“Leggere Lolita a Teheran” – Azar Nafisi

Creato il 24 gennaio 2012 da Temperamente

Ci sono delle immagini fisse a cui gli occidentali associano l’Iran: donne velate e private di ogni diritto, manifestazioni di piazza punite con esecuzioni sommarie, pubblici deliri di presidenti pseudo-eletti che predicano distruzione e condanna in nome di Allah. Soprattutto i nati dopo il 1979, anno della rivoluzione islamica che ha portato alla dittatura di Khomeini, non hanno idea di ciò che era l’Iran prima, quando la vita, i desideri, la possibilità di scelta delle sue donne non erano poi così diversi da quelli delle donne nate nelle democrazie occidentali; quando i diritti umani non erano ancora stati rivisitati in chiave integralista, e la cultura occidentale era considerata un prezioso termine di confronto, non l’espressione di Satana. Questa è la prima, forse non la più importante e immediata, cosa che ho imparato da Leggere Lolita a Teheran: cercare di andare oltre lo stereotipo, distinguere fra natura intrinseca di uno Stato e di una cultura e semplice incidente della Storia. È difficile, e ancora oggi in pochi ci riescono, quando si parla di Islam.

L’autrice, Azar Nafisi, vive drammaticamente il cambiamento: figlia e nipote di donne che avevano potuto votare, sposarsi per amore, coprirsi il capo per scelta sentita, si ritrova a dover subire restrizioni sempre più violente, che la colpiscono come donna e intellettuale. Nel 1997, privata della possibilità di lavorare secondo i suoi metodi e le sue convinzioni culturali e morali, abbandona l’insegnamento. Con un gruppo di sette studentesse organizza un seminario da tenere ogni giovedì mattina nel soggiorno di casa sua. Parlando di Nabokov, James, Austen, Fitzgerald, confidando le proprie esperienze di vita, spogliandosi del nero di cui il regime le ha costrette ad avvolgersi, le otto donne creano un’oasi di libertà nella realtà, terribile e farsesca allo stesso tempo, che le circonda.

Lungi dal ritenere che la letteratura sia un rifugio per pochi eletti dall’oppressione e dall’angoscia, la professoressa Nafisi sostiene l’esatto contrario: la letteratura può fornire gli strumenti per affrontare con coscienza il processo di involuzione in cui il Paese è coinvolto; può salvaguardare l’identità, il senso critico, il diritto all’immaginazione di persone strangolate dall’ideologia, dalla paura e dai divieti; può mostrare la complessità di ogni individuo, la difficoltà di conoscerlo a fondo, l’impossibilità di inquadrarlo in giudizi facili. La letteratura è «epifania della verità»: non semplicemente specchio della realtà, quindi, ma traccia per chi si sforza di comprenderla. Gatsby rappresenta il sogno di cui ogni individuo necessita per sopravvivere, e la delusione non è altro che conseguenza dell’illusorietà del sogno americano, mito a cui è facile credere per chi vive nell’oppressione. I romanzi di Jane Austen, polifonici, ‘democratici’ per la capacità di esprimere e far convivere tanti e così diversi punti di vista, sono esempio della complessità degli esseri umani e delle loro relazioni, ma anche, d’altro lato, della capacità di opporsi all’oppressione della consuetudine.

Un libro in cui sulla forma, in cui pagine di splendida poesia convivono con frequenti ridondanze, prevale nettamente il contenuto. Un libro importante, soprattutto per chi continua a scommettere sulla funzione sociale della letteratura: «Un grande romanzo acuisce le vostre percezioni, vi fa sentire la complessità della vita e degli individui, e vi difende dall’ipocrita certezza nella validità delle vostre opinioni, nella morale a compartimenti stagni…».

Marina Lomunno

Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, Adelphi, 379 pp., € 10,00.


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