Un forte lettore avrà soltanto benefici quando comincerà a scrivere lunghi ed elaborati testi - e trascuriamo per ora il fatto che ormai il verbo scrivere è inesatto e si dovrebbe dire piuttosto comporre testi con una tastiera, un meccanismo simile a quello che ha generato quelli letti. Ma è una scintilla ad accendere tutto, a convogliare energie, speranze, desideri, paure altrui in quella che definirei esperienza: fino ad allora siamo sempre a un livello piuttosto basilare, o becero, di meccanica acquisizione, quando c'è.
Per scrivere bene, si deve imparare a pensare bene, a vivere bene le parole con sé stessi. La vita delle parole è nel fiato, nell'energia con cui le si butta fuori e subito dopo le si recepisce. Un discorso nasce nel suo essere pensato, sentito nella sua intenzione, nel suo essere vero: poi sarà la dimestichezza con la parola scritta a limare le emozioni, i dissensi, a correggere idiotismi ed espressioni colloquiali, se il caso. O a fornire un bagaglio di termini più ampio per identificare il vocabolo, e dunque il concetto, più esatto per ciò che si vuole dire.
Non solo: e leggerà anche meglio, con più gusto, con amore o con odio, insomma: con interesse, quando legge, e con una disposizione ad apprendere e a raffinarsi che al lettore non-scrittore è ignota. Ciò consentirà, quando si rilegge, di perfezionarsi, di aderire a un modello o di rifiutarlo, di conoscersi e di coltivarsi. Se un corso di scrittura - creativa o non - parte dall'imposizione di libri, racconti, modelli di testualità precotti, rischia di fallire in entrambi i casi. Bisogna affinarsi nel fare, fare, fare, non nella contemplazione agnostica delle esperienze esistenziali già concluse.