Raddoppiare il numero di transistor ogni due anni è sempre più difficile, complice la necessità di macchinari maggiormente precisi e conoscenze più profonde: la legge di Moore è stata abbandonata?
Daniele Vergara viene alla vita con un chip Intel 486 impiantato nel cervello, a mo' di coprocessore. E' più che entusiasta di tutto ciò che riguarda la tecnologia intera e i videogames, con un occhio di riguardo verso l'hardware PC e l'overclocking. Guarda abitualmente serie TV e d'inverno ama snowboardare, macinando km e km di piste. Lo trovate su Facebook, Twitter e Google+.
Gordon Moore è un informatico statunitense, nato a San Francisco nel 1929. E' famoso per essere stato il co-fondatore del colosso Intel e, soprattutto, per le sue osservazioni riguardo l'evoluzione del numero di transistor integrati sui circuiti elettronici. L'informatico ha notato che " il numero dei transistor su un circuito raddoppia ogni dodici mesi", dando vita alla cosiddetta legge di Moore. Moore non si riferiva tanto all'opera di miniaturizzazione, ma bensì al costo degli stessi componenti che, sulla base della sua idea, si sarebbe dimezzato ogni anno. La legge che Moore ha sancito non si fonda su particolari principi o su determinati esperimenti, ma è esclusivamente il risultato di ciò che è accaduto nell'evoluzione dei dispositivi a semiconduttore. Lo scienziato ha indagato sul progresso dell'industria per svariati anni, portando alla luce il concetto che poi è diventato legge. Con il passare del tempo, il suo assioma è divenuto una sorta di standard de facto per l'industria hi-tech, che ha delineato i criteri da seguire affinché il progresso sia definito ammissibile. Le aziende hanno colto la legge come un obiettivo da raggiungere, per innovare ed offrire prestazioni adeguate di anno in anno. Costruire però un chip a transistor basato su un wafer di silicio è complesso, e chi se ne occupa fa utilizzo di macchine, software e materiali che provengono da differenti fonti. Per questo e tanti altri motivi seguire la legge di Moore è sempre più difficile; al fine di preservarla, quindi, numerose aziende e fonderie - del calibro di AMD, IBM, TSMC e GlobalFoundries - hanno stabilito delle roadmap a cui tenere fede di anno in anno, che fissavano gli obbiettivi da conquistare di generazione in generazione.
I primi problemi della legge
I primi problemi con la legge di Moore sono arrivati piuttosto presto, nel 1975. Moore stesso, concentrandosi su una quantità di informazioni decisamente più vasta, decise di cambiare il suo assioma, aumentando il tempo che intercorreva tra un raddoppio e l'altro: la nuova legge, infatti, stabiliva i mesi a 24 e non più a 12. Sino al secolo attuale, l'industria IT è riuscita a star dietro alla precedente modifica senza troppi intoppi. E' bastato solamente dimezzare la lunghezza dei transistor ogni paio d'anni per raggiungere gli obiettivi delle proprie roadmap. L'Intel Pentium è stato un grande upgrade dal 486: gli ambienti di lavoro ottennero un aumento di prestazioni sostanziale, derivante dalla potenza extra dei nuovi processori, e lo stesso successe col Pentium II.
E' stato agli inizi del 2000 che la legge ha iniziato a barcollare leggermente, con le velocità di clock bloccate ed il calore prodotto troppo elevato: sfruttare esclusivamente uno scaling geometrico non bastava più. Rendere i transistor più piccoli era sempre più difficile, richiedendo macchinari sempre più avanzati e precisi, e know-how sempre più profondi e rivoluzionari. Si è quindi dovuto ricorrere a tecnologie differenti piuttosto che procedere a ridurre brutalmente la dimensione dei componenti elettronici. Nel passaggio a 90 nanometri sono stati introdotti, ad esempio, nuovi transistor con un diverso strato di silicio: gli atomi del materiale erano meno coesi, anziché più densi, il che favoriva un passaggio di corrente più veloce da un lato all'altro del componente. Con i 45 nanometri, invece, si è utilizzato un materiale con una costante dielettrica molto elevata che ha favorito l'opera di miniaturizzazione, mentre con i recenti 22 nanometri è bastato concepire i cosiddetti tri-gate transistor, ossia dispositivi a semiconduttore con struttura 3D anziché planare.
