Appartengo a una categoria di lettori tra le più inquiete e difficili. Leggo poesia, quasi solo poesia. Procurarmela spesso risulta un’operazione difficile e vagamente losca come l’accesso a una sostanza illegale. Gli editori più piccoli mi figuro che la tengano impilata nelle loro stanze di case. Gli editori meno piccoli me li vedo costretti a estenuanti trattative per inoculare negli scaffali delle grandi librerie, almeno due o tre loro perle, meglio se di autori dipartiti. Spesso per avere i libri che mi interessavano, ho parlato direttamente con chi li ha stampati, se non con chi li ha scritti o mi sono aggirata per librerie di tutte le metrature, con l’aria torva di chi tanto sa che non troverà mai quello che cerca. Poi un giorno, nel paese di provincia in cui abito ho notizia che no, non è stata aperta un’altra cartolibreria, un’edicola che vende pure tascabili, né una libreria soltanto, ma niente meno che un caffè letterario. Penso, ma quali vuoi che siano le attività di un caffè letterario qui? In un posto in cui la gente torna dal lavoro stanca dopo ore di treno o di traffico e ha solo voglia di chiudersi, bambino e cane compresi, nel suo giardino, a decespugliare fino all’ultimo ciuffo d’erba? Vado, mi dico, faccio finta di niente, vedo cosa c’è, tanto ti pare che vende libri di poesia, verifico che non ce l’ha, e alla chetichella, come sono venuta, me ne esco. Invece sono rimasta. Poesia l’ho trovata, non troppa, ma cavolo quale. Poesia inscaffalata da chi la poesia la legge. Poesia scelta da chi la poesia la conosce. Poesia ricalcata da chi la poesia la scrive. Attraverso quei titoli prima, e poi frequentandola e dopo intervistandola, ho conosciuta Monica che è diventata la mia libraia e poi compagna di lavoro. Da questo incontro è nata l’idea di creare un posto che contenga quella poesia che è spacciata senza lettore, che fa la pena del suo autore senza pubblico e che produce un surplus di bile all’editore che non la consegna in vendita. Una libreria specializzata in poesia. Una chimera, l’inimmaginabile. La poesia non ha smesso la sua funzione sociale al di là di quello che se ne dica. Se ho fatto la scelta di fondare un’associazione volta alla promozione della poesia e che in questo frangente appoggia una libreria specializzata, non è solo per via dello spirito di divulgazione che può contraddistinguere una libreria, ma anche per ricordare alla comunità in cui la libreria si inserisce che è ancora fattibile una forma di ascolto la cui possibilità ora sembra totalmente dimenticata, e che invece resta ostinatamente plausibile grazie a un luogo di incontro reale, che rimane aperto. La poesia non è solo quella scritta o discussa nei luoghi preposti ma qualcosa che può ancora reagire al contatto con l’altro, anche con la sua aridità, o col vuoto che lascia la cultura “ufficiale”, come un composto altamente reagente che in qualche modo finisce per rivelare tutte le cose per quelle che sono. Per cui oggi ci capita quasi quotidianamente, stando in libreria, anzi stando in questa libreria, di venire appassionatamente idealizzate come chi spezza il pane quotidiano o di essere fraintese nell’intenzione di vendere poesia anche da quelli che si dovrebbero nutrire di simili utopie come fosse ambrosia destinata agli dei. Da quando abbiamo cominciato a lavorare insieme Monica ed io, pare come se compissimo quotidianamente un sacrilegio, quello di rendere la poesia un fatto umano per cui discutibile, attraverso incontri, scelte e rifiuti che non pretendono oggettività ma nascono da un’attenzione partecipe verso chi ci porta in dote la propria parola con la stessa passione con cui mettiamo in circolo la nostra. Ma è un’effrazione che compiamo volentieri, convinte che la poesia sia una questione tremendamente seria e che riguardi tutti, sia quelli che la chiudono nel tempio sia quelli che la pensano una cosa di streghe.
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