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Legge sulle unioni civili: l'esempio della "Prima Repubblica"

Creato il 06 gennaio 2016 da Gaetano61

Legge sulle unioni civili: l'esempio della
Non ho particolari nostalgie per la cosiddetta "Prima Repubblica", ma, a volte, può insegnarci ancora qualcosa. 


Quando vennero approvate le leggi che introdussero in Italia il divorzio e l'aborto, nel 1970 e nel 1978, la Democrazia Cristiana era ancora saldamente il partito di maggioranza relativa, esprimendo anche i presidenti del Consiglio (per la cronaca, rispettivamente Emilio Colombo e Giulio Andreotti). La Dc votò contro quelle leggi, che passarono grazie al voto dei partiti della sinistra e laico-moderati, alcuni dei quali presenti nella compagine di governo: il governo Colombo, in carica nel dicembre del 1970, era formato da DC-PSI-PSDI-PRI, il governo Andreotti, in carica nel maggio del 1978, era un monocolore DC appoggiato da PCI, PSI, PSDI, PRI. Le leggi vennero sottoposte a referendum nel 1974 e nel 1981: in entrambi i casi i cittadini respinsero la richiesta di abrogazione. L'approvazione delle due leggi non ebbe ripercussioni sui governi, che non caddero a causa del voto difforme dei partiti della stessa maggioranza.
Nel 2016, sul tema delle unioni civili, un partito della maggioranza, l'Ncd di Alfano, non è d'accordo sulla possibilità che un partner possa adottare il figlio biologico del compagno/a – la cosiddetta stepchild adoption. Sul disegno di legge così com'è stato redatto dalla relatrice, la senatrice democratica Cirinnà, potrebbero convergere due partiti ora all'opposizione, Movimento 5 Stelle e Sel, garantendo così la sua approvazione. Se la legge passasse così, il ministro Alfano ha già annunciato il ricorso al referendum abrogativo.
Penso che, al netto delle polemiche di questi giorni, molte delle quali di sapore elettorale, ci siano tutte le condizioni affinché non si torni indietro rispetto al disegno di legge Cirinnà (un testo che realizza già un buon compromesso), facendo proprio tesoro dei precedenti metodologici della "Prima Repubblica". E anche a chi invoca il voto di coscienza, che verrà sicuramente riconosciuto dai gruppi parlamentari, viene da dire che l'estensione del riconoscimento di diritti civili è un fatto di civiltà, che dovrebbe andare oltre le personali e contrarie convinzioni, in nome del principio generale di laicità, vale a dire del non voler imporre le proprie opinioni - basate su convinzioni religiose - anche a quei cittadini credenti in altre confessioni o non credenti.

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