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Leggermente emergentiIntervista al poeta Mattia Zaccaro Garau

Creato il 20 giugno 2013 da Tiziana Zita @Cletterarie

Mattia Zaccaro Garau2Mattia Zaccaro Garau per prima cosa, spiegaci il tuo nome.
E’ una scelta il doppio cognome, fatta qualche anno fa, già in fase adulta, perché volevo avere avere il cognome sia di mia madre che di mio padre. E’ un cognome con fortissima connotazione “terrona” perché Zàccaro è un cognome cosentino, invece Garau è sardissimo. Per quanto romano, sono profondamente legato alle mie radici, soprattutto a quelle sarde.

Dove vivi, quanti anni hai e cosa studi?
Ho 24 anni, vivo a Roma e studio filosofia.

Quando c’è stato il primo approccio alla poesia?
Ho sempre vissuto tra i libri perchè mio padre era e mia madre è, un’insegnante. Sono due grandi studiosi e quindi di poesia ne ho masticata molta, ma se devo inquadrare un momento preciso, il primo approccio consapevole è stato durante un’autogestione del liceo in cui ho seguito un corso su una grandissima poetessa che amo e che è diventata la mia madre di poesia, Wislawa Szymborska. Poi di idoli letterari ne ho tantissimi, uno è Thomas Mann

A cui hai dedicato la prima parte della raccolta Sul far della vita
Sì, a Thomas Mann e a tutti quelli che ne hanno subito le conseguenze, perché un genio come quello di Thomas Mann porta delle grandissime conseguenze, così come quello di Wislawa Szymborska, o tra i contemporanei, quello di Haruki Murakami.

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Lui ha avuto un grande successo…
Un enorme successo e per questo probabilmente non vincerà mai il Nobel. Ti posso dire anche Saramago, Dickinson, Cesare Pavese, uno dei pochissimi che è riuscito a produrre l’ipertesto, cioè poesia, racconti, romanzi e tutto a livelli eccelsi. Poi c’è Raymond Carver e altri… è difficile che non mi piaccia qualcosa che leggo.

Si può fare il poeta come mestiere oggi?
Il mestiere di poeta è il mestiere di vivere, come dice Pavese. È un mestiere quello di fare poesia, di questo ne sono certo, se sia sostenibile non lo so, perchè l’editoria è in perenne e profondissima crisi e il libro di poesia è ciò che non si vende per eccellenza.


La tecnologia protegge o mortifica un genere così delicato come la poesia?
Dipende da che uso se ne fa. Può essere un terreno fertile o un diserbante che ammazza.

Perché si parla poco di poesia?
Io credo che se ne parli poco, ma dentro di noi ne parliamo tantissimo. Perché se ne parla poco? E’ che viene connotata soltanto con quell’accento romantico che ha, ma che non la conclude. Purtroppo la poesia viene spesso vista come diario segreto di fanciulle innamorate, o di fanciulli effemminati. Ma di poesia ne mastichiamo molta più di quello che pensiamo, la pubblicità in gran parte usa il linguaggio simbolico che è il linguaggio della poesia e anche le altre arti. La poesia è ovunque.

Ed è compito del poeta allargare il numero di chi legge?
Certo. La poesia si scrive sempre per qualcuno. Questo qualcuno possiamo anche essere noi stessi. Esistono poesie che non sono mai state lette. Cassetti pieni di poesie di cui la chiave non è mai stata trovata. Però la poesia si fa sempre per il pubblico, altrimenti diventa un solipsismo e si atrofizza.

Quali sono i tuoi destinatari, perchè decidi di scrivere e cosa lasci di non scritto?
Perché scrivo? Perché ho la necessità di scrivere, perché sento il bisogno di farlo. Doris Lessing parla della dimensione costitutiva dell’essere umano come “homo scrivens”, che è una forzatura ma suona molto bene. Scrivo perché sento di avere qualcosa da dire. Perché pubblico è un altro discorso. E’ perché penso che quello che ho scritto possa servire a qualcuno, possa aiutare qualcuno che non trova le parole, perché nelle poesie che leggo trovo le parole che non sono riuscito a dire, anche se poi come dice stupendamente Ungaretti  e anche Emily Dickinson, la parola non può mai…

Sostituire le sirene…
Esatto! La parola ascolta le sirene ma non può mai dire in fondo tutto ciò che c’è da dire.

I tuoi progetti futuri?
Siamo in direttura d’arrivo per una nuova opera con lo stesso editore, un anno completo in poesie dal titolo Confido.