Extreme Ultraviolet Photolithography
L'innovazione nella struttura e l'utilizzo di nuovi materiali sono però tecniche che di per sé non possono essere una garanzia. Imprimere le piste dei circuiti ed i componenti su un wafer di silicio è compito del cosiddetto processo di fotolitografia, che sfrutta dei raggi laser con una certa lunghezza d'onda, i cui fasci vengono sparati direttamente sul silicio. Il problema è che, al fine di miniaturizzare, la luce ultravioletta emanata dai suddetti laser deve necessariamente avere una lunghezza d'onda più piccola. A questo scopo, i laser da progettare sono sempre più articolati e soprattutto costosi, fatto che costituisce l'ostacolo più elevato all'aumento dei transistor. Ad esempio, per il passaggio ai 10 nanometri si parla già della Extreme Ultraviolet (EUV), un processo che impiega una luce con una lunghezza d'onda fissata a 13,5 nm. E' attualmente poco chiaro se l'EUV potrà essere impiegata per processi produttivi ancora più piccoli, in quanto il suo sviluppo non è stato completato: gli ingegneri della fonderie coinvolte, prima di tutte TSMC, hanno incontrato non poche difficoltà nella progettazione di strumenti adeguati. Miniaturizzare i transistor significa anche produrre un chip più denso, il che rende più difficoltoso lo smaltimento del calore prodotto dal singolo componente.
Ad ogni modo, dell'Extreme Ultraviolet si è discusso tanto, ma c'è un significativo fattore di costo che deve obbligatoriamente essere considerato, e c'è bisogno che le fabbriche si attrezzino. Congiuntamente a quella di Moore c'è la legge di Rock, che afferma che il prezzo per produrre un singolo chip di silicio raddoppia ogni quattro anni. La tecnologia potrebbe quindi già esserci, ma tenere bassi i costi di produzione è davvero arduo.
Considerati i numerosi problemi a cui i produttori stanno andando incontro ultimamente, i rinvii dei nuovi processi produttivi non sono stati troppo rari: l'esempio più lampante è quello di Intel, che aveva inizialmente previsto l'architettura Cannonlake a 10 nm quest'anno, mentre nel 2016 vedremo esclusivamente uno Skylake-Refresh, chiamato Kaby Lake, che farà uso nuovamente dei 14 nanometri. Cannonlake è adesso pianificato per il 2017.
L'IoT e la morte del silicio
Intel è il limpido testimone che seguire la legge di Moore è diventata una pratica complicata. L'ITRS - International Technology Roadmap for Semiconductors - ha stabilito che la legge stessa è morta e che le roadmap non si rifaranno più a quest'ultima. Piuttosto che focalizzarsi sul raddoppio dei transistor, l'industria IT abbraccerà l'approccio definito come " More Than Moore": la crescita sarà indirizzata verso un'espansione dei principi della tecnologia, che piano piano permeeranno tutti (o quasi) gli aspetti della nostra vita. Il precursore è l'Internet of Things, che prenderà piede nei prossimi anni, grazie a tutta una serie di sensori e chip a bassa potenza che verranno piazzati in tantissimi dispositivi, che potranno così dialogare e scambiarsi informazioni. Questo implica che i processori non saranno solo ALU, transistor e cache, ma che integreranno sempre più altri componenti come GPS, modem ed accelerometri/giroscopi. Le roadmap andranno quindi in un'altra direzione e le fabbriche si adatteranno di conseguenza per produrre i componenti di cui si ha bisogno per portare avanti e sviluppare il processo di estensione. Materiali differenti e tecniche insolite verranno fuori per l' Internet of Things e l'aumento dei transistor non sarà più al centro dei pensieri dei produttori.
Altri studi stanno invece cercando di portare a un progressivo abbandono del silicio, che oramai sembra abbia raggiunto un certo limite. Intel ha parlato della questione, affermando che il cambio potrebbe avvenire già sul passaggio ai 7 nanometri. L'arseniuro di gallio ed indio, e l'antimoniuro di indio sono i semiconduttori più accreditati: entrambi dovrebbero offrire frequenze più elevate con consumi più bassi rispetto al silicio. Si sta anche esaminando il carbonio che, sia nella forma nanotubica che col grafene, continua a dare prova di poter rappresentare una solida alternativa ai primi due.
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