Leggendo Guy Gavriel Kay

Creato il 13 dicembre 2013 da Martinaframmartino

“A volte le parole mi mancano proprio quando ne avrei più bisogno”. Avrei potuto scriverla io questa frase, anzi, probablimente mi è davvero capitata di scriverla da qualche parte, perché conosco molto bene quella sensazione. Lasciamo pedrere la mancanza di parole in una conversazione, lì è anche una questione di tempo nella risposta, qualcosa che mi ha sempre creato difficoltà. Ma mi reputo abbastanza brava quando si tratta di scrivere qualcosa, sempre che questo qualcosa non sia narrativa. Non che scriva chissà che, ma credo di essere chiara e interessante, almeno per coloro che sono affascinati dalle stesse cose che affascinano me. Scommetto che quando attacco a parlare qui di un certo pattinatore canadese che amo la maggior parte dei miei lettori smette di essere affascinata. Ancora? Un’altra volta Kurt Browning? Ma non se ne può più! Ditelo pure che lo pensate, tanto so benissimo che è così. Va bene, allora rimaniamo in Canada ma ci spostiamo un pochino, tanto è da lì che sono partita. Guy Gavriel Kay. Questo nome vi piace di più?

Ovviamente seguo con un certo interesse quello che fa Kay. Purtroppo mi sono distratta al momento sbagliato e ho mancato il suo viaggio a Milano, altrimenti sarebbe partita la caccia all’autografo. Però appena ho tempo leggo i suoi articoli o i link agli articoli o ai blog che posta. E una blogger mi ha tolto le parole di bocca, anzi, visto che sitamo scrivendo, me le ha tolte dalle dita. Il suo articolo si trova qui: http://khanh.booklikes.com/post/723721/one-of-my-all-time-favorites?fb_action_ids=10202693136279340&fb_action_types=og.likes&fb_source=aggregation&fb_aggregation_id=288381481237582. Il libro di cui parla, Under Heaven, è stato tradotto con il (brutto) titolo La rinascita di Shen Tai, ed è un libro che sto rileggendo proprio in questo periodo.

“A volte le parole mi mancano proprio quando ne avrei più bisogno”, ha scritto la blogger. “A volte è perché un libro è così brutto che non so da dove partire per iniziare a elencare tutti i problemi”. Vero, a volte si viene sopraffatti da tutto ciò che si vorrebbe criticare, e non è un discorso di cattiveria. Io vorrei sempre poter elogiare i libri che leggo, perché se lo faccio significa che mi sono piaciuti. Mi hanno fatta divertire, che è il motivo per cui leggo. Se critico mi sono annoiata o peggio, a volte mi è pure capitato di sentirmi presa in giro dallo scrittore. In questo caso non rimane che la critica, anche se a volte è davvero difficile. “In questo caso, nel caso del mio libro preferito, le parole giuste mi sfuggono semplicemente perché non c’è nulla che io possa dire. Perché le mie semplici parole sono prive di significato quando si arriva a dover descrivere la pura, incontaminata brillantezza di questo libro. Sono semplicemente umiliata”.

Sembra troppo? Eppure è così. “È come quando si ringrazia una delle più grandi persone che vivono sulla Terra, qualcuno che si ammira davvero, come il Dalai Lama. C’è qualcosa che si può dire senza che sembri trito? “Ammiro tutto ciò che hai fatto”. Davvero? C’è qualcosa che si può dire senza che sembri un enorme eufemismo, che non provochi smorfie di disappunto negli ascoltatori quando sentono queste stupide parole in presenza di una tale grandezza? È crudele come spesso le parole ci sfuggano nei momenti più cruciali”. Davvero, io ho l’abitudine di mascherare i miei pensieri dietro le parole di altri, ma questa blogger sembra che stia parlando di me. Mesi fa avevo postato parte della traduzione di un articolo di Kay sulle riletture: http://librolandia.wordpress.com/2013/07/02/guy-gavriel-kay-e-le-riletture/. Lo segnalo di nuovo per via di una frase che avevo tradotto nell’occasione: “Ogni volta che rileggo Shakespeare, lui sembra sapere tutto quel che è accaduto nella mia vita dall’ultima volta che l’ho letto”. Se Shakespeare conosce alla perfezione la vita di Kay, allora questa blogger conosce perfettamente i miei sentimenti. E per di più sullo stesso libro, anche se su di lei io ho un vantaggio: ho letto tutti i romanzi di Kay, tranne (per ora) River of Stars, perciò so che lui è sempre uno scrittore straordinario, uno per il quale non esistono abbastanza parole.

“Ci sono parole, e poi ci sono parole” ha aggiunto. “C’è una certa differenza nel mettere insieme le parole per creare una frase coerente”, che è quello che faccio io, “rispetto all’intrecciarle insieme in una composizione artistica senza paragoni. Una frase ben intrecciata parla al cuore, e canta allo spirito. Le parole possono suscitare sentimenti di rabbiosa indignazione, o donare sollievo a una mente inquieta. Possono essere messe insieme in una frase irrilevante, nel contesto del libro, ma essere incredibilmente belle nella loro semplicità. Possono portare le lacrime agli occhi mentre leggete, o rileggete, o rileggete ancora, una frase che è scritta con una semplice intensità”.

