Leggere il libro giusto nel posto giusto

Creato il 16 settembre 2010 da Ilgrandemarziano

La vita è fatta di abitudini che a volte diventano riti. Servono per tenerci ancorati alla realtà, a illuderci dell'immobilità delle cose (almeno di alcune), a vaccinarci dal timore dei cambiamenti. Uno di questi riti, per me è la scelta dei libri da portarmi in viaggio, un'operazione assai tanto più delicata, quanto più il viaggio è in un luogo, come la Germania, in cui trovare libri nella mia lingua - qualora li finisca anzitempo o non mi piacciano quelli che mi sono portato - può risultare decisamente complicato. Così mi capita di trascorrere delle mezze giornate spulciando la libreria, riflettendo su cosa può essere più adatto al luogo, più confacente alle mie adesioni letterarie del momento, più leggero da trasportare e meno a rischio di "sgradimento". Del resto ci sono poche cose irritanti come portarsi dei brutti libri in vacanza, anche perché la riuscita del viaggio dipende anche dal libro che mi accompagna e, nel contempo, il ricordo della lettura del libro sarà per sempre collegato al luogo in cui l'ho letto. Insomma c'è un doppio filo che collega libro e luogo, e il destino dell'uno dipende da quello dell'altro. E ciò rende la scelta tutt'altro che marginale.
Eppure, nonostante la premessa di tutti questi preparativi, è stata quasi un caso la scelta del libro che mi sono ritrovato a leggere (e terminare) a Berlino. Erano decenni che ne sentivo parlare, prima però era introvabile, poi ne avevo recuperato una vecchia edizione in fotocopie (assai scomode da leggere e quindi lasciate lì), infine qualche anno fa mi ero imbattuto per caso in una riedizione di un editore minore che, comprata di corsa, tuttavia aveva finito per restare nel mio scaffale, in attesa come di un segnale del destino. Eppure solo alla fine della lettura, ho potuto rendermi conto (e dunque apprezzare) di quanto effettivamente la congiuntura sia stata davvero quella giusta. Mi sono addirittura sorpreso, di questo. Alla fine mi è sembrato un po' di Leggere Lolita a Teheran. Invece ho letto Noi a Berlino.
Scritto da Evgenij Zamjatin verso la fine degli anni '10 del secolo scorso, in un'Unione Sovietica che già vedeva la deleteria deriva totalitaristica e ultraconformista degli ideali della Rivoluzione Bolscevica, Noi è in assoluto il primo, e oserei dire - a lettura ultimata - più fulgido esempio di letteratura di protesta sociale, di contestazione di un sistema politico (e di vita) imposto dallo stato, di denuncia di una utopia negativa, di cui 1984 è divenuto l'esempio più celebre (e cult), ma del quale Noi è a tutti gli effetti l'ispiratore, il capostipite, l'originale. Insomma, più di un quarto di secolo prima di George Orwell, Evgenij Zamjatin aveva già detto tutto quello che c'era da dire sull'argomento, e a mio giudizio l'aveva anche detto parecchio meglio.
Perché non ho paura di esagerare se affermo che Noi è un romanzo geniale sotto tutti i punti di vista. Scritto sotto forma di un diario (e dunque raccontato in prima persona) da D-503, matematico e sovrintendente alla costruzione dell'Integrale, la prima astronave dello Stato Unico in procinto di essere lanciata nel cosmo, il libro si propone di essere un'apologia della grandezza e della perfezione dello Stato Unico e del suo Benefattore, a favore delle razze (inferiori) che abitano lo spazio e che l'Integrale incontrerà sulla sua strada come in una missione di evangelizzazione, affinché tutto il Cosmo possa conoscere la fonte della vera felicità. Scopriamo così che tutti gli aspetti della vita dei cittadini sono regolati dallo Stato Unico e ogni giornata è scandita e programmata in tutti i suoi aspetti (la Tavola delle Ore, le Ore Personali, la Norma Materna), compreso quello relazionale e sessuale, per cui non ci si innamora dell'altro, ma ci si iscrive. Insomma è la Ragione, nelle manifestazioni della logica e della matematica, a disciplinare le regole dello Stato Unico e l'eliminazione di ogni libertà è socialmente giustificata "per affrancare l'uomo dalla sua tendenza alla delinquenza". Ma naturalmente le cose non vanno come previsto da D-503, e la status quo è destinato a incrinarsi di fronte all'incontro del protagonista con l'esperienza dell'innamoramento e del ricordo (recupero) di un tempo diverso, antico, e di una Natura chiusa al di là del "Muro Verde", fino alla tragica ricomposizione finale.
Quello che però, più di ogni altra cosa, colpisce di Noi è, pur essendo romanzo ormai datato, il suo stile che lo rende una delle scritture più "moderne" che mi sia mai capitato di incontrare. La prosa che lo contraddistingue è qualcosa di completamente originale (e oserei dire irripetuto), che non ha niente a che vedere con la prosa "classica" russa e con niente che mi venga in mente. Volendo comunque cercare di attribuire una classificazione, da questo punto di vista Noi non può non richiamare l'esperienza del futurismo. Il mondo di Noi è dominato infatti dall'acciaio delle macchine, la cui potenza fa grande lo Stato Unico, e dal vetro dei palazzi, la cui trasparenza permette quasi in ogni momento di vedere che cosa fanno - quasi sempre (se si ha l'iscrizione per un rapporto sessuale si possono abbassare temporaneamente delle belle tendine) - i sudditi-numeri. Le sue frasi sono sempre brevi, essenziali, ma a volte addirittura perdono parole, e i discorsi si arrestano davanti a puntini di sospensione, come se seguissero davvero i pensieri (a volte sconnessi) di D-503.
Va ricordato che questo libro sancì l'inizio dei guai per Zamjatin, il quale fu visto sempre più come oppositore del regime sovietico. La pubblicazione di Noi fu vietata dal Glavlit, l'ente preposto alla censura, e il libro fu edito in inglese nel 1924, mentre in Russia vide la luce solo nel 1988. Anche in Italia, nonostante l'importanza storica e letteraria dell'opera, di Noi si ricordano poche e limitate edizioni: nel 1955, nel 1963, nel 1972, nel 1990 e - finalmente - nel 2007 grazie alla lungimiranza di Lupetti Editore. Per questo, se sono riuscito a stuzzicarvi, vi consiglio di recuperarlo in fretta, perché non si può dire fino a quando quest'edizione sarà ancora disponibile e quando potremo averne un'altra.
Insomma, spero di essere riuscito a trasmettervi che cosa possa significare leggere Noi a Berlino. In fin dei conti è un po' come leggere 1984 a Cologno Monzese.
L'estratto:

- Questo è insensato! È assurdo! Non capisci che ciò che voi tramate è la rivoluzione?
- Sì, la rivoluzione! Ma perché è assurdo?
- Assurdo perché la rivoluzione non può essere. Perché la nostra rivoluzione - non lo dici tu, ma lo dico io - è stata l'ultima. E non ci può essere nessun'altra rivoluzione. Lo sanno tutti.
L'aguzzo, ironico triangolo delle sopracciglia:
- Mio caro: tu sei un matematico. E in più sei un filosofo matematico: dimmi l'ultimo numero.
- Cioè? Io... io non capisco: quale ultimo numero? [...] Ma, I-330, questo è assurdo. Dal momento che il numero dei numeri è infinito, quale ultimo numero vuoi da me?
- E tu quale ultima rivoluzione vuoi? Non c'è un'ultima rivoluzione, le rivoluzioni sono senza fine.

Noi, di Evgenij Zamjatin - Lupetti Editore
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