Abbiamo una nuova riforma del lavoro, la quarta, dopo pacchetto Treu, legge Biagi e riforma Fornero: tanta legiferazione (non si contano le numerose aggiustatine, apportate qua e là, dai vari Ministri del Lavoro), nel giro di un paio di decenni, dimostra come l'intervento della politica, in una materia delicata come quella del lavoro, sia sempre stato improvvisato e pasticciato.
Eppure, Renzi e Poletti esultano per il risultato: "finalmente, il lavoro in Italia è più flessibile", si vantano in coro e aggiungono che "la nuova legge non creerà nuovi precari". Affermazioni che, scusate il francesismo, sanno di sadica presa per il culo.
Perchè il Jobs Act è una legge precarizzante: per 36 mesi ti mette totalmente nelle mani del datore di lavoro che è libero di rinnovarti il contratto quando gli pare ed alle condizioni che vuole e tu non puoi far altro che dirgli di sì, perchè la disoccupazione schizza sempre di più alle stelle e per un solo posto di lavoro, per quanto precario e mal pagato sia, ci sono mille speranzosi candidati.
Non chiedere aumenti di stipendio, nè straordinario pagato, devi stare attento a non ammalarti e, per le donne, a non rimanere incinta, perchè ora il contratto a termine è acausale, il che vuol dire che l'impresa può assumere chi gli pare, quando gli pare e per quanto gli pare, lasciandoti a casa, se non sei abbastanza servizievole.
Di tutte le tutele promesse, nel frattempo, si è visto poco o niente. Il limite massimo di 5 rinnovi? Ridicolo e facilmente aggirabile (basta lasciarti a casa per un po' di tempo e si riparte da capo). Il contratto a tutele crescenti? Finito nella legge delega, sparita in chissà quale cassetto del Parlamento. La riforma del welfare e dei Centri per l'Impiego? Dimenticata, perchè adesso ci sono le elezioni.
L'unica cosa importante, per Renzi e Poletti oggi, come ieri lo è stato per Monti e Fornero, Berlusconi e Maroni, Dini e Treu, è fare la riforma del lavoro, convinti che serva a creare occupazione (o forse, volevano convincere gli altri che era così).
Peccato, però, che i posti di lavoro non si creino per decreto legge, ma investendo nell'innovazione e nelle risorse umane, snellendo la burocrazia e attirando investimenti dall'estero, rinnovando il sistema produttivo dove possibile e migliorandolo dove necessario, riducendo al minimo gli sprechi e favorendo la meritocrazia.
Nessuna di queste cose è stata fatta: troppo costose, troppo impegnative e dai risultati non immediati. Meglio, invece, creare delle porcherie, come l'ultima incarnazione dell'apprendistato renziano, dove un qualcosa molto simile all'autocertificazione si sostituirà al piano formativo.
A che serve un contratto di apprendistato, che per natura dovrebbe servire ad imparare un mestiere (lo dice l'etimologia stessa della parola), in cui la parte formativa conta poco o niente? Che differenza c'è con un contratto a termine semplice?
Un apprendistato dove non si apprende nulla: lo specchio distorto del mondo del lavoro italiano.
Danilo