Lars Von Trier

Lars Von Trier

La raccolta Sul far della vita contiene sette anni di poesie. Cosa ti ha fatto mettere la pa- rola fine?
Ho ritenuto finita la mia raccolta quando mi sembrava che formasse un circolo, non un cerchio chiuso, un circolo, aveva un senso ma non era chiusa in se stessa. Quando ho capito che poteva avere questa circolarità – intendo circolarità in termini filsofici ermeneutici, di essere attualizzabile e sincera – allora ho capito che era fatta! Poi c ‘è stata la mediazione della casa editrice, quello che è interiore si deve sempre esteriorizzare. Quando è finita per la casa editrice? In 6 mesi di corrispondenza… è la parte burocratica di una nascita.

Termini che usi per parlare dell’amore: “Kamikaze”, “Guerra”, “Trattato di pace”. Insomma è una lotta?
La vita è una lotta e l’amore, che è la vita per eccellenza, è la lotta per eccellenza. L’amore è donare volontariamente ogni giorno la propria libertà all’altro. Io, amando, sono un kamikaze che lascia la vita in onore dell’amore. Perché donarsi totalmente all’altro vuol dire essere disposto a tutto. L’unico fondamentalismo che posso accettare è quello dell’amore. Perché dico “guerra”, perché si è in guerra con l’amore, quello che abbiamo nel cuore si scontra con la realtà. E’ una guerra costante, una difficoltà costante, una riscelta perché l’amore non si sceglie una volta per tutte. L’amore è anche rinuncia, ma una rinuncia felice e sta tutta lì la guerra.

In una delle tue poesie, “Nessun ordine nel disordine”, mi ha colpito questo termine: “successocrazia”.
Successocrazia è il nostro momento, purtroppo. Il successo determina il nostro stato sociale, il nostro riconoscimento. Il problema è che il successo non è determinato dalla vera qualità di ciò che facciamo e quindi aiuto! Cerchiamo di non cadere soltanto nella successocrazia. E’ importante essere riconosciuti, ma non è tutto. Non dobbiamo pensare che chi ha successo è migliore perché ci sono tantissimi esempi di autori che hanno pubblicato nella vita, ma sono stati riconosciuti solamente dopo.

In una poesia scrivi “l’amore è la più falsa della poesie”, che è una cosa strana da leggere in una poesia d’amore.
E’ una frase che dà dei pugni allo stomaco a chi legge e sento dei forti pugni allo stomaco anch’io. Quella poesia nasce in un un momento preciso della mia vita, oggi ti potrei dire il contrario, cioè che l’amore è la più autentica delle poesie. In quel momento aspettavo una ragazza in una vacanza in Croazia, l’aspettavo, l’aspettavo e l’aspettavo pieno di slancio vitale, pieno di slancio poetico, pieno di slancio amoroso e non ho fatto altro che aspettarla e basta però. E allora l’amore era per me la più falsa delle poesie.

Come ti vedi tra 20 anni? Quante raccolte pubblicate e non pubblicate?
Credo che scriverò ancora molto, non solo poesia. Ti posso dire come mi vorrei vedere tra 20 anni. Vorrei fare questo di mestiere, vorrei insegnare, che è un mio grande sogno. Sono talmente interessato da tante cose che difficilmente farò un mestiere e basta.Tra vent’anni non lo so proprio, ma sarà bello sicuramente.

E che consigli dai a chi ha vent’anni oggi e legge poesie?
Di leggerne sempre di più e di scriverne sempre di più, ma soprattutto di tirare fuori le poesie dai cassetti. Tiriamole fuori tutti! Dostoevsckij tuona attraverso i Karamazov, “la bellezza salverà il mondo”, in realtà la giusta traduzione in russo è “ il mondo sarà salvato dalla bellezza”. Il mondo sarà salvato dalla nostra bellezza, perciò dobbiamo essere coraggiosi! Coraggiosi nel tirare fuori i nostri drammi e nel leggere i drammi degli altri!

Keats diceva “la Bellezza è Verita, la Verità è Bellezza”
Certo. Verità, bellezza e manca la giustizia.

Un libro, una serie e un film che porteresti nella capsula del tempo?
Kafka sulla spiaggia
di Aruki Murakami. Lost. Melancholia di Lars Von Trier.

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Quale è il rapporto tra letteratura e vita, o se preferisci, quali sono i sette nani, i sette re di Roma e i sette samurai?
I sette samurai? Chi sono i sette samurai? La letteratura è la nostra vita, nella letteratura c’è la nostra vita. L’essere umano è tale perchè parla, perchè dice, perchè scrive, perchè si dà al resto del mondo anche attraverso la letteratura. C’è un rapporto di interdipendenza pressoché totale, io non potrei farne a meno. La letteratura non si fa da sola, è l’ incontro di due abissi, dice Castelli. L’abisso del lettore e dello scrittore.

Ultima domanda, un filosofo e un peota che tutti dovrebbero leggere?
Allora, due donne. Da leggere e capire perché la vita e le opere di una persona vanno sempre insieme. Filosofa Edith Stein e poetessa Emily Dickinson perchè sono donne e perchè c’è bisogno di donne e di “donnità” nel mondo.


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