E poi passa ad analizzare il romanzo, spiegando che non è uno di quei libri che cattura il lettore dalla prima all’ultima pagina grazie al suo amalgama di azione, intrigo e suspance, ma che è fatto di parole scritte per essere assaporate nella loro pienezza. La scrittura non è pretenziosa ma semplice. Eppure è incredibilmente potente, con il suo modo di accostare vocaboli comuni che portano il lettore alla comprensione. Non è un caso che io qui abbia deciso di usare il corsivo, chi viene catturato da Kay sa perfettamente cosa io e la blogger vogliamo dire. Per tutti gli altri non esistono parole che possano spiegare davvero, o almeno io non ne conosco. Guy Gavriel Kay è un maestro della prosa.

Mesi fa mi ero imbattuta in un altro blog che aveva parlato direttamente al mio cuore esprimendo i miei sentimenti, anche se in questo caso lo ha fatto parlando di River of Stars: http://storytreasury.wordpress.com/2013/07/24/ruined-for-most-prose/. Il giorno dopo aver finito l’ultimo romanzo di Kay la blogger ha provato a leggere un’altra autrice  che in passato aveva sempre apprezzato. E il suo nuovo libro non era male, solo che non è riuscita ad andare avanti. “Sono riuscita a leggere solo poche pagine”, ha scritto. “La prosa del nuovo romanzo non poteva competere con quella di Guy Gavriel Kay. Ho scoperto di non poterla leggere perché non potevo focalizzarmi sulla storia al di là delle parole”. Era tutto qui il suo problema. “La prosa [di Kay] è poetica, vivida e chiara” (accidenti, la parola usata dalla blogger, clear, ha accezioni che non riesco a rendere usando un termine solo e che rendono meglio l’idea rispetto a una traduzione elementare di questo tipo). “È un piacere da leggere e funziona su molti, molti livelli”.

Si tratta di una prosa insolita, che fatico a definire. Provate a estrapolare una frase dal contesto. È semplice, chiara e perfettamente comprensibile. Ciascuno di noi in fondo potrebbe scrivere frasi così. Estrapolate.

Ma un romanzo non è fatto da frasi estrapolate, e per ogni parola c’è un contesto. Ci sono scene che leggiamo, azioni dei protagonisti, sentimenti in gioco, un modo di guardare la storia, da dentro, fin nei minimi particolari, e poi improvvisamente da fuori e da lontano, come a volo d’uccello, e poi ancora da una diversa prospettiva storica o da un diverso punto di vista, fino a ritornare al particolare, che non possono essere separati l’uno dall’altro. L’effetto è vertiginoso. Kay costruisce le sue immagini piano piano, solo con semplici parole. E poi arriva quella frase, che da sola sarebbe una semplice frase. Ma arriva dopo tutto quello che c’è prima, e improvvisamente viene voglia di piangere, o di ridere, o ci si sente crescere dentro un senso di pienezza inpossibile da definire e ci si deve fermare in attesa di poter ricominciare a respirare di nuovo normalmente.

È per momenti come questi che leggo.

Ci sono tante altre cose nella lettura, c’è il divertimento, la curiosità, lo stare con il fiato sospeso per il destino dei protagonisti, il desiderio di poter guardare le cose in modo diverso, o di scoprire qualcosa di nuovo. Ma questo senso di pienezza che viene da dentro e che è impossibile da descrivere davvero a parole è il motivo per cui leggo. Per questo il mio scrittore preferito è Kay, e non George R.R. Martin, o Robert Jordan,o Brandon Sanderson, o, vendendo in Italia, Silvana De Mari e Filippo Tuena. Li amo tutti, ma la forza della prosa di Kay è un’altra cosa.

La blogger prosegue dicendo di non aver capito quanto aveva amato la prosa di Kay fino a quando non aveva provato a leggere qualcos’altro. “È difficile passare dalla poesia alla semplicità” ha scritto. E le serve tempo per passare da Kay a un qualsiasi altro scrittore, anche se quel che fa Kay è difficile da definire perché, Per usare le sue stesse parole, “Quell’uomo, pensò Tai, usava i silenzi, gli spazi tra le parole tanto quanto le parole stesse” (pag. 228).

Un altro blogger ancora (http://anotherbookblog.com/2013/12/10/review-river-of-stars-by-guy-gavriel-kay/) ha spegato che è stato colpito da River of Stars in modo viscerale, che il libro gli ha tolto il fiato, e che lui stesso ha faticato a gestire la sua reazione emotiva, con il desiderio di piangere e urlare e ridere tutto allo stesso tempo. Una reazione che riesce a paragonare solo al momento in cui si è innamorato davvero. Davvero, per questi libri è amore, anche se io ho una terza cosa che mi provoca questi effetti. Non per niente continuo a parlarvene anche se non ve ne importa nulla. Kurt Browning.

“River of Stars è un romanzo al cui interno vi perderete” ha scritto quest’ultimo blogger. “Quando ritornerete, vi scoprirete cambiati, in qualche modo. Anche se non so spiegare esattamente come, sento che per me è successo”. Il mondo, e con lui la lettura, a volte può davvero offrire doni sorprendenti.



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