Leopardi appare a Recanati di Cristina Capodaglio

Creato il 18 dicembre 2012 da Wsf

Il teatro Persiani di Recanati venne realizzato grazie all’iniziativa di Monaldo Leopardi, il padre di Giacomo, nella prima metà dell’Ottocento.
Oggi 15 dicembre 2012 l’immaginazione del drammaturgo veneziano Tiziano Scarpa e la bravura dell’attore e regista Arturo Cirillo si incontrano sul palco del “natìo borgo selvaggio”, facendo riapparire il poeta nel suo costume d’epoca, con il suo linguaggio erudito, le sue ansie e paure che abbiamo dovuto studiare sulle “sudate carte,” insieme al L’Infinito che dà il titolo alla commedia.
Cirillo è ormai una garanzia di qualità nel panorama teatrale italiano, difficilmente delude le aspettative e provoca da subito una sottile emozione tra-vestito da Giacomo, in questo ritorno da Napoli.
Gli altri protagonisti dello spettacolo sono due giovani e validi attori: Andrea Tonin e Margherita Mannino. Entrambi interpretano la loro età. La scena si apre con un dialogo fra Andrea e Giacomo. Il proscenio rimane al buio per alcuni “lunghi” minuti e da subito sembra di vivere un ritorno dal passato. E’ notte inoltrata e Andrea si è appena svegliato per ripassare l’Infinito di Leopardi, torna in soggiorno, accende la luce e inaspettatamente il poeta gli si materializza davanti. Il giovane è molto nervoso per gli esami orali di maturità che dovrà sostenere di lì a poche ore, mentre Giacomo inizia da subito a sollecitare spiegazioni sull’utilizzo di vari oggetti che gli sono apparsi in quella casa, dalla lampadina al computer, dal cellulare alla toilette.
I due giovani quasi coetanei iniziano a fare amicizia, parlano dei rispettivi padri e dei loro sogni: Giacomo vuole solo scappare da Recanati, mentre Andrea desidera fare il deejay.
I loro linguaggi denotano subito la distanza abissale di quasi duecento anni, ma le loro paure sono le stesse di due giovani alla soglia della maturità. Giacomo tenta di aiutare Andrea spiegandogli la poesia che ha appena composto L’Infinito e Andrea espone la sua spiegazione che soddisfa pienamente il poeta.
Il gioco fra i ragazzi si interrompe con l’arrivo in casa della fidanzata di Andrea, Cristina, gelosa e convinta di trovarlo in compagnia di un’altra e sarà l’inizio di una svolta.
Il tempo si sposterà in avanti di tre mesi e Cristina sembra frequentare Giacomo con l’illusione di voler formare una famiglia, mentre Andrea inizierà a spiarli.
Leopardi non è più tanto disilluso della nostra epoca che ha imparato a conoscere e inizierà a dire che non è la natura la nemica dell’uomo, delle sue sventure, del suo malessere, bensì è l’uomo che ha cercato di manipolarla, la sta distruggendo e vive nell’illusione. Pensa quindi di utilizzare la forza di tale illusione per “piegare” il destino degli uomini. A quel punto Andrea, fa fuori il suo rivale sparandogli, riconquista Cristina e Giacomo tenterà di smaterializzarsi.

La regia è dello stesso Cirillo che dice nelle note di spettacolo: “Oggi Giacomo Leopardi ci direbbe qualcosa di nuovo su di noi? Scoprirebbe qualcosa di nuovo su di sé? Diventerebbe un teorico della necessaria distruzione dell’umanità? Leopardi forse ci ha già detto tutto, dal suo lontano secolo decimonono, ci ha già descritto, ci ha già immaginato, o previsto. E ora noi proviamo ad immaginarlo qui, piombato nel tempo presente come un sogno, o un’illusione, pronto a sentire canzoncine ed intimidatorie suonerie, a comporre poesie ingenue ed innamorate, a desiderare la fine di noi umani, affinché il passero possa ritornare ad essere nuovamente solitario”.

Il tentativo di Tiziano Scarpa che afferma di essere spesso “visitato” da Leopardi è parzialmente riuscito. Come lui stesso afferma: “… se non altro per richiamare ancora una volta sullo stato di ipnosi che viviamo sotto la dominazione delle immagini. La vita delegata ai dispositivi tecnologici. Leopardi mi coglie di sorpresa mentre cammino per la strada, quando navigo in rete, o in fondo a un pensiero notturno, apparizioni fugaci, intuizioni. Perciò mi sono affidato alla potenza negromantica del teatro. Il teatro che sa come evocare i morti e dare corpo ai fantasmi. La parola di Leopardi è siderale, oppressa, conquistata con fatica, ma sommamente liberatoria. Spalanca lo sguardo, sprigiona questioni smisurate. Rimette al centro le domande necessarie. Un farmaco febbricitante che viene a contatto con il nostro siero annacquato e lo ustiona. Ci sono momenti e posti, come oggi in Italia, in cui per trovare qualcosa di non conforme bisogna cercarlo nel passato. Giacomo Leopardi, così poco italiano. Massimalista. Inflessibile. Inopportuno. L’opposto degli italiani, che lo hanno eretto a loro campione. Così inascoltato, tumulato nei programmi scolastici. La sua poesia ha scavalcato i secoli e fa irruzione nelle stanze dei ragazzi svogliati, disperati, incontenibilmente sognatori.”

Le scene dello spettacolo – prodotto dal Teatro Stabile del Veneto – sono di Dario Gessati.
I costumi di Gianluca Falaschi, le musiche di Francesco De Melis & Intrinsic. Luci di Pasquale Mari.

di Cristina Capodaglio


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