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Leone Sbrana, Viareggio – Cravache, l’eroica fine di un romantico

Da Paolorossi
Viare

Viareggio – Gran Caffè Margherita – foto tratta da Nuova Viareggio Ieri -N.18-marzo 1997

Per noi il conte Boni (ma più spesso lo appellavano Cravache: lo pseudonimo che s’era dato scrivendo su fogli locali e che per noi aveva, non so poi perché, una suggestiva carica), era una componente di quel tratto di lungomare che comprendeva “Parigini”, “Poldo” e “Schicchi”. Quando “scendeva” oltre la Piazza Principe Amedeo, ora Piazza Mazzini, e penetrava in quella che per i viareggini era, per antonomasia, la “Passeggiata”, allora, il “Margherita” era la tappa obbligata.

Sia che il nostro lungomare vestisse dimessamente, ripreso ormai quel suo confidenziale carattere invernale, in un contesto di toni grigi; sia che esso ritornasse anonimo, certo non più “nostro”, nel clamore estivo, dove i toni accesi di una rutilante mostra stimolavano caldi desideri, la presenza del conte Boni, era come un vezzoso esile pilastro che resisteva tuttora, con quel tanto di floreale, all’incalzare degli “anni ruggenti”.

Era una realtà onnipresente, appunto, di quel tratto del lungomare, una realtà con cui ti incontravi sempre per via di qualcosa di singolare e di suggestivo e da cui, la tua attenzione, non sapeva staccarsi. Già sin da quando ragazzi, presi da quella assurda faccenda del consumo (e del commercio) delle cicche, ci additavamo il conte Boni, prima di gettarci, sfacciatamente audaci, sotto i tavoli di “Poldo” o di “Schicchi”. Sicuramente a casa qualcuno ne aveva parlato dell’originale conte, forse anche per quella sua assidua presenza nel Carnevale, vuoi con un articolo, un sonetto, i versi di una canzonetta, o un’eccentrica trovata. E’ innegabile che l’aristicratico Cravache godeva di una popolarità, tra i viareggini, come non era per tante altre personalità fermatesi qui subito dopo la grande guerra.

[…] La sua vita ora (quasi un quarto di secolo trascorse a Viareggio) stava tutta nei Gran Caffè del lungomare (non aveva casa è certo: dormiva più spesso in questo o quel retrobottega e particolarmente da “Parigini”) .

[…] Ma più sovente il conte Boni, capitava al “Margherita” dove non di rado sedeva al desco dei proprietari, sempre gentili e ospitali con lui, dove placava l’urlo dello stomaco, anche se lo faceva con commovente dignità. Ed è proprio al “Margherita” dove la sua antifascistica insofferenza si manifesta senza più sottintesi, come grido da lungo tempo represso. […] Alle smargiassate di un sottufficiale tedesco che blaterava sull’immancabile vittoria delle armi tedesche, il conte Boni sbotta senza perifrasi, facendo tremare di paura non pochi dei presenti, dicendo che la barbarie non potrà mai affossare la libertà e la democrazia e, per cui la guerra può considerarsi perduta per i tedeschi. L’episodio del “Margherita”, che accade poco dopo l’otto settembre, deve essere il “richiamo” più pesante, quello che spinge i tedeschi – con la presumibile collaborazione dei fascisti locali – all’arresto del conte Boni.

[...] Poi Mauthausen.

[...] Su uno dei pochi registri recuperati a Mauthausen e dipoi presentati al Processo di Norimberga, è citato, tra gli altri: Boni Umberto di Achille, nato a Roma il 28-3-1872 scomparso a Hartheim il 2-2-1944.

(Leone Sbrana, L’eroica fine di un romantico – pubblicato su Viareggio Ieri – Anno 3 N. 1 – gennaio 1966)


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