L’Istituto Nazionale di Urbanistica ribadisce la forte preoccupazione per l’eventuale approvazione della cosiddetta Legge stadi, in discussione in Commissione Istruzione in Senato, e rinnova le perplessità sul metodo di discussione e sui contenuti del provvedimento. È sbagliato il metodo e sono sbaglaiti i contenuti per la definizione del quadro legislativo di riferimento per strutture centrali per l’economia e il paesaggio delle città italiane.
Il metodo: è sbagliata la scelta di assegnare il provvedimento al voto esclusivo della commissione, come già alla Camera, senza il passaggio in Aula. Una materia così delicata come quella che concerne il quadro legislativo di riferimento per la realizzazione di strutture tanto centrali per l’economia e il paesaggio delle nostre città, quali appunto gli stadi, merita di essere discussa dall’intera Aula. A questo proposito l’Inu auspica che vengano accolte le richieste che cominciano a sollevarsi per un immediato “spostamento” della discussione dalla Commissione all’Aula.
Ma sono soprattutto i contenuti a preoccupare. Il provvedimento, così come è stato approvato dalla Camera, appare in più passaggi eccessivamente disinvolto nel venire incontro alle esigenze delle società sportive e dei costruttori, tanto da segnare, se approvato in via definitiva, un netto passo indietro sui versanti della cultura della pianificazione, della tutela del paesaggio e del contenimento del consumo di suolo.
Passo indietro che appare persino paradossale a pochi giorni dalla presentazione, da parte del governo, di un innovativo anche se perfettibile provvedimento di tutela del suolo agricolo (leggi anche Ddl difesa del suolo, dall’Inu il bastone e la carota per il Governo). Per rimanere agli aspetti più macroscopici, la legge stadi consente la costruzione intorno agli stadi di zone residenziali e di servizi terziari (uffici e alberghi) velocizzando al massimo le necessarie varianti, il tutto dietro il paravento di strutture sportive dotate anche di poche migliaia di posti a sedere; inoltre non incentiva la demolizione e la ricostruzione degli stadi già esistenti e prevede appena dieci anni di vincolo di destinazione d’uso ad attività sportive per le nuove strutture.
Per questi motivi l’Inu sollecita, in materia, una nuova e più approfondita riflessione.