Lei non sa chi sono io

Creato il 06 dicembre 2010 da Lucalo

Se c’è una cosa che si ripete puntualmente da un paio di mesi è il trauma da “selezione all’ingresso”, che fa delle discoteche i posti più inaccessibili in America dopo il Pentagono e la Casa bianca.

Ma facciamo un passo indietro.

Appena messo piede in territorio statunitense ti tocca fare i conti con quello che in Italia sarebbe accusato come “tremenda macchina burocratica“, ma qui siamo in America, nessuno si lamenta e la macchina burocratica ce la teniamo buona per il viaggio di ritorno.

Due fogli da compilare di cui uno inutile, dichiari che non vuoi ammazzare nessuno e che non porti cibo dal tuo paese (non saprei dire quale delle due sia più grave).

Due ore in fila e arrivi finalmente davanti a chi, con un timbro, deciderà vita e morte del tuo futuro.

Nonostante dopo 14 ore di volo sei nelle peggiori condizioni psicofisiche hai il sentore che la partita si gioca lì, e che se anche in Italia ti hanno giurato che in America puoi starci 3 mesi, beh, sappi che quello che hai di fronte ha potere decisionale sulla tua vita che neanche t’immagini, e solo perché assomigli a qualcuno che gli sta antipatico o non rispondi prontamente alle domande potrebbe rispedirti a casa in pochi giorni senza troppi ripensamenti.

Ma facciamo finta che riesci a passare serenamente questo passaggio.

Eccoti finalmente due mesi dopo a San Francisco, California. Fuori fa freddo e sei all’entrata di una discoteca.

Al tuo turno mostri la patente, una procedura che sarebbe banale se non fosse l’evidente parentela tra i buttafuori della disco con i tipi che hai incontrato alla dogana, non si spiega altrimenti la cura con cui guardano il tuo documento, leggono i dettagli (in italiano), si consultano, provano la tua patente in controluce, accendi la lampadina, spegni la lampadina, borbottano, ti chiedono se hai altre prove che dimostrano che hai più di 21 anni, ti fanno cantare la sigla di Daitarn e degli Snorky, cose così insomma, un operazione che può richiedere anche 10 minuti, mentre senti arrivare da un angolo sepolto della tua mente quella sensazione che avevi ai tempi della scuola, poco prima che la prof decideva se metterti la sufficienza o meno.

I buttafuori arrivano finalmente a una conclusione, ormai quello che è fatto è fatto, inutile sorridere o fare battute, così ti consegnano la patente dicendo: mi spiace, la persona della foto non sei tu.

Che dopo tutte le analisi che hanno fatto come puoi dargli torto, e per un attimo rimani così, con la patente in mano, cercando di ricordarti dove diavolo hai visto prima quel tipo che sorride nel documento che hai in mano.

Saluti i buttafuori ringraziando dell’ottima analisi, t’incammini verso la prossima disco sperando di trovare almeno dei lontani cugini di quelli che stanno alla dogana, guardi la tua patente vecchia di 9 anni e pensi che dirti così in faccia che tu non sei tu è la cosa più ovvia e dissacrante che degli sconosciuti potessero mai dirti in vita tua.


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