Quante volte abbiamo sentito dire frasi del tipo: “Non riesco a finire quel romanzo”. Oppure: “Sono bloccato a pagina dieci e non riesco ad andare avanti. O ancora: “Quell’autore cura la mia insonnia in maniera eccellente”.
Questi non sono che alcuni esempi di valutazione che, più o meno consapevolmente, diamo di un libro e dello stile di chi lo ha scritto.
Eppure bisogna chiarire un paio di aspetti importanti: è ovvio che un libro sulla Seconda Guerra Mondiale sia più impegnativo di un altro sulle più belle barzellette italiane; allo stesso modo, è normale che un’opera di un certo spessore letta in un periodo di stress, o alla fine di una lunga giornata, possa risultare più ostica di quanto non sia in realtà.
Dunque oggettività e soggettività si fondono ma, talvolta, è il pregiudizio a trionfare.
Avete mai sentito dire, per esempio, che gli autori russi sono prolissi e noiosi? O che la letteratura cinese è “incomprensibile” per il lettore occidentale?
A quanti è successo di rimettere a posto un libro dopo aver ricordato la frase intimidatoria di un amico che ne sconsigliava la lettura, suffragando la sua teoria con incontestabili prove di emicrania, sonnolenza, spaesamento e inclinazioni autolesioniste?
Casi come questo accadono anche con i libri occidentali ma, chissà perché, spesso sono quelli orientali a cadere per primi sotto la lama della biblioghigliottina.
Perché?
In realtà, anche questa volta, la soggettività e l’oggettività si tengono per mano. Ciò che piace ad alcuni risulta sgradito ad altri e ciò può dipendere da gusti personali, esperienze passate, passioni e così via.
Ma non basta: c’è un altro fattore che gioca un ruolo importante ed è il condizionamento, ovvero l’influenza che il parere di taluni ha su di noi.
Niente di strano, dal momento che tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo chiesto pareri su cosa leggere. Quel che non dobbiamo lasciarci sfuggire è il fatto che l’ultima decisione spetta solo a noi.
Sembra un affare di Stato? Certo che no, ma la lettura ci forma come persone e non va sottovalutata. Siamo ciò che leggiamo, ma anche ciò che non leggiamo. Pensiamoci bene.
Siamo davanti allo scaffale di una libreria, una mano tesa verso Guerra e Pace, l’altra verso il Mahabarata (i titoli potete anche sostituirli con ciò che a voi sembra pesante e/o illeggibile. Non cambia nulla, anzi, avvaloriamo il punto di partenza soggettività/oggettività).
Stiamo per afferrarli quando una perfida vocina interiore ci informa, con un tempismo che farebbe invidia alle bollette nella buca delle lettere, su quanto quel libro sia “inadeguato” alle nostre letture. Non lo finiremo mai ed ecco che sale l’ansia, forse non lo inizieremo proprio e l’angoscia comincia a serpeggiare tra noi e il libro. E’ persino probabile che stiamo buttando i nostri soldi per qualcosa che neppure ci piacerà. Cosa ci hanno detto l’amico, il cugino il fidanzato, il nonno?
Ecco, questo è il condizionamento. Cosa fare a questo punto?
Teniamo conto di alcuni fattori: non possiamo (ahimè) leggere tutti i libri scritti dagli albori della civiltà fino a oggi e troveremo sempre qualcosa che non ameremo, che detesteremo o apprezzeremo senza particolari smanie.
L’importante è che siamo noi a scegliere e a guidare noi stessi. Il “non-io” per dirla con Fichte può essere estremamente limitante se non facciamo attenzione.
Chiediamoci se quel libro è davvero ciò che vogliamo leggere. Se è così, lasciamo stare qualunque opinione e afferriamolo. Dopo la lettura potremo formare un nostro giudizio, personale e soggettivo quanto vogliamo ma, almeno, non basato sul “sentito dire”.
E’ chiaro che esistono dei casi limite però, per il momento, rimaniamo sui “grigi”, evitando ogni tipo di estremismo.
Potremmo scoprire che il libro tanto temuto ci convince, può insegnarci qualcosa e contribuire alla nostra formazione, oppure che l’amico atterrito aveva ragione. Anche in quest’ultimo caso avremo imparato qualcosa non solo sulla letteratura, ma anche su noi stessi.
Un libro che ci aiuta a conoscerci meglio, a migliorarci, a scrutarci dentro e a formare idee, il nostro pensiero.
Una questione diversa, almeno in apparenza, è quello del dovere: capita di essere costretti a leggere determinati libri. Il discorso di base, però, non cambia, perché in entrambi i casi abbiamo solo bisogno di aprire un libro e, soprattutto, spalancare la nostra mente alla novità e senza pregiudizi.
Mai come in questi casi l’atteggiamento di rifiuto può essere deleterio.
Leggere un libro vuol dire scoprire un nuovo mondo e farne parte con la mente, avvicinarsi alla diversità, alla varietà di culture che esistono da quando noi non eravamo nemmeno sogni fluttuanti. Il timore che proviamo nell’aprire un volume che ci è stato sconsigliato per la sua presunta lentezza o complessità è, in un certo senso, il riflesso del timore che proviamo di fronte al diverso in quanto ignoto e, per questo, giudicato incomprensibile.
Il velo tra ciò che conosciamo e ciò che potremmo sapere, possiamo squarciarlo solo noi. Sicuri di voler perdere l’occasione?
Leggere orientale, leggere occidentale. Chi ha detto che certi libri sono mattoni?
Creato il 19 settembre 2014 da Queenseptienna @queenseptiennaPossono interessarti anche questi articoli :
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