Stoccolma, giugno 1985.
La piccola Yasmine Ermegan, appena nove anni, origini iraniane, figlia di genitori separati, litiga con sua madre ed esce di casa con l’intenzione di tornarsene da suo padre, ma lui non è in casa. La ritrovano in un campo, alcuni giorni dopo. Violentata e uccisa.
Stoccolma, luglio 2010.
Lars Martin Johansson, ex capo della polizia ed ex capo dei servizi di sicurezza ormai in pensione, viene colto da un ictus davanti a “Günters”, il chioschetto che vende “le migliori salsicce di tutta la Svezia”; per sua fortuna, lì vicino ci sono alcuni ex colleghi in pausa pranzo. Sono loro a trasportarlo d’urgenza alla vicina clinica Karolinka, salvandogli la vita. Qui, su richiesta della dottoressa Ulrika Stenholm, suo medico curante, l’ex poliziotto riaprirà le indagini su un vecchio caso appena finito in prescrizione: la misteriosa morte della piccola Yasmine. Per portare a termine la sua “ultima indagine”, dovrà battersi per recuperare la mobilità del braccio destro e vincere la stanchezza, il mal di testa e le fitte al petto…
Il nuovo romanzo di Persson si innesta sull’ormai maturo(1) ceppo del giallo svedese senza proporre soluzioni narrative rivoluzionarie: il racconto è affidato al classico narratore esterno onnisciente, che riporta i fatti in terza persona, assumendo ora il punto di vista di un personaggio, ora quello di un altro, stringendo e allargando a piacimento la visuale per supplire con l’effetto sorpresa alla quasi totale assenza di suspence(2). Ma in fondo, quando si è capaci di costruire un buon giallo, non c’è bisogno di inventare chissà che; tanto più che Persson è uno del mestiere (insegna alla Scuola Nazionale di Polizia, è stato consulente del ministero della giustizia e dei servizi di sicurezza ecc.), e sa di cosa sta parlando. E poi sa scrivere, e sa costruire comprimari fantastici (alcuni, come il russo Max, meriterebbero di diventare protagonisti di romanzi tutti loro), disegnandoli a tutto tondo, ma senza esagerare. Certo, c’è da dire che i tempi di svolgimento sono molto lunghi e che il ritmo non è proprio incalzante; ma d’altra parte qui l’intreccio passa in secondo piano: fin dal principio, infatti, l’autore pone al centro della vicenda il problema della punizione, citando esplicitamente Il giudice e il suo boia di Friedrich Dürrenmatt e lavorando sullo iato che separa la giustizia dalla legge.
Così, anche se a volte è difficile farsi piacere un personaggio monolitico e nel contempo naif come Johansson -uno che, raggiunta la pensione, è ancora convinto che l’etica del vero poliziotto sia “se non ti comporti da persona civile sono cavoli tuoi”(3)- si arriva alla fine senza difficoltà, curiosi di scoprire se il protagonista resterà fedele al suo vecchio ruolo istituzionale, o se, per assecondare il suo senso di giustizia, sceglierà la vendetta.
E poi, chissà perché, i polizieschi che mettono in scena il tracollo dell’investigatore hanno sempre un certo fascino, e questo non fa eccezione…
Il romanzo L’ultima indagine, di Leif GW Persson è edito in Italia da Marsilio.
(1) La “breve” (almeno per i lettori italiani) storia del giallo svedese si è ormai consolidata in una tradizione riconosciuta a livello internazionale, tant’è vero che tra le citazioni di pragmatica da Dürrenmatt e Conan Doyle, salta fuori un’ironica strizzata a Stieg Larsson (in un certo senso non più un semplice capostipite, ma quasi nume tutelare): «“Te la cavi con internet?”[...] “Non come Lisbeth Salander, ma me la cavo.” Chi diavolo è Lisbeth Salander?, si chiese Johansson». (Leif GW Persson, L’ultima indagine, Marsilio, Venezia 2013, p. 224. Traduzione di Giorgio Puleo).
(2)D’altra parte si tratta di un cold case che il detective -un Dupin anzianotto e gravemente malato- risolve per metà da una stanza d’ospedale, e per metà standosene steso sul divano…
(3)Ivi, p. 263.