Avrei
voluto prendere in considerazione uno per uno gli argomenti che
Claudio Magris espone in Non
è giusto trasformare ogni desiderio in diritto
(Corriere
della Sera,
16.3.2016), se non fosse che alla seconda rilettura di ciò che
scrive mi rendo conto di non riuscire a capire contro cosa stia argomentando. Contro il matrimonio gay, contro le unioni civili tra
persone dello stesso sesso o addirittura contro la convivenza di una
coppia omosessuale? Contro la gravidanza surrogata, contro la
stepchild adoption o contro la sola evenienza che un bambino possa
essere allevato da una coppia di persone dello stesso sesso? Colpa
mia, naturalmente, e allora rileggo ancora.
Primo:
condanna della «trasformazione
delle autentiche e umane visioni del mondo in un indistinto
titillamento pulsionale»,
e qui il concetto di «desiderio»
diventa enormemente estensivo, perché a fronte delle «autentiche
e umane visioni del mondo»,
intese come concluso orizzonte antropologico, diventa un «indistinto
titillamento pulsionale»
tutto ciò che Claudio Magris ritiene poco «autentico»
o non del tutto «umano»,
peraltro senza stilarcene la lista. Per esempio: ho una grave
insufficienza mitralica; vorrei vivere altri vent’anni;
il cardiologo mi propone un intervento chirurgico per sostituire la
valvola difettosa con una di maiale o con una protesi in caucciù e
fibra di carbonio, robe che di «autentico»
e di «umano»
manco a parlarne; che faccio, mi titillo o ci rinuncio?
Secondo:
condanna di quel «relativismo
nichilista che riduce tutto, anche sentimenti e valori, a merce di
scambio e tende sempre più a dissolvere ogni unità forte di vita e
di pensiero»,
che costringe inevitabilmente a chiederci cosa debba intendersi per
«scambio»
e per «unità
forte di vita e di pensiero».
Amare solo se si è ricambiati configura una dimensione merceologica?
E in cosa va indebolirsi l’«unità
di vita e di pensiero»
con l’adattarsi
dei sentimenti e dei valori alle mutate relazioni tra soggetti di cui
la storia non smette mai di rimodellare profili e ruoli? Perché
Claudio Magris ci lascia sospesi nel vago e invece non ci indica
dov’è
che la storia dovrebbe fermarsi, sazia di aver raggiunto il top di
ciò che è «autentico»
e di ciò che è «umano»?
Terzo: «La
famiglia tradizionale può essere e molte volte è stata anche
violenta, soffocante e nemica del libero sviluppo della persona»,
certo, ma questo ci consente di considerarne illegale il modello? «È
ovvio che persone capaci di intelligente e attento amore possano far
crescere un bambino meglio di genitori carnali incoscienti e
snaturati o anche solo ottusamente incapaci di intelligente amore»,
certo, ma questo è possibile se i genitori sono dello stesso sesso?
«Ho
conosciuto e conosco omosessuali bravi genitori del loro figlio»,
perfetto, e allora perché vuoi negar loro il pieno riconoscimento
che sono famiglia?
Perché non sarebbe giusto trasformare il loro desiderio in famiglia?
Perché «il
protagonista
– dice Claudio Magris – non
è il desiderio della coppia né omo né eterosessuale, bensì il
bambino, che comunque nasce da un uomo e da una donna e la cui
maturazione è verosimilmente arricchita dalla crescita non
necessariamente con i genitori naturali ma con un uomo e una donna,
espressione per eccellenza di quella diversità (culturale,
nazionale, sessuale, etnica, religiosa e così via) che è di per sé
più creativa e formativa di ogni identità a senso unico».
E da quali studi si evincerebbe questa norma aurea? Prim’ancora:
la maturazione di un bambino sarebbe necessariamente più arricchita
quando la mamma sia esquimese e il babbo filippino? Quando il babbo
sia musulmano e la mamma scintoista? Ce n’è
abbastanza per vietare di allevare figli a genitori che abbiano la stessa
nazionalità o che appartengano alla stessa confessione religiosa:
sul piano nazionale e su quello religioso la coppia non rispetterebbe
quei requisiti di diversità che sul piano sessuale ci dovrebbero consentire di vietarlo a una coppia omosessuale.
No, senza dubbio
dev’essermi
sfuggito qualcosa nell’articolo
di Claudio Magris per darmi l’impressione
che abbia scacazzato un mucchio di stronzate, e questo non può
essere. Sì, ma chi mi dà la forza di leggere l’articolo per la
quarta volta? No, rinuncio a scrivere il post che avrei voluto
scrivere.
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