, niente di meno. Fino ad oggi, purtroppo,la Repubblica Islamica d’Iran non ha prestato la totale collaborazione sollecitata dalla giustizia argentina”.
A quasi diciannove anni dell’attentato all’AMIA il governo argentino ed il governo iraniano si accusano a vicenda, non ci sono colpevoli in carcere e non ci sarà, almeno negli anni a venire, alcuna sentenza di condanna che possa far chiarezza sulle responsabilità dei mandanti, degli esecutori materiali, dei favoreggiatori, né di coloro che hanno insabbiato l’inchiesta. Questa situazione giova certamente agli Stati Uniti perché serve a supportare il piano di azione contenuto nella recente legge approvata dal Congresso volto a contrastare l’influenza iraniana nell’America Latina. In secondo luogo serve altresì come monito alle nazioni potenzialmente interessate a contrastare gli interessi nordamericani in questa zona calda del pianeta.
Secondo punto: la triple frontera
In questo paradiso fluviale, dove il fiume Paraná confluisce con il fiume Iguazú, risiedono circa 731.000 persone in tre città diverse. La più piccola, Porto Iguazú nella parte argentina, è una riserva naturale immersa nel verde con una popolazione di circa 80 mila abitanti che vive dei proventi del turismo. Foz do Iguaçu in Brasile, con 319 mila abitanti, è sostanzialmente una città agroindustriale che sfrutta il suolo fertile sottratto alla foresta pluviale. Infine, Ciudad del Este in Paraguay conta 330 mila abitanti ed oltre ad essere la città più popolosa della triple frontera, è una metropoli che genera ingenti introiti, principalmente dal contrabbando e dalla contraffazione, approfittando dell’intenso flusso di turisti che visitano ogni anno le cascate dell’Iguazú che si trovano nelle vicinanze. Ciudad del Este era stata definita dal Dipartimento della Difesa nordamericano come un centro economico-finanziario di sostegno e fomento alle attività illecite e come rifugio di criminalità organizzata, gruppi guerriglieri, simpatizzanti di Hezbollah e cellule di Al Qaeda.
In realtà la regione ha da almeno due decenni suscitato l’interesse delle potenze straniere, delle organizzazioni non governative, dei centri di ricerca, delle università e della stampa internazionale per le sue ingenti risorse idriche. Naturalmente una azione destabilizzante in quella zona comprometterebbe non solo la sicurezza del Brasile e dell’Argentina, ma di tutto il Sudamerica. Perciò associare la triple frontera al terrorismo internazionale sarebbe un modo come un altro per poter esercitare un controllo sulle risorse naturali, oltreché un valido pretesto per ledere i rapporti che i paesi della regione intrattengono con l’Iran.